Commento
al Vangelo della II Domenica di Pasqua 2015 B (Gv
20,19-31)
Gesù
Cristo appare agli apostoli
Dopo che
Pietro e Giovanni tornarono dal sepolcro, e dopo il messaggio delle
pie donne e della Maddalena, cominciò a nascere negli apostoli un
po’ di fede. Non era la fede profonda e completa di chi crede a Dio
che rivela, riguardando come somma ragione la sua autorità, ma era
come l’alba di questa fede, era come il rinascere di una speranza
che sembrava già morta, era come il primo rinverdirsi d’un ramo
spezzato dalla tempesta. Questo poco di fede, più naturale che
soprannaturale in quel momento, fu la disposizione che rese loro
possibile la grazia della rivelazione del Signore.
La paura
è sempre una pessima consigliera e, quando diventa panico, cerca
ogni scappatoia per sottrarsi al pericolo; se non in tutti gli
apostoli e discepoli, almeno in alcuni, subentrò un desiderio
occulto di non pensare più al passato, di abbracciare un tenore
comune di vita, e ritornare alle loro occupazioni; ne abbiamo un
esempio nell’episodio dei discepoli di Emmaus, del quale parla san
Luca (24,13-35). Il timore si accrebbe negli apostoli per le stesse
notizie che riguardavano la risurrezione. Certamente il Corpo di Gesù
non c’era più nel sepolcro, e questo fece loro temere che le
autorità li accusassero di averlo essi sottratto, iniziando contro
di loro una persecuzione; perciò stavano guardinghi e tenevano ben
chiuse le porte dove erano congregati. Ora, mentre erano insieme,
nella sera della stessa domenica della risurrezione, Gesù Cristo,
senza bisogno di farsi aprire, entrò improvvisamente in mezzo a loro
e, fermatosi, disse: La
pace sia con voi.
Il
momento fu solenne, ed è difficile, per noi, formarcene una pallida
idea.
Il Corpo
di Gesù, essendo risorto, era glorioso, e aveva quella dote che i
teologi chiamano sottigliezza,
per
la quale poteva attraversare gli ostacoli. Oggi questa dote è di più
facile comprensione, poiché ne abbiamo qualche analogia nelle onde
radiofoniche e nei raggi catodici che attraversano senza difficoltà
ostacoli insormontabili ai corpi. Il Corpo glorioso è come
spiritualizzato, è come fluido, tutto luce e tutto energia, e può
attraversare gli ostacoli molto più che un’onda di radio. Gesù
Cristo apparve nella sera, quando già cominciavano le tenebre, tutto
rifulgente di luce nelle penombre della stanza dov’erano gli
apostoli. Non irradiava luce quasi fosse un sole, come può arguirsi
da apparizioni di esseri ultramondani, ma era Egli, come un corpo
tutto splendente, luce placidissima che non abbagliava.
Gesù,
ritto nella sala, vestito non di panni ma di gloria, era la bellezza
purissima che elevava l’anima a Dio, diffondeva gioia, pace, amore,
e per questo il Sacro Testo dice con parola mirabilmente sintetica: I
discepoli, vedendo il Signore, gioirono. Era
la gioia della vita piena che emanava da Colui che era la vita; era
la pace che diffondeva Colui che era la verità, calmando le ansie
oscure dell’anima; era la contentezza che dava Colui che era come
faro luminoso, dal quale veniva tracciata la via del Cielo.
Gioirono
i discepoli nella gioia della purezza che spirava dal Corpo divino e,
in quella gioia, si estinsero in loro le povere fiamme della carne
che ustionano fastidiosamente il cuore e lo fanno stare tra le spine.
Non c’è gioia più grande della purezza integrale: è una gioia
che nasce dall’amore di Dio che si trasfonde nell’anima come luce
di verità, come calore di carità, e come complesso di bontà. In
noi c’è sempre qualche cosa d’impuro, e qualunque gioia
spirituale è sempre turbata dalla nostra miseria; gli apostoli, nel
vedere Gesù, si sentirono puri e purificati, poiché Egli diffuse in
loro una grande serenità, e dicendo: La
pace sia con voi, li
avvolse in quella pace che spira da Dio, Verità, Sapienza e Amore
eterno.
Pace,
tranquillità
d’ordine, serena sicurezza, riposo d’amore nell’eterno Amore!
A
chi rimetterete i peccati, saranno rimessi…
Gioirono
i discepoli, ma nella gioia stessa provarono un senso di timore per
le colpe che avevano commesse, e per la sproporzione che sentivano
col Signore glorioso; per questo, Gesù, rassicurandoli, ripeté le
dolci e vivificanti parole: La
pace sia con voi e,
sollevandoli dalla loro profonda umiliazione interiore, soggiunse:
Come
il Padre ha mandato me così io mando voi.
