Commento
al Vangelo – I Domenica dopo Natale 2015 C
(Lc
2,41-52)
Sacra
Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe
Gesù,
smarrito e ritrovato nel tempio
Ogni
anno Maria si recava con san Giuseppe a Gerusalemme per la solennità
della Pasqua, benché, essendo donna, non vi fosse obbligata; gli
uomini dovevano andarci tre volte l’anno: nella Pasqua, nella
Pentecoste e nella festa dei Tabernacoli; le donne ne erano
dispensate, e solo le più pie vi si recavano nella Pasqua; i
fanciulli, poi, contraevano questi obblighi legali all’età di
dodici anni. Maria, andando a Gerusalemme, portava con sé anche
Gesù, ma quando Egli giunse all’età legale, dovette farlo
viaggiare nella comitiva degli uomini, com’era d’uso, e fu così
che al ritorno non si accorse che Egli era rimasto a Gerusalemme.
Crederono, tanto Lei che san Giuseppe che fosse in mezzo agli altri,
e camminarono una giornata. Alla prima sosta, però, constatarono che
mancava e lo cercarono inutilmente tra i parenti e i conoscenti. Col
cuore estremamente angosciato, allora, ritornarono a Gerusalemme e,
per ritornarvi, impiegarono un altro giorno; non sapendo come
rintracciarlo, stettero un giorno intero a farne ricerche, e nessuno
seppe dare loro indicazioni perché non lo conoscevano. Finalmente il
terzo giorno andarono al tempio, forse per supplicare Dio di farlo
ritrovare loro e, attraversando le sale annesse all’edificio sacro,
dove i rabbini si radunavano per insegnare la Legge, riconobbero la
voce dell’amatissimo Figlio che in mezzo ai dottori stava seduto
come un discepolo, ascoltandoli e proponendo loro varie questioni.
È
impossibile formarsi un’idea del dolore di Maria e di Giuseppe
nello smarrimento di Gesù; bisognerebbe poter misurare l’amore che
gli portavano. Erano angosciati, agonizzavano, temevano di aver
provocato essi quell’allontanamento per la loro indegnità,
trepidavano per la sua incolumità, gemevano nella maniera più
straziante.
Gesù era
tutta la loro vita, e l’anima loro era straziata senza di Lui. Che
cosa furono quei giorni di ricerche! Non persero la pace, perché
erano santissimi; ma persero, potrebbe dirsi, il cuore, perché se lo
sentivano straziato. Gesù Cristo conosceva il loro strazio, ma
permise quella terribile prova per santificarli di più e per esempio
di tutti. Il suo Cuore divino ne soffriva più di loro ma, nel
momento nel quale Egli iniziava la sua vita legale, per compiere la
sua opera, era necessaria una grande immolazione d’amore che
rendesse l’uomo degno di accogliere il suo amore.
La
spaventosa indifferenza delle creature per ciò che appartiene a Dio,
e l’agitazione del mondo nelle miserie delle sue stupide attività,
tutte orientate alla materia, esigevano quell’agonia di due anime
tese solo a Dio e viventi solo per Dio. La terribile resistenza che
fanno tanti cuori alle chiamate di Dio, preferendo i loro disegni
alla sua volontà, esigeva il sacrificio che Gesù faceva del suo
amore a Maria e a Giuseppe, come riparazione e come preparazione ad
accogliere il disegno della divina volontà. Egli doveva affermare il
diritto di Dio sulla gioventù, speranza della vita delle nazioni,
doveva distruggere d’un colpo le pretese delle tirannidi sui cuori
che appartengono solo a Dio, doveva dare una luce che non doveva
spegnersi più, sull’educazione dei figli e sulla loro vocazione,
ed ebbe bisogno di un grande dolore per affondare nel duro cuore
dell’umanità questa semente di vita. Se avesse prevenuto Maria e
Giuseppe delle sue intenzioni, non avrebbe conseguito l’altissimo
scopo che voleva conseguire; fece, dunque, forza al suo Cuore, si
appartò, ritornò al tempio, e schiuse la sua mente agli
insegnamenti della Legge, per insegnare ai giovani ad aprire la loro
vita a Dio, e a seguire, senza riguardi umani, le ispirazioni
particolari della divina volontà su di loro.
A dodici
anni Gesù era ben sviluppato, a giudicare dalla statura che
raggiunse nell’età matura. Era di forme perfettissime, bellissimo,
splendente, affascinante. La sua chioma intensa, come quella dei
Nazirei, gli scendeva sulle spalle, e incorniciava il volto come in
un’aureola di gloria. I suoi bellissimi occhi rivelavano il mistero
divino che in Lui si nascondeva, avevano un’espressione arcana e
una luce ineffabile; penetravano, per così dire, i cuori. Entrò
nella sala dov’erano i dottori e sedette, ascoltandoli. Il suo
Cuore si saziava della divina Parola, e ardeva per la gloria del
Padre. Attrasse subito l’attenzione di tutti, poiché, interrogato,
diede risposte profondissime e fece domande che stupirono tutta
l’assemblea. Di che cosa parlò? Il Sacro Testo non ce lo dice, ma
si può supporre che parlasse della pienezza dei tempi e del Messia,
e parlasse del suo Padre celeste, come potrebbe rilevarsi dalla
risposta che diede a Maria. Parlò di Dio, e per la prima volta sulla
terra echeggiò una parola divinamente luminosa fra tante tenebre che
gravavano sugli uomini.
