Commento
al Vangelo – IV Domenica di Avvento 2015 C (Lc 1,39-45)
Il
saluto di Maria
Maria
giunse presto in casa di Zaccaria e
salutò Elisabetta,
dice
il Sacro Testo. Non salutò il consorte
di lei o per delicatezza,
sapendolo muto e non volendolo mortificare parlando, o perché sapeva
che era momentaneamente assente. Salutò con le parole allora più in
uso. La
pace sia con te,
o
con altra simile espressione e, al suono della sua voce, il bambino
di Elisabetta trasalì di gioia nel seno di lei, ed ella fu ripiena
di Spirito Santo.
La voce
benedetta di Maria era come la voce stessa del Verbo Incarnato in
Lei, perché Egli ne possedeva e ne elevava tutta la vita; era voce
santa e santificante che operò quello che diceva come augurio di
pace e, operandolo nello stesso tempo, santificò il Battista nel
seno materno, e ne santificò la madre, riempiendola di Spirito
Santo.
Elisabetta
vide Maria nello splendore della sua sovrumana bellezza e ne rimase
profondamente colpita. Il cammino, fatto sollecitamente, le aveva
anche fisicamente ravvivato il colore del volto: l’espansione con
la quale le si rivolse aveva fatto come affiorare tutta l’anima sua
nelle linee del corpo purissimo; era come un’opera d’arte
mirabile, un misto di semplicità e di maestà grande, un insieme di
umiltà e di gloria, un’armonia di gioia profonda e di compostezza
imperturbabile; era bellissima come non lo fu mai nessuna creatura, e
rapiva perché spirava santità e pace da ogni movimento e da ogni
parola.
Era
ancora fanciulla: aveva poco più di quindici anni e, benché fosse
già sviluppata, portava nella sua persona la casta e affascinante
ingenuità propria dell’adolescenza. Era come un fiore aperto alla
vita e, perché aperto per virtù dello Spirito Santo, conservava
intatto quel candido fulgore d’integrità che è proprio delle
vergini. Sembrava un angelo del Paradiso, più di un angelo, fulgente
nei raggi della divinità che in Lei riposava, e diffondeva intorno
una soavissima unzione di grazia che saziava lo spirito e lo
inebriava d’amore verso di Dio. La sua voce non era voce di
creatura umana: aveva qualcosa di misterioso, penetrava il cuore come
grazia, e lo pacificava con una grande soavità; era come una melodia
sommamente espressiva, tratta da uno strumento dolcissimo.
Il saluto di santa Elisabetta
Santa
Elisabetta, perciò, al vederla così grande e così bella, esclamò
per ispirazione interna dello Spirito Santo: Benedetta
sei tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno. L’abbracciò,
la strinse al cuore quasi con effusione materna, perché ella era già
avanzata di età; ma, nello stringerla, sentì in lei qualcosa di
divino, capì per grazia il mistero della sua Maternità divina,
sentì che abbracciava la Regina del cielo e soggiunse: E
da
dove viene a me questa grazia che la Madre del mio Signore,
cioè
del mio Dio fatto uomo per la salvezza di tutti, venga
a me?
Con
queste ispirate parole fu come scolpita per i secoli la testimonianza
della divina Maternità di Maria e della sua ineffabile grandezza.
Ella non è indifferente ai salvati dal Redentore: lo porta loro, lo
dona, effonde la sua grazia e la sua misericordia, dona la sua gioia,
santifica in suo nome, ed è inseparabile da Lui nell’opera della
salvezza.
Se fosse
stata solo un canale per il quale passò il Redentore – come dicono
stoltamente i poveri protestanti –, Elisabetta, ripiena dello
Spirito Santo, si sarebbe rivolta non a Lei ma al Figlio divino che
le stava nel seno; ella, invece, la esaltò benedetta
fra le donne, e
chiamò Frutto suo il Redentore, Frutto della sua pianta purissima
che, evidentemente, Ella sola poteva dare. La pianta non è un
semplice canale del frutto, lo genera, lo nutre, lo matura e lo dona;
bisogna andare dalla pianta per averlo e, senza la pianta, è
impossibile coglierlo.
Elisabetta
vide in Maria tutto quello splendore di vita, e lo paragonò
inconsciamente all’umiliante abbattimento nel quale il suo sposo,
muto e sordo era venuto da lei dopo la visione dell’angelo, capì
che la fede nella parola dell’angelo aveva realizzato in lei il
grande mistero, come l’incredulità del marito gli aveva causato la
mutezza e la sordità. Psicologicamente quell’infermità del marito
le era stata motivo di non pochi fastidi nel governo della casa, e
quindi esclamò: Te
beata che hai creduto poiché si adempiranno le cose dette a te dal
Signore.
Il
cantico sublime di Maria
Maria, a
quelle parole di lode, sentì l’anima sua tutta tratta in Dio;
l’umiltà le dava il senso della sua nullità innanzi a Lui; la
riconoscenza le faceva attribuire tutto alla sua infinita
misericordia; la luce divina che la illuminava le faceva guardare i
suoi disegni su di Lei e i trionfi delle sue misericordie nei secoli,
fino alla fine del mondo; perciò, elevando gli occhi al cielo,
esclamò: L’anima
mia magnifica il Signore.
