sabato 27 agosto 2011

“Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.


Commento al Vangelo della XXII Domenica del T.O. (Mt 16,21-27)

21 Da quel momento, Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che egli doveva andare a Gerusalemme, e soffrire molto a causa degli anziani, degli scribi e dei principi dei sacerdoti, che doveva essere ucciso e risuscitare il terzo giorno. 22 Pietro, allora, presolo in disparte cominciò a riprenderlo, dicendo: “Non sia mai, o Signore, questo non ti avverrà”. 23 Ed egli, voltandosi, disse a Pietro: “Vattene lontano da me satana! Tu mi sei di scandalo perché non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini”. 24 Allora Gesù disse ai suoi discepoli: “Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 25 Poiché chi vorrà salvare la sua vita la perderà, e chi perderà la sua vita per me la troverà. 26 Che vantaggio, infatti, avrà l’uomo nel guadagnare tutto il mondo, se poi perde l’anima? O che darà l’uomo in cambio dell’anima sua? 27 Poiché il Figlio dell’uomo verrà nella gloria del Padre suo con i suoi angeli, e renderà a ciascuno secondo le sue opere.
Gesù Cristo rimprovera san Pietro
Dopo la confessione solenne che san Pietro fece della divinità di Gesù Cristo sarebbe sembrato logico che quella grande verità fosse stata divulgata in mezzo al popolo; invece il Redentore comandò ai suoi discepoli di non dire a nessuno che Egli era il Cristo. Il dirlo avrebbe attratto su di loro l’ira degli scribi e dei farisei, la quale, cogliendoli ancora impreparati, li avrebbe travolti. D’altra parte, essi, in quel momento, avrebbero travisato la verità, aspettando, come tutti gli Ebrei, il regno trionfante del Messia e avrebbero potuto provocare un movimento politico nel popolo, per far proclamare re temporale il Redentore. Gesù Cristo volle prepararli a concezioni diametralmente opposte a quelle che essi avevano su di Lui, e cominciò a parlare loro della sua Passione e della sua futura risurrezione. Gli apostoli non badarono tanto all’annuncio della risurrezione, e si sgomentarono della profezia delle lotte e delle pene.
San Pietro, come capo proprio allora proclamato, credé di intervenire con autorità e, preso in disparte Gesù, cominciò a rimproverarlo del discorso fatto, e ad annunciargli, con una presuntuosa sicurezza, che ciò che Egli aveva detto non doveva avverarsi di Lui e non si sarebbe avverato.
Era lo stesso che voler sconvolgere i piani della Provvidenza; era lo stesso che voler impedire la redenzione; quelle parole erano una tentazione. Satana indusse Pietro a pronunciarle, quasi per vendicarsi della confessione solenne che aveva fatta della divinità del Redentore, e per questo Gesù lo chiamò satana e lo scacciò lontano da sé.
Il suo amore fu immenso nell’annunciare la sua Passione, poiché non vedeva l’ora di dare la vita per noi, e le parole inconsiderate di san Pietro gli ferirono il Cuore, acceso d’infinita carità.