Con
delicatezza divina e con divina signorilità non volle che avessero
sentito il peso della loro inferiorità innanzi a Lui glorioso; gli
ripugnava quasi che avessero potuto stabilire un paragone fra loro
peregrinanti e Lui trionfante e, anticipando le grazie della
Pentecoste e il momento nel quale diede loro la pienezza della
missione per la quale li aveva scelti, soffiò su di loro e disse:
Ricevete
lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a
chi li riterrete saranno ritenuti. Gesù
Cristo non fece loro una promessa, ma diede loro veramente una
comunicazione attuale dello Spirito Santo, alla quale era annessa la
facoltà di rimettere i peccati.
Dicendo:
A
chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi li riterrete
saranno ritenuti, Gesù
Cristo diede agli apostoli e ai loro successori la potestà
giudiziale di rimettere i peccati nel sacramento della Penitenza,
com’è chiarissimo dal Testo, e come dichiarò esplicitamente il
Concilio di Trento (Sess. XIV, can. 3). Tutti i peccati, anche i più
gravi, possono essere rimessi, ma debbono essere sottoposti al
giudizio del sacerdote con la confessione, perché il rimetterli o
ritenerli non è un atto di capriccio, ma è una sentenza ragionevole
che dipende da un giusto giudizio; tale giudizio non può farsi se il
peccatore non confessa i suoi peccati e se, confessandoli, non mostra
le disposizioni interiori che lo animano.
Con
divina delicatezza Gesù anticipò agli apostoli la facoltà di
rimettere i peccati, proprio nel momento nel quale essi si sentivano
maggiormente peccatori, rendendoli giudici quando essi si aspettavano
di essere giudicati. Egli volle rialzarli dall’umiliazione e, nel
medesimo tempo, volle dare loro i tesori della misericordia quando
essi maggiormente si sentivano poveri e peccatori, affinché avessero
compatito le miserie altrui. L’uomo ha cercato tutelare l’ordine
sociale con le leggi e i tribunali penali, con le carceri e persino
con la morte, ma non ha potuto far nulla per mutare l’anima del
delinquente, nonostante tutte le assistenze sociali ai carcerati.
Solo Dio poteva erigere un tribunale di amorosa misericordia che
rinnova il cuore, dona la pace, eleva in alto il peccatore e lo muta
in un giusto e persino in un santo.
Gesù
Cristo risana Tommaso dalla sua incredulità
Quando
Gesù apparve agli apostoli, Tommaso non era con loro. Di carattere
più indipendente, di volontà più ostinata, forse aveva creduto
inutile starsene rinchiuso nel Cenacolo, o forse anche era andato a
sbrigare qualche faccenda. Era colui che meno aveva creduto al
messaggio delle pie donne e di Maria Maddalena, e può darsi che,
sentendone parlare e discutere, si fosse così disorientato e urtato,
da uscirsene. Per lui ormai era certo che Gesù era morto che le
speranze riposte in Lui erano fallite, e che ostinarsi ad attendere
ancora eventi che gli sembravano ormai impossibili era lo stesso che
esporsi alla derisione e dar di volta al cervello. Il suo
disorientamento si accrebbe quando, al ritorno, seppe dagli altri
apostoli dell’apparizione di Gesù.
È
evidente che gli dovettero raccontare tutto minutamente, e che, al
suo ostinarsi nel non credere, dovettero ripetutamente fargli notare
che essi avevano visto proprio le ferite delle mani, dei piedi e del
costato, e che non c’era dubbio che fosse proprio Lui. Ma Tommaso
credeva di scorgere nella gioia, nell’entusiasmo e nella certezza
dei compagni, i segni di un’esaltazione fantastico, e perciò, alle
loro insistenti affermazioni, rispose: Se
non vedo nelle sue mani la ferita dei chiodi, e se non metto il mio
dito al posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non
credo.
Gesù
appare di nuovo, presente Tommaso, che è guarito dalla sua
incredulità
Otto
giorni dopo, i discepoli erano di nuovo tutti raccolti nella casa, e
Tommaso era con loro. Forse pregavano; certo erano in un momento di
raccoglimento nel quale era più facile la mozione della grazia.
Crediamo
che Maria si trovasse con gli apostoli, e che fu proprio Lei ad
implorare la grazia della conversione per Tommaso. Come Madre amorosa
che prendeva cura attiva dei figli affidatile da Gesù, conobbe o fu
addirittura presente al disorientamento di Tommaso, e supplicò il
Figlio suo divino a sanarlo. A Lei dovette suscitare tanto dolore
l’incredulità di un apostolo, e vide in essa la rappresentanza
dell’incredulità dei diffidenti e presuntuosi nella fede.
