Commento al Vangelo: IV domenica di Quaresima 2017 A (Gv 9,1-41)
La guarigione del cieco nato
Dopo la discussione avuta con i farisei nel recinto del tempio, e dopo essersi eclissato dal loro sguardo quando erano già pronti a lapidarlo, Gesù Cristo si allontanò dal sacro luogo insieme ai suoi discepoli, e passò per una delle porte dove ordinariamente sostavano i poveri e gl’infelici per domandare l’elemosina.
L’essersi trovato là con i suoi discepoli e l’esservisi fermato conferma che Egli si eclissò miracolosamente da quelli che volevano lapidarlo.
Passando, vide un poverello, cieco dalla nascita, il quale, per essere portato là ogni giorno dall’infanzia a chiedere l’elemosina, era conosciuto da tutti, ed era una di quelle figure che, nella loro medesima piccolezza, finiscono per interessare il pubblico, e per essere quasi come un motivo insostituibile di certi ambienti.
Dal contesto del racconto si rileva l’indole di questo cieco: di facile parola, affettuoso, riflessivo, e un po’ psicologo o conoscitore dell’ambiente del tempio; abituato a raccogliere tanti discorsi che facevano i pellegrini e forse tante mormorazioni di quelli che erano addetti al sacro luogo, si era formato un concetto abbastanza chiaro di quelli che ne avevano il comando. I ciechi s’informano di tutto nel loro piccolo ambiente, proprio perché non vedono, e questo giovane doveva pur sapere che quasi mai i sacerdoti, gli scribi e i farisei facevano scivolare nelle sue mani qualche elemosina, essendo sommamente venali; questo doveva aver disposto l’anima sua a diffidenza e disistima per essi; perciò, quando fu interrogato da loro, si mostrò franco, e non mancò di ribatterli con una certa vivezza che rivela questo suo stato d’animo.
La sua vita era monotona; al mattino era accompagnato al tempio, e vi rimaneva a chiedere l’elemosina; a sera era riaccompagnato a casa. Raccoglieva spesso le espressioni pie dei pellegrini, o gl’insegnamenti dei dottori della Legge, e aveva una certa cultura religiosa, per la quale gli doveva essere familiare il sentenziare e anche l’ammonire. Era di indole buona, di natura semplice, di carattere espansivo, e timorato di Dio.
Passando vicino al cieco nato, i discepoli, considerandone l’infelicità e attribuendola a castigo di Dio, domandarono a Gesù: Rabbì, chi ha peccato, costui o i suoi genitori, da nascere cieco? Era infatti persuasione comune, tra i Giudei, che i mali fisici fossero mandati da Dio in punizione di peccati commessi, o che fossero castigo dei peccati dei genitori; ma i discepoli facevano una domanda insulsa, chiedendo se avesse peccato il cieco prima di nascere, perché questo sarebbe stato impossibile. Essi forse si confusero e, nel domandare se quella cecità fosse stata effetto di colpa, coinvolsero anche il cieco nella responsabilità. Gesù rispose che né quel poveretto né i suoi genitori avevano peccato, ma che quella cecità era stata disposta e permessa da Dio per manifestare, in quell’infelice, la sua potenza, la sua gloria e la realtà del suo Figlio Incarnato; Gesù, infatti, soggiunse che Egli doveva compiere le opere di Colui che lo aveva mandato e, con questo, mostrò chiaramente l’intenzione di guarire quel cieco.
Nonostante le minacce dei suoi nemici, e nonostante che quel miracolo li avrebbe più malignamente aizzati contro di Lui, Egli non avrebbe mancato di compiere quell’opera buona, e di dare un nuovo argomento della verità della sua missione. Era per Lui ancora giorno, cioè non era ancora giunta l’ora oscura della sua Passione, quando non avrebbe potuto compiere miracoli, volendo subirla fino all’estrema immolazione. Egli doveva ancora per poco rimanere nel mondo e, finché vi dimorava, voleva dare argomenti di luce a tutti i secoli, nonostante che i malvagi ne avrebbero preso motivo per odiarlo e per irrompere contro di Lui.