La via della croce
Non c’era da illudersi con aspirazioni terrene, non c’era d’aspettare un trionfo politico; Egli doveva e voleva immolarsi, e chi avrebbe voluto seguirlo doveva andargli dietro caricato di croce, dopo aver rinnegato se stesso, la propria volontà e le proprie aspirazioni. Non c’era altra via di salvezza e chi avesse voluto salvare la propria vita, cioè conservare le sue false gioie e le sue illusioni, avrebbe perso la vera, la nuova vita che Egli veniva a dare alle anime. Egli non veniva a restaurare un regno terreno né valori materiali, ma veniva a restaurare il regno dello spirito e i valori soprannaturali. Che cosa, infatti, avrebbe portato di bene all’anima una restaurazione temporale? Anche se avesse portato la prosperità che cosa sarebbe stata questa piccola prosperità, di fronte ai supremi ed eterni interessi dell’anima?
La vita passa e viene il giorno nel quale si deve rendere conto di tutto al Giudice eterno; allora nulla varranno onori, ricchezze e piaceri, poiché nulla può darsi in cambio dell’anima.
Nel giorno del Giudizio, Gesù Cristo verrà nella gloria del Padre suo, cioè nel fulgore della sua divinità, e renderà a ciascuno quello che avrà meritato; il merito non potrà computarsi con la misura che ha il mondo; tutto quello che fa grandi sulla terra sarà nullità in quel giorno, e perciò è conveniente rinnegare se stessi, prendere la croce e camminare in compagnia del Re divino verso la vita eterna.
Queste parole avrebbero potuto scoraggiare gli apostoli, e forse già si affacciava nel loro cuore una delusione nascosta. Avevano sospirato al regno glorioso del Messia, e sentivano parlare di abnegazione di croce; avevano sperato un’immediata proclamazione del Re, trionfatore dei nemici d’Israele, e sentivano parlare di dover perdere tutto per poter guadagnare un regno invisibile; il loro cuore stava per naufragare nel dubbio e perciò Gesù li confortò, annunciando vicino il suo regno, e dicendo che alcuni di quelli che erano presenti avrebbero visto la sua venuta, prima di morire.
Venuta di Dio nelle Scritture significa Giudizio di Dio e manifestazione della sua potenza (cf Is 3,14; 30,27; 66,15-18; Ab 3,3ss); Gesù, avendo parlato della croce e avendo accennato al Giudizio – suprema manifestazione della sua potenza –, predice una prima manifestazione di questo Giudizio nel castigo che avrebbe avuto Gerusalemme ingrata, castigo che sarebbe stato relativamente a breve scadenza e che alcuni di quelli che lo ascoltavano avrebbero visto. Allora il suo regno si sarebbe dilatato in tutto il mondo e la Chiesa si sarebbe affermata maggiormente. Con questa speranza, gli apostoli sentirono che si preparava qualcosa di grande in un prossimo futuro, e sentirono il coraggio di seguire ancora Gesù Cristo.