Quale
gioia per gli apostoli e quale sorpresa per Tommaso! Egli si voltò,
lo vide, lo riconobbe: era Lui! Allibì per un momento, temette, si
turbò, ma Gesù gli effuse subito nel cuore la serena tranquillità,
dicendo: La
pace sia con voi. La
tracotanza di Tommaso fu in un momento fiaccata, e nel suo cuore
cominciò a sorgere un tumulto d’amore e di umiliazione. Gesù lo
chiamò a sé, e lo invitò a mettere il dito nelle sue piaghe e la
mano nel suo costato, dicendogli con infinito amore: Non
voler essere incredulo ma fedele.
Il Sacro
Testo non dice se Tommaso abbia messo il dito e la mano nelle piaghe
di Gesù, ma noi crediamo che il Redentore ve l’abbia costretto. A
quella vista, a quel contatto, Tommaso si prostrò e, adorandolo,
disse: Signor
mio e Dio mio. Non
poté dire altro: il
cuore
gli scoppiava dal dolore e dall’amore, la fede divampava in lui,
l’abbandono era pieno nel suo Redentore e nel suo Dio. Ma Gesù
soavemente lo rimproverò, per completare la grande lezione che
voleva dare ai secoli futuri, dicendo: Perché
hai visto, o
Tommaso,
hai creduto; beati coloro che non hanno visto e hanno creduto. Non
è fede il credere perché si vede, ma il credere per l’autorità
di Dio che parla per la Chiesa; è solo allora che l’anima riposa
nella verità. Ogni propria constatazione può essere fallace, ogni
esperienza personale può essere offuscata dalla fantasia, ogni
propria persuasione può mutarsi col mutarsi delle circostanze che
l’hanno formata; solo la parola di Dio è sicura, solo la voce
della Chiesa ce la può accertare e solo credendo ciò che non si
vede e non si tocca con mano si può dire di aver fede e di credere
in verità veramente divine.
Beati
quelli che non hanno visto e hanno creduto
Siamo in
tempi di stolto positivismo, nel quale si vuol tutto vedere e toccare
con mano, trascurando le positivissime basi della verità, della
sapienza e della vita. Tommaso dolorosamente ha fatto scuola, e i
suoi seguaci l’hanno superato; egli voleva toccare con mano Gesù,
essi si restringono alla materia e vogliono toccare solo quello che
sembra ad essi vita. Si è detto che giovò più san Tommaso alla
nostra fede con la sua incredulità che gli apostoli con la loro
fede, perché la sua incredulità fu l’occasione di una solenne
conferma della risurrezione di Gesù Cristo.
È una
frase che bisogna intendere con un granello di sale. L’incredulità
non giova mai, neppure quando dà occasione ad una maggiore
chiarificazione della verità, certo non per suo merito.
La
chiarificazione viene dalla fede della Chiesa, non dalla provocazione
della miscredenza. In realtà, se san Tommaso fosse stato fedele e
avesse creduto, la sua fede avrebbe diffuso, nei secoli, un’onda di
fede. Egli, invece, è stato preso quasi come vessillo di quelli che
non credono al soprannaturale, e che pretendono di vedere e scrutare
tutto.
Chi
non ha, nella sua vita, un momento di stolta titubanza innanzi alla
verità della fede? Chi non si lascia qualche volta turlupinare da
satana che presenta come tenebre ciò che è luce? Chi non desidera,
almeno qualche volta, toccare con mano la realtà dei misteri?
Umiliamoci e, ricordando le parole di Gesù: Beati
coloro che non hanno visto e hanno creduto, cerchiamo
questa santa beatitudine della fede che non vede e crede. Gesù non
disse: Beati
coloro che non vedono e credono, ma
disse: Beati
coloro che non hanno visto e hanno creduto, indicando
così, chiaramente, che la beatitudine di chi crede senza vedere si
riepiloga in Cielo, dopo la vita presente; allora quelli che in vita
non
hanno visto e hanno creduto, avranno
la gioia immensa di vedere tutto nel lume della gloria, in Dio
stesso. La fede cieca, anche sulla terra dà la gioia della pace,
poiché l’anima che crede riposa in Dio; ma la gioia della vita
vera è riservata nell’eternità, dove tutto è chiaro, e dove si
gode, contemplando la verità e l’armonia di ciò che si è creduto
in terra.
Gesù
Cristo disse: Beati
quelli che non hanno visto e hanno creduto, alludendo
forse anche ai santi dell’Antico Testamento che sospirarono a Lui,
e soprattutto alla fede di san Giuseppe e della Vergine Madre sua,
ammirabili esemplari di fede profonda, perché lo contemplarono nella
fralezza della sua vita mortale, nel nascondimento della sua maestà
e nell’umiliazione estrema cui si ridusse per amore. Maria, poi, lo
contemplò sul Calvario e nel sepolcro con vivissima fede, e fu
l’unico Cuore nel quale rimase intatta, anzi ingigantita, la fede,
quando tutto sembrò fallito, per la tragedia della Passione.
Padre dolindo Ruotolo
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