Commento al
Vangelo della XVI Domenica TO 2017 A (Mt
13,24-43)
Don
Dolindo Ruotolo
La
parabola del seminatore
La prima parabola che propose al popolo era come uno
sguardo che dava al cuore e alle disposizioni del suo uditorio,
poiché in quel momento Egli gettava la semente della divina parola
nelle anime e la gettava con vario frutto. Un seminatore che
lasciasse cadere la semente sulla strada fra i sassi e fra le spine
non sarebbe un seminatore accorto ma, avendo sovrabbondanza di semi,
la sua stessa ricchezza gliene farebbe cadere una parte sulla strada,
tra le pietre e tra le spine. Gesù Cristo è venuto in terra per
seminare la divina parola, è venuto con una sovrabbondanza di
misericordie per salvare tutti e per dare a tutti i mezzi di salute;
Egli, dunque, semina dovunque, anche nei cuori duri, benché sappia
che, in realtà, la sua semente andrà perduta; benefica tutti, muore
per tutti senza preferenza di persone, e attende il frutto della
corrispondenza umana.
È sempre Gesù che fa la grande semina della divina
parola, perché gli apostoli e i loro successori lo rappresentano e
agiscono in suo nome; la semente che Egli dona è sempre buona e atta
a germinare, perciò non c’è caso nel quale l’uomo possa dire di
aver ricevuto un aiuto insufficiente; non è cattiva la semente, ma
la terra dove essa cade, quando non produce frutto, o lo produce
imperfettamente.
Il seminatore viene dalla strada col grembiule pieno di
semi e, logicamente, per entrare nella terra, percorre prima un
tratto di strada, poi attraversa le macerie del campo, poi la siepe
irta di spine e infine va nella terra buona e fino ai luoghi meglio
esposti e più ubertosi. È questa la ragione per cui, dal grembiule
sovraccaricato, sfugge parte della semente sulla strada, tra le
pietre e tra le spine. Anche il predicatore della divina parola, per
giungere alle anime capaci di fecondità, deve parlare a tutti, e
passa quasi per la strada del mondo tra le pietre delle anime
superficiali, e tra le spine di quelle assalite dalle passioni.
Il popolo ebreo fu per Gesù come la strada per
giungere a tutte le anime e, in mezzo ad esso, la parola fu come
divorata dal maligno, senza portare frutto. Dagli Ebrei la parola
passò ai popoli circostanti e ai Greci, dove sembrò germinare
perché accolta con esultanza, ma poi non fruttificò perché cadde
tra le pietre della cultura umana e non pose radici. Dal mondo greco
passò a quello romano, irto di spine di passione, e fu soffocata
dalle sollecitudini del secolo presente e dalla seduzione delle
ricchezze. Essa, però, trovò la terra buona nelle anime che
sinceramente fecero parte della Chiesa, e fruttificò – come dice
sant’Agostino –, il cento per uno tra i martiri, il sessanta tra
i vergini, il trenta fra quelli che vivono santamente nel mondo.
Nel campo particolare delle anime avviene spesso che
molti ascoltano la divina parola ma pochi ne traggono frutto, secondo
quello che dice Gesù Cristo stesso spiegando la parabola.
Vi sono quelli che ascoltano più per curiosità che
per trarne profitto, e la parola viene loro rapita dal maligno;
ascoltano e poi dimenticano tutto, o non vi fanno più caso e
ritornano ai loro vani pensieri.
Vi sono quelli che ascoltano, provano un diletto
spirituale nell’evidenza della verità, propongono anche di
confessarsi e cambiar vita ma, alle prime contraddizioni e
persecuzioni, mutano pensiero e ritornano alla vita di prima.
Vi sono, infine, quelli che accolgono la divina parola,
ma pretendono conciliarla con la sollecitudine delle cose terrene e
delle ricchezze, e la soffocano nel loro cuore.
Per ricevere con frutto la parola di Dio bisogna essere
terra buona, cioè bisogna avere le disposizioni interiori per
meditarla, svilupparla e metterla in pratica.
Il
grano e la zizzania
Dio semina nel cuore degli uomini il buon seme della
sua parola, ma il demonio non se ne sta inoperoso, e cerca di
seminare sul grano la zizzania, quando i coltivatori del campo
dormono. La zizzania o loglio, lolium
temulentum, è
una pianta che non differisce molto dal grano, quando è ancora
tenera; ma si distingue bene, poi, dal frutto che produce perché le
sue spighe hanno granelli neri che, frammischiati alla farina di
grano in quantità notevole, la rendono nociva. Gesù non poteva
scegliere una similitudine più appropriata per designare gli errori,
le eresie e le illusioni di una falsa vita cristiana, con le quali il
demonio cerca rendere vana la semina fatta dal Signore.
Gli errori si diffondono quando i sacerdoti dormono,
cioè quando non hanno una vita di ardente
zelo e non sanno vigilare nella preghiera; allora subdolamente satana
invade il campo del Signore e, per mezzo degli eretici, getta il
germe della dissensione con errori teorici e pratici che sembrano
aver l’apparenza della verità mentre sono esiziali alla salvezza
delle anime. È così che nel campo seminato da Gesù Cristo si
trovano i buoni e i cattivi, gl’illuminati dalla verità e gli
ottenebrati dagli errori. Il Signore, per provare gli eletti,
permette che i buoni siano accanto ai cattivi, e si riserva di fare
la cernita del suo gregge nel giorno del Giudizio. Gli eretici e i
cattivi, per quanto possano dissimularsi sotto apparenze
ingannatrici, si smascherano con la loro vita, proprio come la
zizzania si fa conoscere dal suo frutto.