Mai uscì
da labbro umano un cantico più sublime di gioia; mai un cuore si
aprì a Dio con tanto riconoscente amore; mai l’umiltà più
profonda fu armonizzata così mirabilmente con la verità, in modo da
formare una melodia di annientamento e di grandezza, di piccolezza e
d’immensità, di bontà e di forza che affascina l’anima e la
unisce alla gioia e ai sentimenti di Maria.
Le
reminiscenze scritturali del cantico di Anna, dei salmi e dei profeti
che si trovano nel sublimissimo cantico non mostrano solo la
familiarità di Maria con le Sacre Scritture, ma sono come la luce
delle profezie e delle figure passate che s’incontrano con la
realtà e col compimento delle promesse di Dio e, lungi
dall’offuscare l’originalità del canto, lo rendono nella sua
concisa semplicità più splendente e più bello. Esso è come il
fiore di tutto l’antico patto ed è la gemma feconda del nuovo; è
il compimento delle antiche speranze e la speranza nelle nuove
misericordie; è la sintesi delle compiute aspirazioni del passato, è
un rapido sguardo alla storia del futuro, fino al compimento dei
secoli, è il programma della vita di un’anima redenta e la sintesi
delle sue elevazioni d’amore; è, infine, lo sprazzo fulgente della
vita del Verbo Incarnato e della medesima Madre che lo portava nel
seno. In tutta la storia del regno di Dio è una voce sempre viva, in
tutto lo sviluppo della Chiesa è un programma sempre attuale, in
tutte le ascensioni dei santi, è una voce sempre armoniosa che può
raccogliere in un suono d’amore le mirabili armonie della grazia in
loro; è un cantico fecondo e verginale, come il Cuore dal quale
sgorgò ricco di significati e semplice nella sua espressione che la
Chiesa canta e ricanta ogni giorno, senza che esso esaurisca la sua
gioiosa e fresca scaturigine, è il canto dei pellegrini che vanno
verso la Patria eterna, degli apostoli che percorrono la terra
diffondendo il lieto messaggio, dei martiri che attestano la verità
col loro sangue, dei confessori che la propagano, delle vergini che
la vivono, dei contemplativi che la gustano, degli angeli che la
esaltano, delle creature tutte nelle quali ha echi d’amore, ed è
nota squillante del cantico eterno nell’eterna gloria.
Se si
recita, è una preghiera soave; se si canta è un inno trionfante che
lancia lo spirito esultante in Dio; se si medita è come orto
fiorito, ricco di profumi celesti. Ha un sapore sempre nuovo, un
fascino sempre vivo, una delicatezza sempre verginale che i secoli
non hanno potuto mai invecchiare, perché è un cantico di vita. Che
gioia, o Vergine Santa, ricevere la grazia, ricevere Gesù e poter
cantare con te: Magnificat
anima mea Dominum! Che
pace trovarsi sul Calvario della prova e poter ripetere con te, anche
lacrimando, nella piena rassegnazione del cuore: Magnificat
anima mea Dominum! Che
dolcezza interiore elevarsi a Dio, sprezzando le gioie del mondo, e
ripetere nel volo dell’anima al Bene eterno: Magnificat
anima mea Dominum! Che
poesia d’amore recitare con la Chiesa le grandi preghiere
liturgiche, sentirsi sazi di elevazioni interiori, e volgere tutta
l’anima a Dio in questo canto dell’anima tua, o Maria: Magnificat
anima mea Dominum! Che
conforto nelle aridità dello spirito, quando la povera nostra
fontana si è come essiccata e non dà una goccia, ravvivare la
scaturigine del cuore con questo tuo canto, e dare la vita alla
povera terra inaridita: Magnificat
anima mea Dominum!
Anche a
costo di dilungarci, noi non possiamo passare oltre senza dare almeno
uno sguardo fugace a questi aspetti luminosi del cantico di Maria, e
a dilettarci nella molteplice rifrazione di questa gemma
preziosissima del Nuovo Patto.
Non
possiamo non commentare il profondo significato di questo canto
d’amore che c’è stato donato per cantare a Dio la riconoscenza
del nostro amore, perché uniti alla voce verginale della Mamma
nostra, possiamo essere meno ingrati all’Amore che per noi discese
dal cielo, e per amore ci redense col suo preziosissimo Sangue.
San
Zaccaria non credé all’angelo e rimase muto e sordo fino al
compimento della promessa; Maria credé e parlò, anzi cantò con una
melodia che abbracciò tutti i secoli. Noi, figli suoi, cantando con
Lei viviamo della sua grande fede, partecipiamo alla beatitudine del
suo Cuore: Beata
quae credidisti,
e
ci rendiamo meno inetti al compimento dei disegni di Dio in noi.
Padre Dolindo Ruotolo
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