Gli scribi e farisei avrebbero voluto che Egli avesse taciuto per sempre e si fosse eclissato, rinunciando alla sua missione; ma Egli questo non poteva farlo, perché era la luce delle anime e la luce dei secoli. Aveva detto poco prima:Io sono la luce del mondo, e volle confermare questa grande e fondamentale verità con un miracolo d’illuminazione materiale, simbolo dell’illuminazione spirituale. Volle donare la vista a quel povero cieco, per significare la vista che voleva dare e che avrebbe dato alle anime; compì esternamente il miracolo che voleva compiere internamente, e si servì di un mezzo inadeguato, anzi contrario, perché si fosse capita l’importanza del mezzo del quale voleva servirsi per redimere il mondo, cioè l’umiltà e l’obbrobrio della croce.
Gesù non domandò al cieco se voleva essere guarito né il cieco lo supplicò di guarirlo: andò Egli stesso incontro al povero infelice, come Egli stesso veniva incontro all’uomo peccatore e, sputato in terra, fece con lo sputo un po’ di fango, impastando la polvere della strada, lo spalmò sugli occhi del cieco e gli comandò di andarsi a lavare alla piscina di Siloe.
Il Sacro Testo fa notare che Siloe significa mandato, perché questo nome aveva un significato mistico che ricordava precisamente Colui che doveva essere mandato, ossia il Messia.
La piscina o fontana di Siloe si trovava nella parte sud-est di Gerusalemme, fuori delle mura, tra il monte Ofel e il Sion; il cieco, per recarvisi, dovette essere accompagnato da qualcuno. Andò, si lavò e acquistò subito la vista.
Gli occhi del cieco si aprono e vedono…
Quale sorpresa dovette avere nel vedere la luce, e nel vedere quello che lo circondava! I ciechi nati si formano un concetto tutto soggettivo del mondo e delle cose che li circondano; non concepiscono proprio quello che non può essere oggetto del tatto, e che non può essere apprezzato da una loro esperienza. Certe cose sembrano loro più grandi della realtà, certe altre più piccole; possono concepire un monte come un semplice rialto, e un palazzo come un monte. A volte sembra loro di stare a grande distanza e credono immensa una strada, a volte un grande spazio sembra loro ristretto.
Il cieco si trovò in un mondo che non immaginava; si guardò attorno stupefatto, vide la strada per la quale era venuto, vide le case, ammirò i campi, volse lo sguardo al cielo, ne contemplò la magnificenza, sentì una nuova vita interiore, formata in lui dal riflesso di tutto ciò che vedeva e, poiché aveva il cuore buono, abituato alla preghiera dalle lunghe dimore fatte alla soglia del tempio, ritornò sui suoi passi per andare a ringraziare Dio. Che felicità sentiva a non andare a tentoni; che gioia a saper dove mettere il piede; che gioconda curiosità a notare tutti quelli che incontrava, a squadrarli da capo a piedi, a considerarne la bellezza o la bruttezza!
Era stato un povero schiavo di quanto lo circondava e si sentiva libero; era stato inceppato dalle tenebre e si sentiva come guidato dalla luce, nella quale godeva, quasi respirandola; era povero e si sentiva ricco, poiché gli sembrava d’essere venuto in possesso del mondo che percepiva e del quale godeva.
Psicologicamente quel fare franco e, se si può dire, un po’ spavaldo che ebbe con i giudici che dopo ripetutamente lo interrogarono, era conseguenza anche di quel senso di libertà e di padronanza che gli dava la vista acquistata. Egli vide, per la prima volta, quelli che aveva conosciuti per esperienza duri e sprezzanti e, potendoli squadrare nel loro volto arcigno, sospettoso e ipocrita, si sentì autorizzato a dar loro una lezione.
Ritornato sui suoi passi, egli dovette andare prima di tutto a dare la bella notizia ai suoi genitori, e fu subito notato dai vicini di casa che si stupirono a vederlo camminare senza guida. Lo guardarono con attenta curiosità e si scambiarono le loro impressioni mentre egli si avvicinava. Alcuni dicevano: Non è questi colui che stava a sedere, e cercava l’elemosina? Altri, vedendolo avvicinare, esclamavano: Sì è proprio lui; altri ancora, ai quali sembrava assurdo che potesse vedere, dicevano: No, è impossibile; forse è uno che gli somiglia. Egli poi, giunto nel crocicchio della gente che, incuriosita, già andava raccogliendosi, affermò con sicurezza che non ammetteva equivoci: Sono proprio io, ero cieco e ora ci vedo per misericordia di Dio. A quest’affermazione si accertarono che era lui, e crebbe in loro la curiosità di sapere come avesse avuto la vista, ed egli rispose: Quell’uomo che si chiama Gesù fece del fango, unse i miei occhi, e mi disse: Va’ alla piscina di Siloe e lavati. Sono andato, mi sono lavato e ci vedo. Chiamò Gesù quell’uomo perché non lo conosceva ancora, ma ne aveva sentito parlare, e la gente stessa non doveva essergli familiare, perché tutti gli chiesero: Dov’è quest’uomo? Ed egli rispose che non lo sapeva.
