Commento al Vangelo: IV Domenica del TO 2012 (Mc 1,21-28)
Don Dolindo Ruotolo
La dottrina di Gesù. L’indemoniato
Dopo la chiamata dei primi quattro apostoli, Gesù andò in
loro compagnia a Cafarnao, ed essendo giorno di sabato, entrò nella sinagoga e
cominciò ad insegnare. Tutti rimanevano stupiti della sua dottrina – dice il
Sacro Testo –, perché Egli insegnava come uno che ne aveva l’autorità, a
differenza degli scribi che si rimettevano a ciò che insegnava la Sacra
Scrittura, appoggiandosi alla sua autorità. Gesù Cristo annunciava un nuovo
patto fra Dio e l’uomo, e spingeva le anime alla ricerca della Verità eterna,
parlando come uno che agiva per una precisa missione divina, mentre gli scribi
si limitavano a citare Mosè, e si trattenevano a parlare minutamente solo di
usi e di prescrizioni esterne che attanagliavano lo spirito, anziché spingerlo
al Signore.
Gesù
Cristo parlava con autorità, e la sua parola si appoggiava a Lui stesso, Verbo
eterno di Dio ed eterna Verità, suscitando nelle anime una grande pace e un
immenso desiderio di Dio, ciò che non producevano gl’insegnamenti degli scribi.
Lo stupore che provavano quelli che lo ascoltavano non era poi una sterile
ammirazione, ma proveniva da una grande vita interiore che sbocciava sotto il
calore della sua grazia e nei raggi della sua bontà.
La parola di Gesù
era luce a se stessa, perché veniva dalla sfolgorante fonte della sua infinita
sapienza.
Satana tentò di
oscurare questa luce, e finse di volerla glorificare, sostituendo la propria
testimonianza tenebrosa a quella della Verità per essenza. C’era, nella
sinagoga, un uomo posseduto dal demonio, il quale, ascoltando Gesù che
predicava, gridò: Che abbiamo noi a che fare con te, Gesù Nazareno? Sei
venuto a perderci? Io so chi sei tu, il Santo di Dio.
Satana voleva
sostituire alla fede che la divina Parola suscitava nei cuori, la fede nella
propria parola; voleva che avessero riconosciuto Gesù per Messia non per la
testimonianza della divina verità, ma per la propria tenebrosa testimonianza,
perciò non ebbe ritegno di dichiararsi estraneo al Signore, di mostrarsi
terrorizzato di Lui, e di proclamarlo il Santo di Dio, cioè il Messia. Se il popolo
l’avesse ascoltato, avrebbe creduto non per la divina autorità che si svelava,
ma perché l’aveva detto satana. Per questo Gesù gl’impose di tacere e gli
comandò di lasciare l’infelice che tormentava.
A
primo aspetto sembra strano che il Signore abbia imposto silenzio a satana che
lo proclamava Santo di Dio; ma la fede, come tale, non può appoggiarsi che
sull’autorità di Dio che rivela, perché è assenso della ragione e dedizione
della volontà a Lui per amore; qualunque altra testimonianza della verità non
fa sorgere in noi la fede, ma tutt’al più uno sterile consenso a quello che
sembra autorevole e sorprendente.
Satana
ripete il suo triste gioco nello spiritismo, quando dai tavoli parlanti mostra
di avere terrore della divina maestà e conferma la verità della fede; gli
spiritisti vanno in giolito a quelle affermazioni, sembrando loro un argomento
irrefutabile della bontà delle loro pratiche superstiziose, e non si accorgono
che partono dal tavolino, credendo a satana più che a Dio, e che credono con un
senso di sterile spavento che spegne in loro ogni scintilla d’amore.
Satana
si mostrò per quello che era quando abbandonò il poveretto che ossessionava; egli,
infatti, lo straziò, e uscendo da lui urlò forte come belva ferita; non
poteva dare che tormenti, essendo spirito infelicissimo, e non poteva che
urlare, non portando mai pace. Gesù Cristo, cacciandolo con piena autorità
negli abissi con una sola parola, si manifestò Re potentissimo, tanto che le
turbe rimasero stupefatte e, piene di gioiosa ammirazione, divulgarono in breve
il fatto per tutta la Galilea.