Maria e
Giuseppe entrarono nel sacro recinto, e furono stupiti che Gesù si
fosse manifestato così al pubblico. Il suo amore al nascondimento
era così profondo che non lo credevano possibile. Forse si stupirono
che fra tanto loro dolore Egli si fosse mostrato insensibile, sapendo
quanto era affettuoso e amabile. Maria non poté frenare il suo amore
materno; corse là dove stava il Figlio, lo interruppe nel suo
discorso ed esclamò: Figlio,
perché ci hai fatto questo? Ecco che tuo padre ed io, addolorati,
andavamo in cerca di te.
Tutto il
suo dolore era espresso in queste poche parole: lo chiamò figlio,
e
con questo disse che lo cercava da madre, e da Madre divina; gli
domandò perché aveva fatto quella cosa, e con questo manifestò
tutte le trepidazioni angosciose del suo Cuore e di quello di san
Giuseppe; espresse la pena immensa con la quale l’aveva
rintracciato, e con questo espresse l’amore che aveva reso
un’agonia il suo materno affanno e quello di san Giuseppe.
Gesù
Cristo non rispose duramente, come potrebbe apparire dal Testo; noi,
abituati ad adirarci quando siamo contraddetti e leggendo l’episodio
con passionalità, possiamo facilmente essere indotti a dare un senso
di durezza alla risposta di Gesù; Egli, invece, rispose con immensa
dolcezza, e con infinita compassione al loro dolore: Perché
mi cercavate? Non sapevate che io debbo occuparmi di ciò che
riguarda il Padre mio? Se
avessero riflettuto all’amore che portava loro e alla missione che
aveva, non avrebbero dubitato del suo affetto, ed avrebbero capito
che si era trattenuto al tempio. Egli voleva dire: come potevo
trascurarvi, e come potevo non tener conto del vostro dolore? Ma lo
sapete che io sono Figlio di Dio, e potevate supporre che io fossi
attratto dalla Casa del Padre mio e dagl’interessi della sua
gloria.
Il Sacro
Testo soggiunge che essi non
compresero quello che aveva detto loro,
non
perché non fossero in grado di capire le sue parole, ma perché
l’emozione e l’amore li concentravano in Lui solo. Era così
bello nel sacro recinto, così fulgente d’amore nelle sue parole,
così profondo nelle sue risposte che essi rimasero come incantati, e
non rifletterono alle sue parole. Tardava loro solo il momento di
averlo di nuovo, e per questo il Testo soggiunse: Se
ne andò, quindi, con loro, e fece ritorno a Nazaret, ed era loro
sottomesso. Non
fecero attenzione alle sue parole, dunque, perché lo invitarono a
non lasciarli più soli; ed Egli, infatti, immediatamente obbedì.
Se avesse
risposto per rimproverarli non li avrebbe seguiti, e avrebbe
continuato a parlare, invece tacque all’istante; la voce materna
era per Lui un comando e doveva esserlo sempre; per questo Maria,
passando dall’impeto del suo amore ad un sentimento di
profondissima umiltà, meditava nel suo Cuore quello che si era
svolto, e il mistero dell’amore che Egli le portava. Egli le
obbediva, Egli il Figlio vero del Padre! La sua Maestà divina si
piegava innanzi alla sua Parola! Tutt’altro che mostrare noncuranza
o trattarla male, come dicono i protestanti, Egli lasciava di
occuparsi del Padre suo divino per occuparsi della Madre, e mostrava
che l’amava d’uno stesso amore, e che per Lui il consentire a ciò
che Lei voleva era lo stesso che glorificare Dio suo Padre.
Ritiratosi
a Nazaret, Gesù vi rimase nascosto fino a che non cominciò la sua
vita pubblica. Che cosa faceva nel suo arcano nascondimento?
Evidentemente si occupava delle
cose del Padre suo,
cioè
della sua gloria, e se ne occupava umiliandosi, obbedendo e
lavorando. Il Sacro Testo dice che
Egli cresceva in sapienza, in statura e in grazia presso Dio e gli
uomini,
e
da queste poche parole si può intuire qualche cosa del mistero di
quella vita divina: cresceva
in sapienza non
perché studiasse, ma perché manifestava sempre più gli arcani
della sua scienza beata e infusa, e meditava con la scienza
acquisita, cioè con l’energia della sua anima umana, le divine
meraviglie, parlandone con la Madre, con san Giuseppe e con altre
persone familiari. Era logico che facesse così, perché Egli voleva
innalzare e nobilitare in sé la natura umana, e non c’è cosa più
nobile quanto il meditare le meraviglie celesti.
Cresceva
in
statura
perché
l’età si avanzava, ed Egli, essendo veramente anche uomo, lo
mostrava in tutta la sua vita. Aveva però, nella sua
statura,
cioè
nel suo aspetto fisico attrattive mirabili che colpivano quanti lo
vedevano, e quindi cresceva in queste attrattive come cresce il sole
a misura che sale sull’orizzonte. Cresceva
in
grazia
non
secondo l’abito che era in Lui perfetto e immutabile, ma secondo
gli effetti, compiendo sempre più opere mirabili che ne
manifestavano la pienezza. Presso Dio la sua vita era un’offerta
sempre più grande, presso gli uomini era una manifestazione sempre
più bella; a Dio donava gli atti della vita che progrediva e,
seguendo lo sviluppo naturale, cresceva in questi doni d’amore;
agli uomini dava lo spettacolo di una grandezza sempre più attraente
per la sua bontà e soavità.
Padre Dolindo Ruotolo
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