Un miracolo sconcertante, questo,
per i nemici del Signore
Tra la gente che s’era affollata c’erano alcuni che avevano autorità e, sentendo parlare di Gesù Cristo e del fango che aveva fatto in giorno di sabato, sembrando loro questo una violazione della legge, accompagnarono il giovane dai farisei, cioè innanzi al sinedrio, per far fare un’inchiesta accurata sul fatto.
Per i nemici del Salvatore quel miracolo era sconcertante, perché non poteva essere effetto d’illusione, e perché poteva avere una grande influenza sul popolo. Perciò cominciarono col volerne bene assodare le circostanze, nella speranza di trovarvi qualche punto debole per poterlo negare. Interrogarono perciò il giovane, per sentirsi ripetere com’era stato guarito, ed egli, già annoiato da tante domande, ripeté più sinteticamente il fatto, dicendo: Mise il fango sui miei occhi, mi lavai e ci vedo.
Parlò con tanta sicurezza che i farisei, in quel momento, non misero in dubbio la sincerità del racconto sulla guarigione, e cominciarono a discutere fra loro; i più ostili dicevano che Gesù non poteva essere da Dio, perché non osservava il sabato; altri, più temperati e logici, facevano riflettere che un peccatore non avrebbe potuto fare questo miracolo e gli altri, dei quali avevano conoscenza, perché Dio non avrebbe confermato l’inganno di un impostore. La discussione si animò talmente che ci fu scissura fra loro e, non potendo venire ad una conclusione, pensarono di approfondire meglio la questione, e domandarono al giovane che cosa egli pensasse di Colui che l’aveva guarito. Egli rispose: Io dico che è un profeta.
È profondamente psicologica la domanda dei farisei, e mostra tutto l’imbarazzo della loro mente e della loro coscienza; chi, infatti, è titubante in una questione grave sulla quale non sa decidersi, domanda anche ai più umili che cosa ne pensano, e spera di avere un argomento plausibile per attenersi alla risoluzione che, inconsciamente, più lo attrae.
Essi avrebbero voluto condannare Gesù, ma non osavano, e speravano che una parola di disprezzo che avrebbe potuto dire il giovane li avrebbe tolti d’impiccio. Forse furono alcuni di quelli meno sfavorevoli e più titubanti nella coscienza che rivolsero al giovane quella domanda, quasi oziosamente e indifferentemente, senza mostrare di volergli dare importanza, ma con la speranza di una testimonianza a loro favorevole. Il giovane si sentì lusingato, e rispose col tono di chi sta alla pari con chi lo interroga: Io dico che è un profeta.La risposta per i più scalmanati non aveva nessun valore giuridico: anzi il mostrarsi il giovane entusiasta di Gesù diede loro il pretesto per sospettare un trucco; misero in dubbio l’autenticità del fatto, e non vollero ammettere che proprio quel giovane fosse il cieco nato che chiedeva l’elemosina, senza prima chiamare e interrogare i suoi genitori.
Depongono i genitori
Dal contesto può rilevarsi che i messaggeri che andarono a chiamarli dovettero spaventarli con minacce, e avvertirli che, se avessero in qualunque modo parlato bene di Gesù, si sarebbero esposti ad essere espulsi dalla sinagoga; essi, perciò, assunsero un atteggiamento estremamente prudente, sapendo che l’essere espulsi dalla sinagoga equivaleva all’essere come scomunicati.
