Commento al Vangelo della XXVI Domenica del T.O. 2012 (Mc 9,38-43.45.47-48) - San Girolamo
Lo spirito che si scaccia nell’orazione e nel digiuno
Sceso dal monte insieme ai suoi tre altri apostoli, Gesù vide gli altri apostoli circonda
ti da gran folla, in disputa animata con gli scribi.
L’oggetto della disputa non era propriamente il lunatico che essi non avevano potuto guarire e liberare da satana, ma era evidentemente il Redentore. Gli scribi volevano dimostrare, dall’insuccesso degli apostoli, che tutto era inganno quello che avveniva in Gesù, e che essi seguivano una via pericolosamente fantastica. Forse insinuavano che Egli si era dileguato perché non si sentiva la potenza di liberare uno che essi stimavano veramente infermo e ossesso. Questo può supporsi dallo stupore e dal timore che ebbe il popolo nel veder venire Gesù, e dal modo stesso come lo salutarono.
Quando, infatti, si mormora a torto ed esageratamente di uno che è assente, si rimane sconcertati nel vederlo venire improvvisamente e, per la stessa coscienza lesa che si ha, si cerca in certo modo, con qualche cortesia, di non mostrare il proprio ma-lanimo. Questo è psicologico. Gesù, poi, scendeva dal monte dopo la trasfigurazione, e aveva tale maestà nel volto e tale misteriosa regalità nel suo stesso incedere che su-scitò un senso di stupore e di timore in tutti.
Avvicinatosi, Gesù domandò di che cosa discutessero, ma essi dovettero tacere, come appare dal contesto; parlò solo uno che era interessato a parlare, il povero padre dell’epilettico indemoniato che gli apostoli non avevano potuto guarire e libe-rare, sperando che il Signore avrebbe potuto consolarlo con un prodigio. Alle parole del padre desolato che manifestava l’impotenza degli apostoli riguardo al figlio suo, Gesù esclamò, pieno di dolore: O generazione incredula, fino a quando starò con voi? Fino a quando vi sopporterò?
Era la mancanza di fede che aveva posto ostacolo al miracolo, tanto negli apo-stoli quanto nel popolo. Gli apostoli, in assenza di Gesù, non erano stati raccolti nella preghiera e si erano dissipati; forse può supporsi che avessero anche accettato qualche invito a pranzo, perché il Redentore disse loro intenzionalmente che quel genere di demoni si cacciava solo nell’orazione e nel digiuno. Avevano ricevuto l’infermo in uno stato di dissipazione interiore, e avevano comandato invano allo spirito perverso di lasciarlo in pace.
Il popolo, poi, si era affollato per curiosità, e il padre del povero infelice aveva fatto appello agli apostoli non per la fede che aveva in Gesù Cristo, ma solo nella speranza che essi avessero avuto un potere arcano per liberargli il figlio.
Da tutte le parti c’era una grave mancanza di fede e, in quelle condizioni, se Dio avesse operato il miracolo, questo sarebbe stato svalutato o come un fatto comu-ne, o come l’effetto di forze misteriose che possedevano gli apostoli.
Gesù ordinò che gli conducessero il lunatico, e questi, appena condotto alla sua presenza, cominciò ad essere turbato da satana. Gettato per terra dalla furia diabolica, si ravvoltolava ed emetteva schiuma dalla bocca. Gesù domandò al padre di lui da quanto tempo gli accadesse ciò e quegli rispose che dall’infanzia era stato tormentato in quel modo, e lo supplicò di averne pietà se aveva il potere di sanarlo. Gesù rivolse quella domanda al padre del giovane, perché avesse riflettuto sulla gravità del caso, e avesse eccitato la sua fede, sperando di vederlo liberato; lo domandò anche per far ponderare agli astanti il miracolo che stava per operare, perché non si trattava di un’ossessione passeggera ma di una possessione tenace.
Come si rileva dal contesto e dal pensiero comune dei Padri, quello spirito era impuro, e può credersi che avesse preso possesso del giovane quand’egli, nell’infanzia, aveva commesso qualche azione indegna. Lo spirito impuro l’aveva reso sordo e muto e l’aveva straziato con varie pene, senza che alcuno avesse potuto scacciarlo.