Per la nostra vita spirituale
Ecco tracciato, in questo capitolo, un prospetto della vita cristiana nella sua medesima essenza: si cammina nel mondo come in un campo di prova e bisogna guardarsi dal lievito dei cattivi cioè dal male che ci insidia e tenta di corromperci. La vita ha anche le sue necessità e bisogna, in esse, confidare in Dio, affinché la sollecitudine delle cose temporali non ci distragga dai beni eterni. Nel nostro cammino, la luce che ci illumina è Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo – come ci è mostrato dalla Chiesa –, e il Papa che ne è vicario, e che è maestro infallibile di verità e di bene.
Satana tenta di illuderci con prospettive di benessere materiale, ma la via del Cielo non è questa: è necessario rinnegarsi, prendere la croce e seguire Gesù; rinnegarsi credendo, sperando e osservando la divina legge, prendere la croce, accettando le pene espiatrici e purificatrici della vita, e seguire il Redentore integralmente, senza cedere in nulla alla nostra bassa natura, pensando che nostro supremo guadagno è la vita eterna è la salvezza dell’anima che nulla può sostituire, perché, se si perdesse, la sua rovina sarebbe irreparabile.
        Si deve notare che Gesù Cristo non ha detto: Rinneghi le cose terrene, ma rinneghi se stesso, perché la vita cristiana risiede principalmente nell’anima e non è una posa, come quella dei filosofi, o un’ipocrisia, come quella dei farisei. Rinnegarsi abbracciando la via della virtù; prendere la propria croce abbracciando con pazienza le prove della vita; seguire Gesù, cioè tendere a Lui, e per Lui, con Lui e in Lui all’eterna gloria.Commento al Vangelo della XXII Domenica del T.O. (Mt 16,21-27)
Don Dolindo Ruotolo
21 Da quel momento, Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che egli doveva andare a Gerusalemme, e soffrire molto a causa degli anziani, degli scribi e dei principi dei sacerdoti, che doveva essere ucciso e risuscitare il terzo giorno. 22 Pietro, allora, presolo in disparte cominciò a riprenderlo, dicendo: “Non sia mai, o Signore, questo non ti avverrà”. 23 Ed egli, voltandosi, disse a Pietro: “Vattene lontano da me satana! Tu mi sei di scandalo perché non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini”. 24 Allora Gesù disse ai suoi discepoli: “Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 25 Poiché chi vorrà salvare la sua vita la perderà, e chi perderà la sua vita per me la troverà. 26 Che vantaggio, infatti, avrà l’uomo nel guadagnare tutto il mondo, se poi perde l’anima? O che darà l’uomo in cambio dell’anima sua? 27 Poiché il Figlio dell’uomo verrà nella gloria del Padre suo con i suoi angeli, e renderà a ciascuno secondo le sue opere.
Gesù Cristo rimprovera san Pietro
Dopo la confessione solenne che san Pietro fece della divinità di Gesù Cristo sarebbe sembrato logico che quella grande verità fosse stata divulgata in mezzo al popolo; invece il Redentore comandò ai suoi discepoli di non dire a nessuno che Egli era il Cristo. Il dirlo avrebbe attratto su di loro l’ira degli scribi e dei farisei, la quale, cogliendoli ancora impreparati, li avrebbe travolti. D’altra parte, essi, in quel momento, avrebbero travisato la verità, aspettando, come tutti gli Ebrei, il regno trionfante del Messia e avrebbero potuto provocare un movimento politico nel popolo, per far proclamare re temporale il Redentore. Gesù Cristo volle prepararli a concezioni diametralmente opposte a quelle che essi avevano su di Lui, e cominciò a parlare loro della sua Passione e della sua futura risurrezione. Gli apostoli non badarono tanto all’annuncio della risurrezione, e si sgomentarono della profezia delle lotte e delle pene.
San Pietro, come capo proprio allora proclamato, credé di intervenire con autorità e, preso in disparte Gesù, cominciò a rimproverarlo del discorso fatto, e ad annunciargli, con una presuntuosa sicurezza, che ciò che Egli aveva detto non doveva avverarsi di Lui e non si sarebbe avverato.
Era lo stesso che voler sconvolgere i piani della Provvidenza; era lo stesso che voler impedire la redenzione; quelle parole erano una tentazione. Satana indusse Pietro a pronunciarle, quasi per vendicarsi della confessione solenne che aveva fatta della divinità del Redentore, e per questo Gesù lo chiamò satana e lo scacciò lontano da sé.
Il suo amore fu immenso nell’annunciare la sua Passione, poiché non vedeva l’ora di dare la vita per noi, e le parole inconsiderate di san Pietro gli ferirono il Cuore, acceso d’infinita carità.

