Commento
al Vangelo – Epifania del Signore 2016 C (Mt 2,1-12)
I
Magi:
l’adorazione del nato Redentore
Quando
nacque Gesù Cristo, regnava nella Giudea Erode, chiamato il
Grande,
si
direbbe per una storica ironia, perché se fece molti lavori
pubblici, fu un crudelissimo tiranno, e ottenne il regno a furia
d’intrighi col senato romano. L’evangelista fa notare
intenzionalmente che regnava Erode, un Idumeo straniero che
rappresentava per di più l’autorità dei Romani, per far notare
che Gesù Cristo, secondo la profezia di Giacobbe (cf Gn
49,10), era nato quando lo scettro regale era stato tolto a Giuda.
Erode era padre di quell’Erode, tetrarca della Galilea che fece poi
decapitare il Battista e schernì Gesù Cristo nella sua Passione.
Alla sua morte, infatti, il regno venne diviso dai Romani in quattro
tetrarchie e dato ai suoi figli; terminò così anche quella parvenza
di regno che egli era riuscito a conquistare.
Gesù
Cristo nacque a Betlemme di Giuda, chiamata anche Efrata, piccola
borgata situata a circa due ore di cammino a sud di Gerusalemme. Vi
era un’altra Betlemme situata nella tribù di Zabulon in Galilea, e
l’evangelista aggiunge al nome della città la regione cui
apparteneva, per mostrare che il Redentore era nato nella città di
Davide come suo discendente, e aveva compiuto, con la sua nascita, la
profezia di Michea, ricordata ad Erode stesso dai principi dei
sacerdoti.
Non può
dirsi con precisione da quanto tempo era nato il Redentore, quando
alcuni sapienti dell’oriente, chiamati perciò con parola generica
Magi,
si
recarono a Gerusalemme per adorare il nato Re, essendo stati chiamati
alla sua culla da un astro fulgentissimo che era apparso nel cielo.
Questi
Magi studiavano astrologia, e non ignoravano la profezia di Balaam
(cf Nm
24,17), con la quale si annunciava l’apparizione di una nuova
stella in Giacobbe alla nascita del promesso Messia. All’apparizione
della stella che era come una meteora luminosa, si sentirono
internamente ispirati ad andare a Gerusalemme per far ricerca del
nato Re, e intrapresero il lungo viaggio. Essi venivano probabilmente
dall’Arabia e, secondo la comune tradizione, erano tre, sapienti e
principi, tenuti in grande considerazione nel loro paese. La stella
quasi li invitava al viaggio, perché si librava nell’atmosfera
come un segno che indicava la direzione del cammino da intraprendere,
e mostrava di muoversi in quella direzione. Non era dunque un astro
che aveva un moto circolare, non
poteva
essere un’illusione, non poteva essere un segno confondibile con un
fenomeno sidereo qualunque: era un segno celeste, una chiamata di
Dio.
La fede
dei Magi fu grande, perché il viaggio non era facile, e fu grande
soprannaturalmente, perché essi non avrebbero avuto interesse ad
andare a conoscere un neonato re, se non avessero sentito e creduto
che quel Re era il Salvatore promesso. Era la primizia dei pagani che
il Signore chiamava alla fede – come dice la Chiesa –, era la
rappresentanza del mondo che veniva a rendere omaggio all’Uomo Dio,
e veniva a scuotere un po’ l’indifferenza con la quale era stato
ricevuto in terra che pur lo aveva aspettato.
È
evidente dalla Tradizione e dal medesimo contesto del Vangelo che la
stella li accompagnò durante il viaggio, e che si eclissò forse
quando entrarono nella terra d’Israele.
Dio che è
infinita economia e non compie opere superflue, fece eclissare il
segno straordinario dove era possibile essere guidati dai lumi
naturali di chi stava al pubblico potere. Potrebbe anche supporsi che
le nubi avessero eclissato la meteora e che essa rimanesse solo
occultata nell’atmosfera. Comunque sia, i Magi, non sapendo dove
andare, si rivolsero al re Erode, come a colui che avrebbe dovuto
essere informato della nascita dell’atteso Messia. Con la
semplicità che caratterizzava i popoli orientali, essi domandarono
dove fosse nato il re dei Giudei, avendo visto la sua stella in
oriente. Erode che aveva consumato tanti delitti per avere e
conservare il regno, fu costernato a questa notizia, perché sapeva
benissimo che gli Ebrei aspettavano un liberatore, e che da tutti si
diceva prossimo l’evento. Dissimulò, pertanto, il suo turbamento
e, nel suo crudele animo, fece già il piano di sbarazzarsi del nato
Re, uccidendolo. Chiamò i capi delle classi sacerdotali e i dottori
della Legge, e domandò loro con insistenza dove sarebbe dovuto
nascere il Cristo. La sua domanda suscitò un turbamento in tutta
Gerusalemme, perché la carovana degli stranieri che vi erano giunti,
l’annuncio del compimento delle promesse, e forse soprattutto il
timore della crudeltà del tiranno, sconvolto dall’annuncio della
nascita del re aspettato, faceva temere al popolo qualche brutta
sorpresa. L’ingratitudine umana, poi, non ha limiti, dolorosamente;
il popolo si era adattato al regime di oppressione e, come tutti i
popoli decaduti, preferiva rimanere supinamente oppresso, anziché
venire in urto con chi lo dominava.
