Commento al Vangelo: V Domenica di Quaresima 2017 A (Gv 11,1-45)
La risurrezione di Lazzaro
Pochi racconti nella medesima Sacra Scrittura hanno la vivezza storica e psicologica del miracolo che meditiamo. San Giovanni ne fu certamente testimone oculare, e la commozione grandissima che provò, dinanzi ad un prodigio così grande, glielo impresse indimenticabilmente nell’anima.
Non si può leggere questo racconto senza sentirsi presenti al fatto e senza piangere. La tenerezza di Gesù commuove, il dolore delle sorelle del defunto fa fremere, l’atteggiamento della folla dei visitatori ci fa vivere nella casa di Marta e di Maria, desolata dalla morte e movimentata dalle premure della carità. Tutto nel racconto è naturale e spontaneo come avvenne, e tutto è vivo come se il fatto si rinnovasse innanzi a chi lo legge.
Lazzaro, abbreviativo di Eleazaro, abitava con due sue sorelle, nel villaggio e castello di Betania, distante circa tre chilometri da Gerusalemme. Era un benestante, come appare dal contesto, ed era, con le sue sorelle, devotissimo a Gesù, che lo amava con particolare predilezione. Forse questa sua devozione dovette avere origine o per lo meno intensificarsi per la conversione di sua sorella Maria. Il Sacro Testo ricorda, infatti non senza ragione, la circostanza più bella di questa conversione, e cioè l’unzione che la povera peccatrice fece ai piedi di Gesù, quando in casa di Simone andò a domandargli perdono e misericordia.
Per una famiglia onorata e benestante Maria Maddalena era stata una vergogna grandissima, e la sua conversione aveva stabilito col Redentore dei rapporti di grande, amorosa gratitudine da parte di tutti, e in particolare forse di Lazzaro che, come uomo e come capo di casa, aveva dovuto essere il più sdegnato dall’indegna condotta della sorella. In Betania – da non confondersi con la Betania della Perea –, la famiglia di Lazzaro per la sua signorilità era tenuta in deferente considerazione, come appare dal concorso di gente che affluì nell’occasione del lutto sofferto; il modo stesso come mandarono a pregare Gesù quando il fratello si ammalò, e il modo come si lamentarono della mancata visita confermano questa signorilità che nel pregare si contentò di un accenno, e nel lamentarsi usò un’espressione piena di rispettosa deferenza. Da queste circostanze, poi, si deduce anche la fede che tutta la famiglia aveva in Gesù Cristo, vero Figlio di Dio. Nella preghiera, infatti che gli fecero non gli dissero di andare subito dall’infermo, non lo premurarono di guarirlo a distanza, non lo pressarono con espressioni accorate, ma gli esposero solo il caso doloroso, e fecero appello al suo Cuore: Ecco, colui che ami è infermo.
Gesù amava Lazzaro e la sua famiglia
e la sottopose alla prova del dolore
Il Sacro Testo non ci dice quale fosse l’infermità di Lazzaro né è possibile arguirla. Certo, era un malanno grave, poiché le sorelle dell’infermo mandarono a Gesù delle persone, non potendo nessuna delle due staccarsi dal letto dell’infermo; era un malanno che richiedeva cure continue. Dato che era inverno, può supporsi che fosse una polmonite.
Quando le sorelle videro che si aggravava, mandarono a pregare Gesù, temendo una complicazione. Non vollero fare pubblicità per evitare, poi, l’affluenza di visite fastidiose, e mandarono a pregare Gesù segretamente, come è chiaro dal contesto. Gesù rispose agl’inviati, rassicurandoli che quel malanno non era mortale, ma doveva servire per la glorificazione del Figlio di Dio. Egli parlò così riferendosi al miracolo che voleva fare, ma gli inviati crederono che li rassicurasse sul malanno, e dovettero essere non poco delusi quando, tornati a Betania, constatarono che, subito dopo, la casa piombò nel lutto.