La via della croce
Non c’era da illudersi con aspirazioni terrene, non c’era d’aspettare un trionfo politico; Egli doveva e voleva immolarsi, e chi avrebbe voluto seguirlo doveva andargli dietro caricato di croce, dopo aver rinnegato se stesso, la propria volontà e le proprie aspirazioni. Non c’era altra via di salvezza e chi avesse voluto salvare la propria vita, cioè conservare le sue false gioie e le sue illusioni, avrebbe perso la vera, la nuova vita che Egli veniva a dare alle anime. Egli non veniva a restaurare un regno terreno né valori materiali, ma veniva a restaurare il regno dello spirito e i valori soprannaturali. Che cosa, infatti, avrebbe portato di bene all’anima una restaurazione temporale? Anche se avesse portato la prosperità che cosa sarebbe stata questa piccola prosperità, di fronte ai supremi ed eterni interessi dell’anima?
La vita passa e viene il giorno nel quale si deve rendere conto di tutto al Giudice eterno; allora nulla varranno onori, ricchezze e piaceri, poiché nulla può darsi in cambio dell’anima.
Nel giorno del Giudizio, Gesù Cristo verrà nella gloria del Padre suo, cioè nel fulgore della sua divinità, e renderà a ciascuno quello che avrà meritato; il merito non potrà computarsi con la misura che ha il mondo; tutto quello che fa grandi sulla terra sarà nullità in quel giorno, e perciò è conveniente rinnegare se stessi, prendere la croce e camminare in compagnia del Re divino verso la vita eterna.
Queste parole avrebbero potuto scoraggiare gli apostoli, e forse già si affacciava nel loro cuore una delusione nascosta. Avevano sospirato al regno glorioso del Messia, e sentivano parlare di abnegazione di croce; avevano sperato un’immediata proclamazione del Re, trionfatore dei nemici d’Israele, e sentivano parlare di dover perdere tutto per poter guadagnare un regno invisibile; il loro cuore stava per naufragare nel dubbio e perciò Gesù li confortò, annunciando vicino il suo regno, e dicendo che alcuni di quelli che erano presenti avrebbero visto la sua venuta, prima di morire.
Venuta di Dio nelle Scritture significa Giudizio di Dio e manifestazione della sua potenza (cf Is 3,14; 30,27; 66,15-18; Ab 3,3ss); Gesù, avendo parlato della croce e avendo accennato al Giudizio – suprema manifestazione della sua potenza –, predice una prima manifestazione di questo Giudizio nel castigo che avrebbe avuto Gerusalemme ingrata, castigo che sarebbe stato relativamente a breve scadenza e che alcuni di quelli che lo ascoltavano avrebbero visto. Allora il suo regno si sarebbe dilatato in tutto il mondo e la Chiesa si sarebbe affermata maggiormente. Con questa speranza, gli apostoli sentirono che si preparava qualcosa di grande in un prossimo futuro, e sentirono il coraggio di seguire ancora Gesù Cristo.

Per la nostra vita spirituale
Ecco tracciato, in questo capitolo, un prospetto della vita cristiana nella sua medesima essenza: si cammina nel mondo come in un campo di prova e bisogna guardarsi dal lievito dei cattivi cioè dal male che ci insidia e tenta di corromperci. La vita ha anche le sue necessità e bisogna, in esse, confidare in Dio, affinché la sollecitudine delle cose temporali non ci distragga dai beni eterni. Nel nostro cammino, la luce che ci illumina è Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo – come ci è mostrato dalla Chiesa –, e il Papa che ne è vicario, e che è maestro infallibile di verità e di bene.
Satana tenta di illuderci con prospettive di benessere materiale, ma la via del Cielo non è questa: è necessario rinnegarsi, prendere la croce e seguire Gesù; rinnegarsi credendo, sperando e osservando la divina legge, prendere la croce, accettando le pene espiatrici e purificatrici della vita, e seguire il Redentore integralmente, senza cedere in nulla alla nostra bassa natura, pensando che nostro supremo guadagno è la vita eterna è la salvezza dell’anima che nulla può sostituire, perché, se si perdesse, la sua rovina sarebbe irreparabile.
        Si deve notare che Gesù Cristo non ha detto: Rinneghi le cose terrene, ma rinneghi se stesso, perché la vita cristiana risiede principalmente nell’anima e non è una posa, come quella dei filosofi, o un’ipocrisia, come quella dei farisei. Rinnegarsi abbracciando la via della virtù; prendere la propria croce abbracciando con pazienza le prove della vita; seguire Gesù, cioè tendere a Lui, e per Lui, con Lui e in Lui all’eterna gloria.
Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo

sabato 20 agosto 2011

La confessione della divinità di Gesù Cristo


Commento al Vangelo della XXI domenica del T.O. (Mt 16,13-20)
Don Dolindo Ruotolo