Introdotti innanzi al sinedrio, furono rivolte loro due domande, una per l’identificazione del giovane: È questo quel vostro figlio che voi dite essere nato cieco?, e un’altra per conoscere in qual modo fosse guarito: Come dunque ora ci vede? Le domande le fecero insieme, perché essi sapevano che quegli era il giovane, e premeva loro conoscere dai genitori com’era guarito, sperando di controllare, nel racconto, una qualunque contraddizione che potesse offrire loro il pretesto di condannare Gesù come un impostore. Frattanto, fecero uscire il giovane, per evitare qualunque intesa, fatta magari a cenni con i suoi genitori. Questi, cercando dissimulare la paura che avevano di trovarsi innanzi all’autorità, risposero con calma che sapevano benissimo che quel giovane era loro figlio, e che era nato cieco, ma ignoravano come ora vedeva e chi gli aveva aperto gli occhi; soggiunsero che il giovane aveva un’età sufficiente per dar conto di ciò che lo riguardava e che, perciò, avessero interrogato lui stesso che doveva saperlo. Con questo, uscirono dall’imbarazzo in cui erano, e furono licenziati.
Il miracolato con impeto difende Gesù
e mette in imbarazzo il sinedrio
Rimaneva, così, assodato giuridicamente che realmente quel giovane era stato cieco, e quindi che realmente era guarito.
I farisei, perciò, lo richiamarono in udienza con la speranza di farlo schierare contro Gesù, e quindi di far svalutare da lui stesso Colui che l’aveva guarito, o almeno di strappare dal suo labbro qualche contraddizione sul miracolo che ne avesse sfatato l’importanza. Avutolo davanti, cercarono di prenderlo con le buone, dicendogli: Da’ gloria a Dio, cioè: Di’ la verità, e pensa che si tratta della gloria di Dio, dovendosi smascherare un impostore; non ti far ingannare dal beneficio ricevuto, e non mentire se non sei un falsario anche tu e fingi una guarigione che non è mai esistita; noi sappiamo, infatti, che quest’uomo è peccatore. E volevano continuare e dire che, come tale, non aveva potuto fare quel miracolo; ma il giovane non li lasciò continuare e, urtato da quell’ingiuria rivolta al suo benefattore, li interruppe, dicendo: Se sia peccatore io non lo so; questo solo conosco che ero cieco e ora io vedo. E voleva dire: Voi affermate che è peccatore, e della vostra affermazione siete responsabili voi; io non lo so, cioè non lo ammetto, perché ero cieco e ora vedo; un peccatore non avrebbe potuto fare questo miracolo.
Siccome il giovane ricordava il miracolo avuto come argomento per negare che Colui che glielo aveva fatto fosse un peccatore, lo interrogarono nuovamente sul miracolo per tentare di svalutarlo, e per dimostrargli che Gesù aveva violato il sabato ed era veramente un peccatore; dissero perciò di nuovo:Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi? Domandarono prima che cosa avesse fatto, per dargli subito l’impressione della violazione del sabato. Ma il giovane, annoiato della nuova inquisizione sull’accaduto, disse con vivacità, come appare dal contesto: Già ve l’ho detto e l’avete ascoltato; perché volete sentirlo di nuovo? E, per pungerli sul vivo e per farli smettere, soggiunse: Volete forse diventare anche voi suoi discepoli? Ma essi, adirati al sommo, lo ingiuriarono e dissero in tono di disprezzo e di odio: Sii tu discepolo di costui; quanto a noi, siamo discepoli di Mosè. Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio, mentre costui non sappiamo di dove sia. L’odio stesso che avevano per Gesù, li fece scendere a competizione con quel giovane, il quale cominciò a discutere con loro alla pari, e disse: Qui appunto sta la stranezza che voi non sapete di dove Egli sia, eppure mi ha aperto gli occhi. E voleva dire: Agisce tanto soprannaturalmente per virtù di Dio che senza far capo a voi o aver da voi l’approvazione, ha operato un miracolo così strabiliante. Dunque ha un’autorità e una potenza superiore a voi. Voi affermate che è un peccatore, ma noi sappiamo bene che Dio non ascolta i peccatori per confermare la loro malvagità o le loro imposture; ascolta operando cose straordinarie solo chi lo onora e fa la sua volontà. Dacché mondo è mondo non si è udito dire che alcuno abbia aperto gli occhi ad un cieco nato. Se questi non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla.Rosso in volto, concitato, entusiasta, senza riflettere più a quelli che lo interrogavano come giudici, il giovane si accalorò nella discussione e diede una solenne lezione a quegli ipocriti.