Lo zelo del bene ci fa desiderare che i cattivi non ci
siano nel mondo, e vorremmo che la giustizia di Dio li recidesse con
castighi improvvisi e terribili. È questa l’aspirazione di tante
anime, specialmente quando vedono la tracotanza e l’apparente
trionfo dei cattivi. Ma il Signore ha dato all’uomo il tempo della
vita come prova, e non interviene per non interrompere questa prova e
per dare a tutti tempo di penitenza. Se la giustizia rigorosa dovesse
colpire i cattivi, essa finirebbe per colpire anche i buoni, perché
nessuno è senza colpa al cospetto del Signore; è dunque necessario
che la misericordia si effonda su tutti, buoni e cattivi, affinché
quelli, crescendo fino alla maturità, abbiano il tempo e la grazia
di poter produrre almeno quel minimo frutto che li renda capaci della
ricompensa eterna.
Questa bellissima parabola la spiegò Gesù Cristo
stesso agli apostoli dopo che, congedate le turbe, si ritirò nella
casa che l’ospitava. La sua parola divinamente semplice risolveva
uno dei problemi più assillanti e tormentosi della vita della Chiesa
nel mondo. La sua parola era verità, non lasciava adito a inutili
discussioni, non poteva forse neppure meditarsi con ragionamenti
personali: poteva solo contemplarsi. Quello infatti che Gesù dice è,
e l’anima non può che assentire, adorare,
sperare e attendere l’ora di Dio. Si può solo approfondire, con la
sua luce e la sua grazia, quello che Egli dice, poiché ogni sua
affermazione suppone e indica l’esistenza di un problema.
Il
mistero dei buoni e dei cattivi nel mondo: oggi particolarmente
attuale
In questa parabola è prospettato uno dei problemi più
gravi nella vita della Chiesa, come si è detto: nel campo del mondo
c’è la buona semente, seminata dal Signore, cioè ci sono i buoni,
i figli del regno, quelli che crescono per dare un frutto di bene, e
per godere poi l’eterna ricompensa, e c’è la zizzania seminata
dal diavolo, la quale rappresenta i cattivi, i figli del maligno.
Quelli che traviano dalla Legge del Signore, benché chiamati
anch’essi all’eterna gloria come tutti gli uomini, si rendono
figli di satana comunicando alla sua vita e alla sua malizia. Come
Gesù Cristo forma i figli del regno, comunicando loro la sua vita
attraverso i Sacramenti e l’Eucaristia, così satana forma i figli
delle tenebre, invasandoli con le sue suggestioni interne e con le
sue tentazioni esterne.
Il mondo, con le sue illusioni, e la carne con le sue
prepotenze sono le vie per le quali satana raggiunge le anime e,
sotto quella specie di morte, comunica loro la propria malignità, e
le lancia poi nella Chiesa come elemento di dissensione e di
scandalo. Il peccato è proprio della fragilità umana, ma certe
forme di delinquenza non sono semplicemente dei malanni dello
spirito: sono delle vere possessioni diaboliche che mutano il buon
seme in zizzania, e poi lo gettano nel campo di Dio per turbarne lo
sviluppo.
Il
granello di senapa
Il mondo affascina le anime perché ostenta una
grandezza che, in realtà, non ha; esso si sviluppa come pianta
cattiva che subito cresce e dà frutti di morte. La Chiesa, invece,
appare come una piccola cosa, e diremmo quasi come un’utopia
innanzi a quelli che la rinnegano. Ma questa piccolezza apparente ha,
in realtà, in sé, una forza di vita che nessuno sospetta, e
costituisce il riposo delle creature che cercano Dio. Gesù Cristo
espresse questa vitalità con la parabola del granello di senapa.
Questa è una pianta annuale, con numerosi rami e larghe foglie che
appartiene alla famiglia delle crocifere. Cresce abbondantemente in
Palestina e raggiunge l’altezza di tre o quattro metri, in modo che
veramente gli uccelli vi possono nidificare. La semente di questa
pianta è piccolissima di fronte al suo sviluppo, e per questo Gesù
la chiama una delle più piccole. Ora, la Chiesa ha nella sua
apparente piccolezza una vita meravigliosa e, come granello di
senapa, cresce, si espande, fruttifica e raccoglie nelle sue braccia
le anime.
Il
lievito
Il Vangelo, agli occhi del mondo, sembra una cosa
piccola e spregevole, senza lo splendore di quella orgogliosa e
gonfia sapienza umana che cerca il suo successo nei paroloni; eppure
le sue parole semplici sono come il lievito che, in piccola
proporzione, messo in tre staia di farina, cioè in circa 39 litri,
la fermenta tutta e lievita la pasta dalla quale si fa poi il pane.
La parabola del seminatore, con tutta la semente inutilmente caduta
sulla strada, fra le pietre e tra le spine, avrebbe potuto far
credere quasi inefficace la predicazione della divina parola, e per
questo Gesù soggiunge che essa ha una grande forza di germinazione e
di espansione là dove cade, e che riempie la terra come fermento di
vita nuova che muta le anime, elevandole ad una vita soprannaturale
altissima.
Quanti santi si sono formati alla santità e sono
ascesi nelle vie della perfezione con una sola parola del Vangelo!
San Francesco d’Assisi ascoltò solo quella che esortava alla
povertà, e in lui essa fu veramente come fermento che gli fece
concepire un grande amore alla vita umile e spregiata, e lo unì
tutto a Gesù Cristo.
Chi annuncia la divina parola non deve scoraggiarsi,
vedendo l’insensibilità di quelli che l’ascoltano: deve rendere
lievito quella parola nel proprio cuore, pregando e infiammandosi
d’amore, con la certezza che, così fecondata, non penetra mai
invano in un cuore e lo trasforma a poco a poco.
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