Commento
al Vangelo – II Domenica dopo Natale 2015 (Gv 1,1-18)
Il
Verbo e il Logos
L’evangelista
intende stabilire bene il fondamento della nostra fede in Gesù
Cristo, vero Dio e vero uomo, affinché non si fosse potuto formare
un Cristo arbitrario né si fosse potuto confondere il Verbo eterno,
consustanziale al Padre con la povera ombra intuita da Platone nel
tentare, con i lumi della sola ragione, di scrutare le profondità di
Dio.
San
Giovanni scrisse il suo Vangelo ad Efeso, centro di cultura, dove era
conosciuto il famoso logos
di
Platone, prima, lontana intuizione imperfetta del Verbo di Dio, avuta
da Platone certamente per un lume di grazia naturale, quasi per
preparare le menti alla sublime rivelazione della fede. Platone,
considerando Dio come infinitamente intelligente, lo chiamò mente,
e
la sua intellezione la chiamò logos,
cioè
idea della mente divina, secondo la quale Egli creò tutte le cose, e
ne rifletté in sé l’ardore, perché
creò il mondo per amore di sé, onde quel detto famoso del filosofo
che sembra un’ombra lontana della Trinità.
Il
logos di
Platone era ben lungi dalla concezione del Verbo di Dio,
consustanziale al Padre e Persona distinta da Lui, ma san Giovanni
designò il Verbo eterno con la stessa parola, sia perché gli
eretici avevano dovuto già cominciare ad abusarne, e sia perché non
si fosse confuso con l’idea di Platone; per questo, dopo aver detto
che il Verbo era eterno, era Persona distinta dal Padre, era Dio Egli
stesso, soggiunge che
Egli era nel principio presso Dio, cioè
non era solo un’intellezione transeunte della mente di Dio, come è
transeunte un atto della nostra mente, ma era eterna
conoscenza del Padre, eternamente
presso
il Padre, cioè
sussistente ed eternamente distinto da Lui. Non era solo un’idea
della mente divina, secondo la quale furono create le cose, ma
era onnipotente come il Padre e
per Lui furono fatte tutte le cose, e senza di Lui nulla fu fatto di
ciò che è stato fatto. Il
Verbo era presso
Dio, in
greco omoúsion,
cioè
uguale al Padre; non era, dunque, il logos
di
Platone, concepito come prima creatura di Dio, ma era Dio come il
Padre, Dio onnipotente e Creatore, per
cui furono fatte tutte le cose, e senza di Lui nulla fu fatto di ciò
che è stato fatto o,
secondo il greco, neppure
una cosa di
ciò che è stato fatto; Egli non era la creatura prima fra le
creature, secondo il concetto di Platone che presiedeva alla
creazione delle altre; era il Verbo eterno per cui tutto fu fatto.
Non era ministro
della
creazione, ma ne era causa
col
Padre e lo Spirito Santo.
L’evangelista
dice che tutto fu fatto per
mezzo di Lui, perché
nel Verbo eterno sono i prototipi di tutte le cose create.
L’artefice
fa tutto per la sua idea, per la sapienza che ha e per il concetto
che si forma di ciò che vuol fare, cioè fa tutto attraverso il
Verbo della sua mente; Dio crea secondo i prototipi della sua mente
infinita, e i prototipi sono nel Verbo a Lui consustanziale, sua
conoscenza sussistente, Figlio suo generato da Lui ab
aeterno. Il
Verbo riceve dal Padre, con l’essenza divina, l’onnipotenza e
l’azione, la stessa del Padre, col quale e con lo Spirito Santo
crea tutto.
Dall’eternità
al tempo
San
Giovanni passa perciò dall’eternità al tempo, e accenna alla
creazione di tutto attraverso l’eterna e increata sapienza. Mosè
disse: In
principio Dio creò il cielo e la terra, e
non poté sondare il grande mistero nella sua fonte, ma udì la
parola creatrice di Dio che popolava il tempo e lo spazio di
meraviglie; san Giovanni penetrò più in fondo l’arduo mistero e,
in quella Parola onnipotente che risuonò prima sul vuoto del nulla e
poi sulla informe massa del caos, ravvisò l’infinita potenza
creatrice di Dio che, attraverso il suo Verbo, creava tutte le cose.
Chi può
scrutare quell’arcano momento nel quale venne fuori la creazione, e
chi può intendere la grandiosa, immensa poesia di quella settimana
di giorni, di anni, di secoli, di miliardi di secoli che vide sorgere
ad una ad una tutte le meraviglie dell’universo?
Chi può,
anche lontanamente, intuire che cosa grande fu il passaggio repentino
dal non essere all’essere?