La confessione della divinità di Gesù Cristo
Tra le incertezze che agitavano l’anima degli apostoli a causa della propaganda degli scribi e farisei Gesù volle diffondere un raggio di luce viva, inducendo i suoi cari a risvegliare in loro quella fede che era quasi attutita. Egli andò nei pressi di Cesarea di Filippo – città posta ai piedi dell’Ermon –, e in un momento di maggior pace e solitudine domandò loro che cosa dicessero di Lui gli uomini. Essi gli risposero, accennandogli le varie opinioni che si avevano di Lui. Questa esposizione doveva far riflettere loro che le varie opinioni non erano la verità, perché questa non poteva essere che una sola.
Subito dopo, illuminandosi di luce divina e fissando con uno sguardo arcano i suoi cari, domandò: E voi chi dite che io sia? All’opinione degli uomini bisognava opporre la parola della verità, ed Egli volle che la pronunciasse decisamente Pietro che doveva essere il maestro della verità, lui e i suoi successori, fino alla consumazione dei secoli.
Una luce interiore gliela rivelò ed egli, acceso d’un tratto d’amore, senza esitare, gridò con sicurezza assoluta: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente.
Fu un momento solenne, una definizione dogmatica che si scolpì nel fondamento stesso della Chiesa, una luce di verità che si accese per illuminare i secoli. Fu come il crisma che consacrò la voce del principe degli apostoli, la luce di una nuova beatitudine, quella della verità che non conosce ombre che è assoluta e immutabile, e perciò Gesù, rivolto a Pietro, lo chiamò beato per quella rivelazione che gli era venuta dall’Alto e che non gli era stata suggerita dalla carne e dal sangue, cioè dalla debolezza dell’umana natura e dell’umana ragione. Lo chiamò beato anche per quello che voleva annunciargli, e si potrebbe dire che Gesù stesso, con questa parola, abbia assegnato al primo Papa e ai suoi successori il titolo della loro dignità: la beatitudine, la santità. Il Papa è chiamato santità perché è il vicario del Santo dei santi, è custode della verità e del bene: i due capisaldi della santità; è Colui che ha come programma del suo regno la santità.
Gesù, all’elogio fatto a san Pietro, fece seguire la promessa di un regno di nuovo genere, dicendogli: E io ti dico che tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’Inferno non prevarranno contro di essa.
In aramaico, la lingua usata da Gesù Cristo, non c’è differenza di genere tra il nome proprio Pietro e il nome comune pietra, ma l’uno e l’altro si esprimono con la parola kefas che significa rupe, macigno, perciò è chiarissimo, dal contesto medesimo, che Gesù volle esplicitamente riferirsi a san Pietro come a fondamento della sua Chiesa. Egli non additò se stesso – come dicono i protestanti –, perché questo gesto non risulta in nessun modo dal Testo e dal contesto, ma parlò a san Pietro proprio come al futuro fondamento saldissimo della Chiesa. Le sue parole, nella lingua nella quale furono pronunciate, equivalgono a questo: Tu sei Pietro e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa; non parlò, dunque, di altri che di Pietro e, promettendogli di farlo capo e fondamento del suo regno, gli promise la forza di difesa soprannaturale, la giurisdizione giudiziaria e il potere della sanzione.