È proprio quello che avviene alla gioventù quando, presa dalle prime passioni, si lascia ingannare da satana e cade in abissi d’impurità. Satana la strazia con i ri-morsi più terribili e con le pene che porta con sé l’impurità, e poi la rende sorda ai richiami del bene e muta nella preghiera e nella penitenza. Il giovane non si confessa più: è muto; rifugge dalla pietà, corre all’impazzata da un abisso in un altro, e si contorce per terra, nelle sue passioni disperatamente disordinate. Invano ci si sforza di poter dare la pace a questo cuore, esso è come invasato da satana, si contorce e non ascolta né rimproveri né consigli.
Non basta una grazia comune per vincere un’anima traviata dall’infanzia, non basta una fede qualunque, ci vuole una grande fede e una grande misericordia, e bi-sogna impetrarla col pregare e col fare penitenza. Bisogna ripetere, col povero padre desolato: Io credo, o Signore, aiuta tu la mia incredulità, e domandare con la preghiera che si accresca quella fede che il peccato impuro annebbia e spesso fa perdere addirittura.
Quando Gesù vide che il popolo accorreva intorno a Lui per movimento di cu-riosità, non volendo suscitare inutili entusiasmi, si affrettò a liberare quell’ossesso. Egli dovette anche aver pietà del povero padre, il quale soffriva a vedere che il figlio era divenuto spettacolo innanzi agli altri. Con grande potenza e maestà comandò allo spirito sordo e muto di uscire dal giovane, ed esso, nel lasciarlo, lo straziò talmente da ridurlo come morto. Molti, infatti, crederono che fosse veramente morto. Ma Gesù, presolo per mano, lo sollevò e quegli si alzò!
Non è possibile che sia cacciato da un giovane lo spirito impuro senza che Gesù Cristo, con una misericordia speciale, lo aiuti. Il sacerdote, in suo nome, quando un impuro va a confessarsi, lo aiuta a parlare, interrogandolo, e gli fa sentire la Parola di Dio, esortandolo; le interrogazioni sono tormentose, senza dubbio, e l’anima può anche contorcersi nella pena di dover dire certe cose vergognose; ma dopo che ha parlato e che l’assoluzione l’ha rialzata dalla sua morte, allora si sente risorta, e gode una pace mai più provata, sentendosi in grazia di Dio.
Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo
L’oggetto della disputa non era propriamente il lunatico che essi non avevano potuto guarire e liberare da satana, ma era evidentemente il Redentore. Gli scribi volevano dimostrare, dall’insuccesso degli apostoli, che tutto era inganno quello che avveniva in Gesù, e che essi seguivano una via pericolosamente fantastica. Forse insinuavano che Egli si era dileguato perché non si sentiva la potenza di liberare uno che essi stimavano veramente infermo e ossesso. Questo può supporsi dallo stupore e dal timore che ebbe il popolo nel veder venire Gesù, e dal modo stesso come lo salutarono.
Quando, infatti, si mormora a torto ed esageratamente di uno che è assente, si rimane sconcertati nel vederlo venire improvvisamente e, per la stessa coscienza lesa che si ha, si cerca in certo modo, con qualche cortesia, di non mostrare il proprio ma-lanimo. Questo è psicologico. Gesù, poi, scendeva dal monte dopo la trasfigurazione, e aveva tale maestà nel volto e tale misteriosa regalità nel suo stesso incedere che su-scitò un senso di stupore e di timore in tutti.
Avvicinatosi, Gesù domandò di che cosa discutessero, ma essi dovettero tacere, come appare dal contesto; parlò solo uno che era interessato a parlare, il povero padre dell’epilettico indemoniato che gli apostoli non avevano potuto guarire e libe-rare, sperando che il Signore avrebbe potuto consolarlo con un prodigio. Alle parole del padre desolato che manifestava l’impotenza degli apostoli riguardo al figlio suo, Gesù esclamò, pieno di dolore: O generazione incredula, fino a quando starò con voi? Fino a quando vi sopporterò?