Il Signore parla per farsi intendere da noi, e parla anche per manifestarci i suoi disegni ed esigere da noi la fede; a volte le sue parole sembrano fallire secondo il nostro modo di vedere, e possiamo anche scandalizzarcene; ma se Dio è Dio, dobbiamo avere anche l’umiltà, l’elementare umiltà di pensare che siamo noi che non le intendiamo. Giudicare le parole di Dio con la presunzione di vagliarle e criticarle è lo stesso che esporsi al pericolo di capirne poco o nulla, e di smarrirsi.
Gesù disse che la malattia non era mortale, mentre Lazzaro morì in quel giorno stesso; lo disse, oltre che per il miracolo che voleva fare, anche per non spaventare né le sorelle dell’infermo né l’infermo, e forse per questo il Sacro Testo soggiunge che Egli voleva bene a Marta, a Maria e a Lazzaro.
Egli, poi, amava quella famiglia di amore divino, e la sottoponeva alla prova del dolore; l’amava e la metteva nelle circostanze di fare un atto di fede più cieca e più completa in Lui. Quella morte doveva servire alla glorificazione del Figlio di Dio, ossia a rivelarne ancora una volta la potenza innanzi al popolo e – come dice Andrea Cretese (in Catena) –, alla glorificazione dolorosa della croce, perché la risurrezione clamorosa che la seguì, fu per il sinedrio il pretesto per decidere e stabilire la morte di Gesù; ora questi, per raggiungere fini tanto grandi, volle anche il concorso della fede e della pena della famiglia che prediligeva.
È il modo di operare di Dio che noi dobbiamo solo adorare: rassicurò la famiglia per non disorientarla in un momento di scoraggiamento; la morte del fratello amato fu accompagnata così da un barlume di speranza che la rese meno atroce fino all’ultimo; poi, nell’improvvisa delusione, Gesù raccolse come gemma preziosa il dolore delle sorelle del morto, e lo raccolse come concorso alla gloria di Dio; infine, andando di persona nella loro casa, utilizzò la morte per esigere da loro una fede più viva, e donò loro una consolazione immensa che le ripagò ad usura della prova. Se avessimo un pochino di fiducia in più in Dio, non staremmo a cavillare sulle tenebre che crediamo scorgere nella sua parola, ma l’adoreremmo in pace, attendendo i suoi tempi e i suoi momenti.
Gesù decide di andare da Lazzaro
Gesù voleva bene a Marta, a Maria sua sorella e a Lazzaro. Era una famiglia della quale poteva fidarsi, una famiglia che aveva in Lui una fede vera e soprannaturale, benché forse ancora un po’ deficiente. La prova la scosse, senza dubbio, perché vide fallita una sua rassicurazione, ma la stessa scossa servì poi a fortificarla e ad ingigantirla, essendo scritto che virtus in infirmitate perficitur.
Quando Gesù seppe che Lazzaro era infermo, si fermò ancora due giorni nella Perèa dove si trovava, per evangelizzare e curare il popolo che gli si affollava d’intorno. Dovette far forza al suo tenerissimo Cuore, per così dire, perché Egli conosceva bene che Lazzaro era morto, ma con la sua amorosa e invisibile misericordia, sostenne da lontano le desolate sorelle del defunto. I giorni che passarono dalla morte alla risurrezione di Lazzaro servirono, poi, a far meglio rifulgere il miracolo che voleva fare. Dopo due giorni, cominciò ad accennare ai discepoli la necessità che aveva di ritornare in Galilea. Essi erano spaventati dalle minacce del sinedrio e del popolo, e Gesù volle predisporli per non agitarli, dicendo loro: Andiamo di nuovo nella Giudea.
Non manifestò loro, in quel primo momento, lo scopo del viaggio, e domandò quasi il loro parere, per dare ad essi l’agio di manifestare prima il loro timore. È divinamente psicologico: quando infatti l’anima reagisce in pieno ad un progetto che le incute spavento, sfoga tutto il suo timore, ed è più capace poi di rientrare in sé quando capisce la ragionevolezza di quello che le si propone. Se si ragionasse durante lo stato di spavento o di eccitamento, svaluterebbe le ragioni senza riflettervi, e sarebbe più difficile convincerla. Gesù, nella sua grande delicatezza, non volle condurre con sé gli apostoli senza il loro consenso e, quasi trepidando, disse loro: Andiamo di nuovo nella Giudea. Essi supposero che volesse andare a Gerusalemme e, spaventati, gli dissero: Maestro, proprio ora i Giudei cercavano di lapidarti e di nuovo tu torni là? Gesù rispose con un paragone che non c’era nulla da temere. Gli Ebrei dividevano in dodici ore la durata del giorno, dall’alba al tramonto del sole, e queste ore erano più corte nell’inverno e più lunghe nell’estate. Ora, finché durava il giorno, non c’era pericolo per chi viaggiava d’inciampare; solo nella notte poteva urtare e cadere. Egli stava ancora nel giorno della sua attività, e nessuno avrebbe potuto impedirgliela, nonostante le maligne intenzioni che avevano i suoi nemici. Andassero, dunque, con Lui senza timore.
Gli apostoli rimasero ancora titubanti; non risposero, ma mostrarono col loro atteggiamento che non avevano piacere di ritornare in una regione ostile e minacciosa. Gesù, allora, per scuotere la loro titubanza, disse: Il nostro amico Lazzaro dorme, ma io vado a svegliarlo dal sonno. Non disse apertamente in quel primo momento che era morto, perché Lazzaro era amato anche dai discepoli. Nella sua infinita delicatezza non volle spaventarli d’improvviso con un annuncio ferale, e lasciò ad essi medesimi di arguirlo a poco a poco. Gli apostoli capirono che parlava del sonno naturale e, avendo saputo anch’essi che Lazzaro era infermo, crederono che quel sonno fosse un segno di guarigione, e quindi, con più calore, sostennero che non c’era ragione di andare nella Giudea a esporsi ad un pericolo mortale. Allora Gesù disse apertamente che Lazzaro era morto, ma per non rattristarli lasciò subito capire che voleva andare a risuscitarlo con un miracolo, dicendo che Egli godeva per loro di non esservi andato prima, perché il miracolo li avrebbe confermati nella fede.
Se Gesù fosse andato da Lazzaro all’invito delle sorelle di lui, non avrebbe resistito alle loro lacrime e alle loro preghiere, e avrebbe guarito l’infermo. Ora, questo miracolo non sarebbe stato così persuasivo e commovente per gli apostoli come quello della risurrezione di un morto. Essi evidentemente erano scossi nella fede per l’opposizione minacciosa del sinedrio, e avevano bisogno di una luce nuova, per riprendere lena e coraggio. Perciò Gesù, senz’altro, li invitò a seguirlo, e lo fece con tanta efficacia che essi, pur tremando, non osarono resistergli di più.
Erano mesti, intimoriti, angosciati, come chi va incontro ad un pericolo mortale, e perciò Tommaso, facendosi eco di questo stato d’animo, esortò i compagni ad andare a morire col Maestro. Forse disse questo per fare un ultimo tentativo di dissuaderlo ad andare, e forse anche lo disse per amore, perché era certo che Gesù sarebbe andato incontro alla morte. Betania distava da Gerusalemme circa quindici stadi; essendo lo stadio circa 185 metri, il cammino era breve, e Tommaso temeva molto che gli scribi e farisei avrebbero avuto molta facilità di catturare Gesù. Il miracolo, forse – pensava egli –, sarebbe stato un incentivo maggiore al loro furore, e avrebbe preferito che non fosse avvenuto.
Lazzaro probabilmente morì lo stesso giorno nel quale Gesù ricevé l’invito di andare a risanarlo; Gesù rimase poi ancora due giorni nella Perèa, e al terzo giorno si mise in viaggio, giungendo a Betania il quarto giorno dalla morte e quindi dalla sepoltura del defunto che, secondo l’uso ebraico, si faceva lo stesso giorno del decesso. Essendo breve la distanza di Betania da Gerusalemme ed essendo la famiglia di Lazzaro tenuta in grande stima, molti Giudei erano venuti a partecipare al suo dolore. Gesù non era ancora giunto presso l’abitato del villaggio che qualcuno corse ad avvertire Marta della sua presenza. Marta aveva il maneggio e l’amministrazione della casa, ed era più distratta dal suo dolore per la gente che l’affollava, mentre Maria rimaneva in casa, in preda a più profonda afflizione. Non fece meraviglia, perciò, vedere Marta uscire in fretta, e la gente immaginò che andasse a sbrigare qualche faccenda urgente.