Pietro, dunque, doveva essere il capo della Chiesa non per onore, ma il capo difeso da invisibili eserciti, il capo che comanda e sanziona, e alla cui voce risponde il Cielo, cioè la potenza di Dio.
Gesù Cristo non poteva, in una maniera più completa e sintetica, annunciare e promettere la suprema autorità del Papa nella Chiesa.
Le porte dell’Inferno cioè le potenze infernali, non potranno prevalere contro la Chiesa che è il nuovo popolo di Dio, proprio perché essa avrà un unico capo e sarà sorretta dalla compagine dell’unità. Dire che le porte dell’Inferno non prevarranno è lo stesso che annunciare la guerra che le potenze infernali faranno alla Chiesa, e la sua vittoria in ogni tempo, fino alla consumazione dei secoli, poiché essa non potrà mai morire.
Come è ammirabile la luminosa laconicità delle parole di Gesù Cristo e come sintetizzano la natura e la storia della sua Chiesa e della potestà del Papa! D’allora ad oggi nessuno potrà negare che esse si siano avverate, e che tra il fluttuare delle vicende umane siano rimasti sempre incrollabili la Chiesa e il suo capo! Dopo la risurrezione, Gesù donò a san Pietro ciò che gli aveva promesso (cf Mt 16,18) e i poteri che gli diede, riguardando un’istituzione immortale, dovevano di necessità trasmettersi ai successori.
San Pietro, nominato sempre per primo in tutti i Vangeli, esercitò difatti la sua supremazia, come si vede chiaramente negli Atti degli Apostoli. Egli, dunque, è il capo incontrastato della vera Chiesa. Del resto, sarebbe assurdo pensare che Gesù Cristo avesse potuto istituire un organismo che è una vera società visibile, senza un capo visibile; se l’avesse fatto, avrebbe creato un regno diviso, destinato a perire come si dividono e periscono le sette che si distaccano dal vicario di Gesù Cristo.
Oggi che l’onda limacciosa dell’ateismo, e quindi della violenza, tenta cancellare dalla faccia della terra ogni culto e ogni idea di Dio, i poveri protestanti, invece di farsi seminatori di scandali e di discordie, devono sinceramente convertirsi al Signore e riunirsi alla sua Chiesa.
Se non lo fanno diventano – come già è avvenuto dove ferve la persecuzione contro la Chiesa –, i cooperatori degli scelleratissimi empi e i manutengoli dei loro tenebrosi disegni.
Niente può sostituirsi alla Chiesa e nessuno può soppiantare il suo augusto Capo; solo la Chiesa vive delle ammirabili ricchezze di Gesù Cristo, e solo il Papa le trasmette in essa, quasi cuore e cervello di quell’organismo meraviglioso.
         Chi si apparta dalla sua autorità perisce come un organismo che ha i centri vitali paralizzati. La Chiesa e il Papa sono mirabili frutti della redenzione dai quali sbocciano tutti gli altri; chi li disprezza, raccoglie la zizzania, credendola grano, anzi raccoglie la rovina temporale ed eterna.