Era la mancanza di fede che aveva posto ostacolo al miracolo, tanto negli apo-stoli quanto nel popolo. Gli apostoli, in assenza di Gesù, non erano stati raccolti nella preghiera e si erano dissipati; forse può supporsi che avessero anche accettato qualche invito a pranzo, perché il Redentore disse loro intenzionalmente che quel genere di demoni si cacciava solo nell’orazione e nel digiuno. Avevano ricevuto l’infermo in uno stato di dissipazione interiore, e avevano comandato invano allo spirito perverso di lasciarlo in pace.
Il popolo, poi, si era affollato per curiosità, e il padre del povero infelice aveva fatto appello agli apostoli non per la fede che aveva in Gesù Cristo, ma solo nella speranza che essi avessero avuto un potere arcano per liberargli il figlio.
Da tutte le parti c’era una grave mancanza di fede e, in quelle condizioni, se Dio avesse operato il miracolo, questo sarebbe stato svalutato o come un fatto comu-ne, o come l’effetto di forze misteriose che possedevano gli apostoli.
Gesù ordinò che gli conducessero il lunatico, e questi, appena condotto alla sua presenza, cominciò ad essere turbato da satana. Gettato per terra dalla furia diabolica, si ravvoltolava ed emetteva schiuma dalla bocca. Gesù domandò al padre di lui da quanto tempo gli accadesse ciò e quegli rispose che dall’infanzia era stato tormentato in quel modo, e lo supplicò di averne pietà se aveva il potere di sanarlo. Gesù rivolse quella domanda al padre del giovane, perché avesse riflettuto sulla gravità del caso, e avesse eccitato la sua fede, sperando di vederlo liberato; lo domandò anche per far ponderare agli astanti il miracolo che stava per operare, perché non si trattava di un’ossessione passeggera ma di una possessione tenace.
Come si rileva dal contesto e dal pensiero comune dei Padri, quello spirito era impuro, e può credersi che avesse preso possesso del giovane quand’egli, nell’infanzia, aveva commesso qualche azione indegna. Lo spirito impuro l’aveva reso sordo e muto e l’aveva straziato con varie pene, senza che alcuno avesse potuto scacciarlo.
È proprio quello che avviene alla gioventù quando, presa dalle prime passioni, si lascia ingannare da satana e cade in abissi d’impurità. Satana la strazia con i ri-morsi più terribili e con le pene che porta con sé l’impurità, e poi la rende sorda ai richiami del bene e muta nella preghiera e nella penitenza. Il giovane non si confessa più: è muto; rifugge dalla pietà, corre all’impazzata da un abisso in un altro, e si contorce per terra, nelle sue passioni disperatamente disordinate. Invano ci si sforza di poter dare la pace a questo cuore, esso è come invasato da satana, si contorce e non ascolta né rimproveri né consigli.
Non basta una grazia comune per vincere un’anima traviata dall’infanzia, non basta una fede qualunque, ci vuole una grande fede e una grande misericordia, e bi-sogna impetrarla col pregare e col fare penitenza. Bisogna ripetere, col povero padre desolato: Io credo, o Signore, aiuta tu la mia incredulità, e domandare con la preghiera che si accresca quella fede che il peccato impuro annebbia e spesso fa perdere addirittura.
Quando Gesù vide che il popolo accorreva intorno a Lui per movimento di cu-riosità, non volendo suscitare inutili entusiasmi, si affrettò a liberare quell’ossesso. Egli dovette anche aver pietà del povero padre, il quale soffriva a vedere che il figlio era divenuto spettacolo innanzi agli altri. Con grande potenza e maestà comandò allo spirito sordo e muto di uscire dal giovane, ed esso, nel lasciarlo, lo straziò talmente da ridurlo come morto. Molti, infatti, crederono che fosse veramente morto. Ma Gesù, presolo per mano, lo sollevò e quegli si alzò!
Non è possibile che sia cacciato da un giovane lo spirito impuro senza che Gesù Cristo, con una misericordia speciale, lo aiuti. Il sacerdote, in suo nome, quando un impuro va a confessarsi, lo aiuta a parlare, interrogandolo, e gli fa sentire la Parola di Dio, esortandolo; le interrogazioni sono tormentose, senza dubbio, e l’anima può anche contorcersi nella pena di dover dire certe cose vergognose; ma dopo che ha parlato e che l’assoluzione l’ha rialzata dalla sua morte, allora si sente risorta, e gode una pace mai più provata, sentendosi in grazia di Dio.
Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo