Commento
al Vangelo della Domenica di Pasqua 2015 (Mc
16,1-7)
La
risurrezione di Gesù Cristo
Gli apostoli stavano rinchiusi per
timore di essere catturati, e non ebbero neppure il coraggio d’andare
al sepolcro; forse furono informati che vi era la guardia. Le pie
donne, invece, ignare di questo e spinte dall’amore, comperati la
sera del sabato gli aromi funebri, appena terminata, al vespro, la
festa, si avviarono di prima mattina, il giorno seguente, primo della
loro settimana, per imbalsamare il Corpo del Redentore. Fecero un
cammino piuttosto lungo e giunsero al sepolcro mentre spuntava il
sole.
L’amore
le spingeva, ma si ricordarono che la pietra posta sulla tomba era
molto grande, e si domandavano fra loro come avrebbero fatto a
trovare qualcuno che l’avesse tolta in quell’ora. Alzati però
gli occhi, si accorsero che era stata già tolta, ed entrarono
trepidanti nella caverna. Trasalirono di stupore, vedendovi non il
Corpo del Redentore, ma un angelo sotto sembianze di giovane, vestito
di bianco perché tutto luminoso, il quale disse loro: Non
abbiate timore; voi cercate Gesù Nazareno crocifisso; Egli è
risuscitato, non è qui. E,
mostrato loro il luogo dov’era stato deposto, le esortò a darne
notizia ai suoi discepoli e in particolare a Pietro, dando loro
convegno in Galilea. La Galilea era un luogo più pacifico, dove la
riunione dei molti discepoli che Egli aveva, poteva destare minori
rappresaglie. Gesù Cristo, in realtà, si mostrò subito,
ripetutamente, ai suoi apostoli, come si mostrò certamente e prima
di tutti, a Maria Santissima, per consolarla; ma volle la riunione di
tutti i suoi apostoli e discepoli in Galilea.
La
missione degli apostoli
San Marco ricapitola in pochi
versetti gli avvenimenti che si verificarono dopo la risurrezione,
perché erano molto noti in mezzo ai fedeli, ai quali, prima di
tutto, si annunciavano, predicando il Vangelo, a conferma della fede.
Egli accenna all’apparizione fatta a Maria Maddalena, a quella che
ebbero i discepoli di Emmaus, e a quella che ebbero gli apostoli, e
conclude ricordando la missione che Gesù diede loro e la sua
Ascensione al cielo; ma in questi pochi accenni quante mirabili scene
sono sintetizzate, quante delicatezze del Cuore adorabile di Gesù e
– bisogna pur dirlo –, quante ingratitudini da parte dei suoi
discepoli! La morte dolorosa di Gesù li aveva disorientati, ed essi
avevano perso talmente la fede nel suo trionfo, da credere
impossibile la risurrezione. Credettero visionarie le pie donne
tornate dal sepolcro, e stentarono a credere persino quando Gesù
medesimo apparve ad essi. Anzi, le stesse testimonianze della
risurrezione disorientarono talmente due di loro che pensarono di
ritornarsene al loro villaggio di Emmaus, non avendo più speranza
alcuna nelle promesse del Maestro divino.
È doloroso pensare tutto questo,
ed è più doloroso constatare che il cuore umano è sempre duro di
fronte alle amorose espansioni del Signore.
Si crede facilmente ai
disseminatori di errori e di stoltezze, e si è sempre titubanti
innanzi allo splendore dell’eterna Verità.
Eppure la fede è confermata da
tali innumerevoli argomenti di luce che bisogna essere ciechi per non
vederne l’importanza e la realtà. Non crediamo a favole più o
meno dotte: crediamo alla verità, e camminiamo nella nostra povera
valle, alla luce degli eterni splendori. La nostra fede ci fa
cacciare veramente i demoni che infestano la vita presente, ci fa
parlare il linguaggio del Cielo, ci fa vincere i vizi che come
serpenti ci insidiano, ci libera dal veleno del male e ci rende forti
e sani nelle vie del nostro pellegrinaggio. Credendo, noi abbiamo
come meta gloriosa il Cielo, dove Gesù Cristo è asceso per
prepararci la dimora della felicità eterna. Non siamo dunque duri di
cuore, e ripetiamo spesso il nostro atto di fede al Signore, per
essergli fedeli e vincere il mondo.
La
fede vera
L’evangelizzazione delle
nazioni non è terminata: continua e continuerà fino al termine dei
secoli; abbiamo tutti il dovere di cooperarvi con la preghiera e con
l’azione, affinché il regno di Gesù Cristo si dilati, e si formi
di tutte le genti un solo ovile sotto un solo Pastore. Ogni anima
cristiana deve preoccuparsi della salvezza delle altre, perché è
inconcepibile un cristiano ristretto nel suo egoismo. Il mondo è
duro di cuore e non presta fede a quelli che attestano la verità; ma
noi dobbiamo vincere la sua durezza con la nostra fede e la nostra
carità. Non basta per noi una fede superficiale, fatta più di una
certa condiscendenza ad una tradizione nazionale o familiare, anziché
di profonda convinzione e adesione a Dio che rivela e alla Chiesa che
ci illumina e ci guida: occorre una fede piena, capace di
manifestazioni grandi e potenti e di frutti miracolosi di grazia.
Gesù Cristo enumerò alcuni
miracoli esterni che sarebbero stati segni della fede viva: cacciare
i demoni, parlare nuove lingue, prendere
in mano i serpenti, e
in generale trattare anche con gli animali nocivi senza averne danno,
essere immuni dai veleni e guarire gl’infermi.
Questi miracoli avvennero
veramente nei primi tempi della Chiesa, e avvengono nelle missioni, a
conferma della verità, anche oggi; ma quando non c’è bisogno di
questi segni impressionanti, la nostra fede dev’essere così
grande, da produrli spiritualmente in noi e negli altri; la nostra
fede dev’essere piena, e tale da ripudiare ogni suggestione
diabolica.
Demoni
sono gl’insidiatori della fede; demoni i falsi profeti, i falsi
filosofi e i creatori di ideologie anticristiane; ora, questi demoni
dobbiamo avere la forza di cacciarli, e se non lo facciamo è segno
che crediamo poco.
Il mondo ha un linguaggio
ignobile e, nella migliore ipotesi, tutto naturale e ristretto nella
materia; noi dobbiamo parlare la lingua del Cielo, e mostrare, nelle
parole più comuni della vita, la nostra spiritualità.
Non possiamo appartarci dal mondo
nel quale viviamo, ma dobbiamo passarvi senza riceverne nocumento,
come chi maneggia i serpenti e non ne è morso, beve il veleno e non
ne riceve danno.
Il mondo è pieno d’infermità
corporali e spirituali, e noi dobbiamo curarle con la nostra fede che
sboccia nella carità. Una fede senza carità è una fede paralitica
o morta; i miracoli non sono solo quelli che fanno i santi per dono
gratuito di Dio, ma sono anche quelli della carità. Un cuore che si
espande per amore di Dio che consola che soccorre che muta un’anima
abbrutita in un fiore del campo di Dio e un corpo dolorante in
un’oasi di pace e di conforto mostra in sé una grande fecondità
di fede, e glorifica la verità anche innanzi ai miscredenti.
Padre Dolindo Ruotolo
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