Ne
abbiamo un’idea nella potenza delle parole della Consacrazione
eucaristica, poiché il Verbo Incarnato le dice, attraverso il
sacerdote, sul pane e sul vino, realizzando, con poche parole, il più
grande miracolo, ma i nostri sensi non ne percepiscono nulla.
La
Chiesa, nel suo ammirabile linguaggio, quasi dimentica della parola
dogmatica che designa questo arcano prodigio d’amore,
transustanziazione,
lo
riguarda, per così dire, come una nuova formazione del Corpo e del
Sangue di Gesù Cristo, e fa dire al sacerdote: Ego
volo celebrare Missam, et confìcere
Corpus
et Sanguinem Domini nostri Jesu Christi.
Il
sacerdote non produce
certo
il Corpo e il Sangue di Gesù, ma produce la transustanziazione del
pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Gesù Cristo; le sacre
parole, perciò, hanno una potenza produttiva
che
dà un’idea della potenza creatrice del Verbo di Dio nell’atto in
cui chiamò all’essere e all’ordine le creature.
In Dio,
tutto è in atto, poiché Egli è Atto purissimo, tutto è presente
perché Egli è eterno; la creazione era già tutta nei prototipi
della sua mente infinita e, diremmo con frase ardita, Egli, nel
diffondere la sua bontà, anziché accrescerla di una grandiosa
manifestazione della sua potenza, della sua sapienza e del suo amore,
dovette quasi ridurla amorosamente, per proporzionarla alle creature
alle quali voleva dare l’essere. Avrebbe potuto e può creare
milioni e miliardi di mondi e di meraviglie, ma limitò la sua
creazione secondo i fini di gloria e di amore che, nei suoi arcani
disegni, voleva raggiungere nelle creature.
Il Verbo
eterno, sua glorificazione infinita, diffuse la sua bontà per
partecipare la vita e la felicità alle creature, per renderle
glorificazione del Padre, e per effondere in esse la sua stessa voce
di glorificazione; ma, nel diffondere l’infinita bontà, limitò il
numero delle creature. Ad
extra produsse
un’immensa armonia di glorificazione ma, nella profondità di Dio,
Egli fu solo voce d’infinita glorificazione, e per questo volle
effondere questa voce di gloria in tutte le creature; e riparò la
deficienza di quelle senz’anima e le miserie di quelle ragionevoli,
incarnandosi. Si fece uomo e si donò all’uomo, arricchendolo di
preziosissimi doni, perché egli avesse potuto lodare Dio degnamente,
attraverso le stesse opere della creazione. Per questo san Giovanni
soggiunge che in
Lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini.
Il
momento della creazione è un mistero che dà le vertigini; ma
l’evangelista ci dà in mano la chiave per vederlo almeno in
sintesi, dicendo: Per
mezzo di Lui furono fatte tutte le cose.
Elèvati
anima mia in alto e contempla.
Ecco Dio,
ecco Dio, Uno e Trino, tutto in sé, tutto compiaciuto di sé, in
umiltà divina, oserei dire, perché se l’umiltà è verità,
nessuna umiltà è più profonda quanto quella della verità eterna
che conosce Se stessa infinitamente, generando l’eterno Verbo.
Conoscendosi,
Dio si ama, infinitamente si ama, e l’amor suo è sussistente, è
Persona distinta, è diffusione infinita del Padre al Figlio e del
Figlio al Padre, è Fiamma d’eterno ardore che, unendo il Padre al
Figlio e il Figlio al Padre, rende Dio tutto fiamma d’amore, lo
rende carità: Deus
charitas est.
Dio,
conoscendo se stesso, conosce la sua onnipotenza, e conosce i
prototipi della sua infinita mente, secondo i quali la sua
onnipotenza può diffondersi ad
extra, li
conosce nel Verbo che è sussistente conoscenza di sé.
È una
conoscenza semplicissima e tutta in atto, ma noi dobbiamo immaginarla
come successiva per averne una lontana idea, dobbiamo paragonarla,
per lontana analogia, alla mente di un artista che contempla in sé
gli ideali che ha, e che li vede quasi in atto nel suo pensiero.
Dio solo
compie le sue opere secondo i suoi prototipi, le vede e se ne
compiace, perché sono buone: Vidit
Deus quod esset bonum; e
anche quando esse, per la malizia della creatura ragionevole, si
disordinano, Egli cava dal disordine una nuova armonia, e dalle
rovine una nuova fioritura di bene. Egli, quindi, non fallisce mai
nei suoi disegni, pur lasciando alle sue creature la piena libertà;
Egli tutto prevede e ordina le sue opere a quello che vuole.
Don Dolindo Ruotolo
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