Alcuni hanno affermato che egli non parlasse in modo giusto dicendo che Dio non ascolta i peccatori, ma questo è falso, perché se Dio ascolta anche le preghiere dei peccatori, non li ascolta quando pretendono che Egli avalli con miracoli le loro malvagità. L’argomentazione era quindi stringata e, poiché Dio aveva operato quel miracolo per glorificarsi in quell’infelice e manifestare in lui le opere sue, noi crediamo che il giovane parlasse per impulso di grazia, e che il Signore umiliasse, così, la superbia del sinedrio. In fondo, il ragionamento del giovane era quello che avrebbero dovuto fare i giudici che lo interrogavano: ciò che compie questo uomo è straordinario e miracoloso, cioè suppone l’intervento di Dio. Ora, il Signore non interverrebbe se Egli fosse un peccatore, violatore della Legge; dunque quest’uomo è da Dio e, senza di Dio, non potrebbe far nulla di ciò che fa.
Nell’ascoltare quella vivacissima difesa che il giovane fece di Gesù, gli scribi e farisei montarono su tutte le furie e, non potendogli rispondere direttamente perché a corto di argomenti, lo vituperarono, dicendo: Sei tutto un impasto di peccati e pretendi d’insegnare a noi? Con questa ingiuria sanguinosalo cacciarono fuori, ossia probabilmente gli applicarono la scomunica, per impedirgli di propagare il miracolo avuto o per togliere ogni prestigio alla sua testimonianza.
Gesù dona al giovane miracolato la «vista»
dell’anima e gli si rivela Figlio di Dio
Il fatto produsse grande scalpore per la notorietà del giovane guarito, e ci fu chi andò a riferirlo a Gesù. Il Redentore ne fu addolorato e, avendo dato a quell’infelice la vista del corpo, volle dargli anche quella dell’anima, illuminandolo pienamente. Quel giovane lo credeva un profeta, ed era necessario che lo riconoscesse per Figlio di Dio; l’aveva confessato e difeso come santo e doveva confessarlo e adorarlo come Santo dei Santi; perciò, incontratolo, gli disse: Credi tu nel Figlio di Dio? Ed egli rispose: Chi è, Signore, perché io creda in Lui? Aveva la volontà di credere, ma gli mancava la luce, come prima voleva vedere fisicamente e gli mancavano gli occhi. Gesù Cristo, illuminandolo interiormente con un grande fulgore di grazia, gli disse solennemente:
Lo hai visto, Colui che parla con te è proprio lui.
Il giovane lo guardò, ne vide in quello sguardo la maestà, ne sentì la potenza, ne riconobbe la gloria; si sentì l’anima tutta piena di soave unzione, sentì nel cuore una gran fiamma d’amore, esultò nello spirito, si sentì come schiacciare dalla grandezza di Colui che gli parlava, si prostrò fino a terra e, adorandolo come Dio, disse: Credo, o Signore.
I farisei a Gesù, ironicamente:
«Siamo forse ciechi»?
Quelli che lo circondavano, al vedere quel profondo atto di adorazione, rimasero meravigliati, perciò Gesù soggiunse: Io sono venuto in questo mondo per fare un giudizio, affinché quelli che non vedono vedano, e quelli che vedono diventino ciechi. E voleva dire: Voi vi stupite? Gli orgogliosi, gonfi della loro sapienza che credono di vedere, rifiutano la verità e diventano interiormente ciechi; gli umili, invece, che vengono a me con semplicità, vedono la luce di Dio, ricevono la fede e si salvano. Io, così, divento per gli uni tenebre e per gli altri luce. Egli voleva scuotere i farisei che erano con Lui, ma essi se ne offesero e soggiunsero: Siamo forse ciechi anche noi? Essi si credevano illuminati, scienziati, dottori della Legge, perfetti, e dissero ironicamente: Vuoi trattare da ciechi anche noi che siamo luce d’Israele? E Gesù rispose con profondo dolore: Oh, foste voi ciechi, ossia foste veramente accecati in buona fede nel rinnegarmi e nel rifiutare la luce della verità! Voi allora non avreste sull’anima il peccato. Ma perché affermate di vedere, agite in malafede, rinnegate con malizia la verità, e rimanete nel peccato.
Padre Dolindo Ruotolo