sabato 6 agosto 2011

Venne verso di loro camminando sulle acque

Commento al Vangelo della XIX domenica del T.O.
Don Dolindo Ruotolo

[Dopo che la folla ebbe mangiato], subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo.
La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!».
Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».
Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!» (Mt 14, 22-23).
La tempesta del lago e la presenza di Cristo Gesù
Il popolo, in quel momento, faceva capo agli apostoli che allora non erano immuni dal comune pregiudizio di un Messia glorioso, e perciò Gesù ordinò loro di passare all’altra riva del lago, mentre Egli licenziava le turbe. L’amor suo non poteva non rispondere agli atti di fiducia e di riconoscenza delle turbe, e chissà quante parole dolcissime dovette dire, e quante benedizioni dovette dare a ciascuno di quelli che gli tendevano le mani. Egli doveva anche sentire compassione per quella gente che si entusiasmava tanto per un beneficio temporale. Mai, come in quel momento, avevano avuto una manifestazione di fede più clamorosa, e mai questa fede era stata più meschina, tutta ristretta nelle cose fugaci della terra!
Licenziato il popolo, Gesù salì sopra un monte per pregare, mentre annottava; era la seconda sera. Gli apostoli erano lontani nel lago e, poiché il vento era contrario, la loro barca, sbattuta dai flutti, non riusciva ad approdare. Era la quarta vigilia della notte, cioè erano le tre del mattino.
Gli apostoli erano stati quasi tutta la notte alle prese con la tempesta, e forse avevano rivolto il pensiero a Gesù, per implorarne il soccorso. Gesù ascoltò il loro gemito e venne in loro soccorso, camminando sulle acque. Discendeva dal monte dove aveva pregato tutta la notte e, in quella sublimissima orazione il suo corpo attratto dall’estasi dell’anima, s’era fatto leggerissimo, molto più di quello che non avvenga nei santi, rapiti in alto. Scese dal monte, dunque, come in volo, e camminò sulle acque non rendendole solide con un miracolo, ma sorvolandovi sopra per l’altissima estasi della sua orazione. La sua andatura veloce, quasi come nube che passa, giustificò l’impressione degli apostoli che lo crederono un fantasma. Essi gridarono per lo spavento, ma Gesù li rassicurò, dicendo: Abbiate fiducia, sono io, non temete. Era distante dalla barca, com’è chiaro dal contesto, e forse il medesimo vento contrario sospingeva lontano il suo corpo, fatto leggero.
Nell’impeto dell’amore, san Pietro gridò: Signore, se sei tu, comandami di venire da te sulle acque. Non voleva far saggio di un’acrobazia marina, in quel momento di angosciosa tempesta; gridò, per assicurarsi della verità; sentì che egli doveva confermare nella verità i suoi compagni. Gesù gli disse: Vieni. Pietro, a quella parola di comando che ordinava il mare ai suoi passi e ne formava per lui una via, si gettò dalla barca senza pensare più a quel che faceva. L’impeto dell’amore lo aveva tratto in estasi, e il suo corpo s’era fatto leggero come quello di Gesù. Dio non fa opere superflue, e negli stessi miracoli usa un’economia mirabile, utilizzando le cause seconde da Lui create. Non c’era bisogno di solidificare le acque, quando Gesù, attraendo l’anima di Pietro nel suo amore, poteva, con un’estasi, renderlo leggero. Il contesto medesimo ce lo fa arguire.
Nelle estasi, infatti, si sa che il corpo, elevato da terra, è così leggero che un soffio può farlo dondolare nello spazio. San Pietro, fatto leggero dall’amore, si slanciò ma, vedendosi investito dal vento e come travolto proprio per la sua leggerezza, temette, si concentrò in sé, uscì dall’estasi d’amore, ridiventò pesante, cominciò a sommergersi. Vedendosi in pericolo, gridò a Gesù: Salvami! E Gesù, stesa la mano, lo prese, lo rimproverò dolcemente della sua poca fede, e con lui salì nella barca. Subito il vento si quietò e gli apostoli, stupefatti, adorarono Gesù, confessandolo per vero Figlio di Dio. Approdarono così facilmente sul far del mattino alla terra di Genesar o Genesaret, dove concorse gran turba di ammalati che, al solo toccare il lembo della sua veste, furono sanati. 

Se

lunedì 1 agosto 2011

"O Gesù! - Riposo in Te."

01 agosto 2011
"O Gesù! —Riposo in Te."
Abbattimento fisico. —Sei... a pezzi. —Riposa. Sospendi questa attività esterna. —Consulta il medico. Obbedisci e non preoccuparti. Presto tornerai alla tua vita e migliorerai, se sei fedele, i tuoi apostolati. (Cammino, 706)

Se tu non lo lasci, Egli non ti lascerà. (Cammino, 730)

Spera tutto da Gesù: tu non hai nulla, tu non vali nulla, tu non puoi nulla. —Sarà Lui ad agire, se ti abbandoni in Lui. (Cammino, 731)

O Gesù! —Riposo in Te. (Camino, 732)

Tutto ti lascia indifferente? —Non cercare di ingannarti. Proprio adesso, se io ti chiedessi di persone e d'imprese nelle quali, per amore di Dio, hai messo la tua anima, dovresti rispondermi con ardore, con l'interesse di chi parla di cosa propria!

Non tutto ti lascia indifferente: ma non sei instancabile... e hai bisogno di un po' più di tempo per te: tempo che servirà anche per le tue opere, perché, in fin dei conti, tu sei lo strumento. (Cammino, 723) [Uscire]