Il
Vangelo dice espressamente che Erode
si turbò e con lui tutta Gerusalemme;
non
fu dunque un moto di commozione per l’annuncio del nato Re, ma un
timore grande di nuove oppressioni da parte del tiranno, e di
complicazioni penose che rese il popolo solidale col perfido monarca.
Il
prestigio dei Magi non doveva essere indifferente, se Erode prese in
tanta considerazione la loro domanda, e la stimò così vera, da
radunare il consiglio dei sacerdoti e degli scribi, per sapere da
loro la risposta che avrebbe dovuto dare. Si sapeva che le profezie
riguardanti il Redentore erano determinate, e questo non poteva
ignorarlo lo stesso Erode; non era dunque difficile rispondere ai
Magi, facendo capo alle Scritture. Il consiglio dei sacerdoti e degli
scribi, infatti, fu unanime nell’affermare che il Redentore doveva
nascere a Betlemme di Giuda, secondo la profezia di Michea.
L’evangelista
non cita letteralmente la profezia, ma il senso che dà è preciso.
Michea dice che Betlemme è
piccola fra le mille città di Giuda
ma,
nascendo da essa il Redentore, è grande; san Matteo dice nel
medesimo senso che essa non
è la minima tra le città principali di Giuda,
perché
da essa esce il condottiero che deve reggere il popolo d’Israele.
Avuta la
risposta, Erode chiamò segretamente a sé i Magi, perché volle
evitare che il popolo li accompagnasse e andasse dal nato Messia, e
s’informò minutamente del tempo nel quale era loro comparsa la
stella. La risposta dei sacerdoti lo aveva anche di più insospettito
e preoccupato, perché essa aveva un grande valore innanzi al popolo,
e avrebbe potuto provocare una sommossa contro la sua usurpata
autorità. Astuto com’era, finse di volersi recare anch’egli ad
adorare il nato Re, e mandò i Magi a Betlemme perché l’avessero
ricercato, e gli avessero riferito minutamente intorno al luogo dove
si trovava. Voleva saperlo per poi farlo uccidere, e s’informò del
tempo della comparsa della stella perché, al suo animo crudele,
abituato alle stragi, già balenava l’idea di non ucciderlo
direttamente attirandosi l’odiosità popolare, ma di coinvolgerlo
in una strage comune.
Appena
udita la risposta del re, i Magi partirono, ed ecco che la stella,
visto nell’oriente ed eclissata ai loro sguardi, riapparve nel
cielo, con immensa gioia del loro animo, indicò la via da percorrere
e si fermò sulla grotta dov’era ricoverato Gesù; è probabile,
infatti, che la Vergine Santissima fosse stata costretta a rimanere
in quella grotta, continuando l’affluenza dei forestieri a Betlemme
per il censimento. Forse la dolcissima Mamma si fermò perché
Gerusalemme era poco distante da Betlemme, ed attese il compimento
dei giorni legali per presentare al tempio il Bambino; forse fu
disposizione di Dio che il Verbo Incarnato rimanesse ancora in quella
povertà estrema, per manifestarsi così ai pagani. Il fatto certo è
che Maria stava ancora a Betlemme all’arrivo dei Magi, e si trovò
sola col Bambinello, essendo andato san Giuseppe o a lavorare o a
disbrigare faccende.
I Magi
non videro nulla di straordinario, ma videro ciò che era
immensamente straordinario da ferire l’anima d’amore: videro
Maria col suo Bambino divino e furono talmente colpiti dalla santità
della Madre e dalla maestà del Figlio che si prostrarono e lo
adorarono, non a mo’ di saluto, perché non avrebbero potuto
salutare un infante, ma lo adorarono come Re e come Dio, e gli
offrirono doni, come soleva farsi ai re, e doni particolari che si
addicevano al Redentore: l’oro, l’incenso e la mirra. Con l’oro
lo riconobbero Re, con l’incenso lo confessarono Dio, con la mirra
riconobbero la sua condizione di Vittima.
Innanzi a
Gesù Cristo e a Maria Santissima si sentirono infiammati d’amore,
provarono una felicità mai sentita nella loro vita e, avvertiti in
sogno di non ritornare da Erode, temendo di essere vigilati dal
tiranno, se ne ritornarono per un’altra strada, segretamente, al
loro paese.
Padre Dolindo Ruotolo
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