Appena vide Gesù, Marta gli disse: Se Tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto. Non osò lamentarsi che non fosse venuto prima ma gli espresse il dolore dell’anima sua e quello che tante volte forse aveva detto insieme alla sorella. Vedendo poi la dolce serenità e bontà di Gesù, sentì nascere nel cuore la grande speranza di veder risorto il fratello, ma non osò dirlo apertamente e soggiunse: Ma anche adesso io so che qualunque cosa Tu domanderai a Dio, Dio te la concederà. E dovette scoppiare in pianto perché Gesù, consolandola, le disse: Tuo fratello risorgerà. Marta, per scrutare le sue intenzioni, e per costringerlo ad esprimersi più chiaramente, soggiunse: So che risorgerà nella risurrezione, nell’ultimo giorno. E continuò a piangere, perché le si affacciò il triste pensiero dell’ineluttabilità della morte. Gesù lesse nel cuore di lei quest’angoscia e questa titubanza di fede, e volle rianimarla, esigendo da lei un atto pieno di fiducia in Lui. Io sono – soggiunse –, la risurrezione e la vita; chi crede in me anche se fosse morto vivrà, e chiunque vive e crede in me non morirà in eterno. Credi tu questo? Marta, nel supplicarlo, aveva creduto che Gesù potessedomandare a Dio il miracolo, senza pensare che Egli stesso era Dio, e poteva farlo di piena potenza e autorità; Gesù corregge la pochezza della fede di lei, e si proclama Egli stesso risurrezione e vita dei morti, e vita dei viventi per la risurrezione spirituale e la grazia che loro concede. Marta capì di aver errato, e piena di fede soggiunse: Sì, o Signore io ho creduto che Tu sei il Cristo il Figlio di Dio vivo che sei venuto in questo mondo.
Il Maestro è qui e ti chiama
La fede le suscitò nel cuore la speranza e, sicura di quello che Gesù avrebbe fatto, andò in casa e chiamò la sorella sottovoce, dicendole: Il Maestro è qui e ti chiama. Evidentemente Gesù dovette domandare di lei nel primo incontro con Marta, sapendola più affettuosa e quindi più addolorata. Marta la chiamò sottovoce, per evitare che la gente si raccogliesse intorno a Gesù, perché nei grandi dolori si desidera rimanere soli con le persone più care.
Appena Maria seppe che Gesù era venuto, si alzò di scatto e corse da Lui, ansiosa di sfogare il suo dolore. Il saper presente Colui che essa amava d’amore intenso le rinnovò l’angoscia della morte del fratello, come suole avvenire a chi sta in lutto e, alzandosi, scoppiò in pianto; per questo i Giudei che erano in casa, supposero che in un impeto di rinnovato dolore, ella andasse al sepolcro che era nell’orto della casa, per piangervi più amaramente, e la seguirono per sostenerla e consolarla. Ella non badò neppure alla gente che la seguiva, ma corse diritto a Gesù e, al vederlo, estremamente commossa gli si gettò ai piedi e disse, piangendo a dirotto: Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto. E continuò a piangere tanto accoratamente che anche i Giudei presenti piansero.
Gesù, vedendola piangere e vedendo che tutti piangevano con lei, si turbò profondamente e fremette nel suo cuore, commosso per il dolore umano e per la poca fede di quella gente, che era come gregge abbandonato alla mercé delle tempeste della vita, senza conforto e senza la visuale sublime della vita eterna. Compassionò Maria, e compianse il popolo, sicché quasi ebbe fretta di operare, per consolare Maria e per illuminare il popolo, e domandò dove avessero posto il cadavere di Lazzaro.
Marta e Maria: due caratteri diversi
Si noti la differenza profonda fra il dolore di Marta e quello di Maria, e la diversità di quei due caratteri che emerge mirabilmente dal Sacro Testo.
Marta, più abituata alle faccende di casa, era più distratta e assillata dalle necessità della vita, in quella circostanza dolorosa non aveva quasi il tempo di riconcentrarsi nella grave perdita subita. Maria, invece, tutta raccolta in se stessa, angustiata forse anche dai gravi dolori dati al fratello per la sua vita passata – dolori che le apparivano allora più gravi e come ravvivati dalla morte –, era inconsolabile, ed esplodeva in tutto il suo affanno. Gesù Cristo misurò questo dolore in tutta la sua profondità, vide in lei tutte le anime gementi sulla terra per la morte delle persone care, considerò la fragilità umana nello scorgere la tomba alla quale lo accompagnarono, e pianse anch’Egli, mescolando le sue lacrime all’angustiante pena di tutti.
E Gesù pianse
E Gesù pianse. Come sono incisive queste parole, e come sono commoventi! Pianse senza strepito, soavemente, stillando nel suo pianto balsamo di consolazione per le pene che si provano alla morte dei propri cari, e pianse, meritandoci il suo conforto.
Il momento fu solenne; Gesù rimase per un po’ in silenzio; era bellissimo nel suo aspetto accorato e triste, e le lacrime gli scorrevano giù per le guance divine: piangeva, era allora più che mai affratellato all’umanità che geme e piange in questa valle di lacrime; piangeva, e mostrava in quel pianto tutta la tenerezza del suo amore, tanto da suscitare le meraviglie dei circostanti, i quali esclamarono: Vedete com’Egli lo amava!
Piangeva sulla morte spirituale di tanti che lo circondavano, e specialmente degli scribi e farisei che, neppure in quella dolorosa circostanza, disarmarono, ed esclamarono: Non poteva costui che aprì gli occhi al cieco nato, fare che quest’uomo non morisse? Pianse e fremette, pensando a questa cecità ostinata, e pregò internamente il Padre perché si fosse glorificato innanzi a quella moltitudine.
Lazzaro vieni fuori!
Giunse innanzi alla tomba che era una caverna scavata nella roccia, e coperta da un gran masso, e disse risolutamente: Togliete la pietra. Tutti tacevano; c’era intorno una mestizia profonda, e già un cattivo odore si sentiva venire dalla caverna. Marta perciò disse a Gesù: Signore, puzza già perché è di quattro giorni. Non andò all’idea che Gesù volesse aprire per sempre quel sepolcro, e suppose che volesse solo benedire la salma, o vederla per curiosità. Ma Gesù le replicò: Non ti ho detto che se crederai vedrai la gloria di Dio?
Tolsero dunque la pietra, e dovettero toglierla due uomini robusti. Tutti tacevano, anzi quasi trattenevano il respiro. Dalla caverna aperta si diffuse intorno un puzzo nauseante di cadavere in putrefazione. Non c’era dubbio che quell’uomo fosse veramente morto. I più vicini allo speco vedevano fra le ombre la bianca sagoma della salma tutta avvolta da fasce, e col volto parimente nascosto e legato da un sudario.
Gesù stava in mezzo al popolo che gli si accalcò intorno per vederlo. Sollevò gli occhi al cielo e, in quell’atteggiamento, sembrò gigante in mezzo alla moltitudine. Il suo volto divino rifulgeva di maestà insolita, e le tracce del dolore vi avevano impresso una nota di commovente amabilità. Pregò: Padre, ti ringrazio di avermi esaudito. Io, però, sapevo che Tu mi esaudisci sempre, ma l’ho detto per il popolo che mi circonda affinché creda che Tu mi hai mandato. Egli, dunque, compiva quel miracolo per mostrare che era veramente Dio, chiamando il Padre, e che era veramente uomo, supplicandolo di esaudirlo. Si fermò un istante con gli occhi in alto, e il cielo era riflesso in quegli occhi e in quel volto; poi gridò a gran voce: Lazzaro vieni fuori!
La voce si ripercosse lontano, echeggiò nei cieli, e subito il morto si alzò, e si trascinò fra le bende che lo impacciavano fin sull’ingresso della caverna.
Rimase lì, innanzi al suo Creatore che lo aveva richiamato alla vita. Il popolo istintivamente arretrò, spaventato e meravigliato, e un grido si levò dalla moltitudine. Gesù rimase tranquillo; il volto gli rifulgeva d’amore; ordinò che slegassero il morto risuscitato, perché potesse andare liberamente a casa.
Padre Dolindo Ruotolo
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