Commento al Vangelo della XXIV Domenica del T.O. 2012 (Mc 8,27-35)
Gesù parla della sua Passione
Il cieco di Betsaida era un’immagine dei
ciechi spirituali che circondavano Gesù; di essi alcuni, gli scribi e farisei,
non vedevano addirittura, e altri, gli apostoli e i discepoli, vedevano confusamente.
Era necessario
uscire da quell’incertezza, e perciò Gesù, camminando, domandò ai suoi apostoli
che cosa dicessero di Lui gli uomini. Essi risposero che alcuni lo credevano
Giovanni Battista risuscitato, altri Elia ricomparso sulla terra, e altri un
profeta. Erano i ciechi che vedevano gli uomini come alberi, che confondevano il Verbo Incarnato
con le creature. Subito dopo Gesù li interrogò, dicendo: e voi chi credete che io sia? Era
necessaria una dichiarazione esplicita di fede che li distinguesse dai ciechi,
poiché essi dovevano illuminare gli altri, e san Pietro, illuminato
particolarmente da Dio, rispose a nome di tutti: Tu sei il Cristo.
San
Marco non ci parla dell’elogio che Gesù fece all’apostolo; forse questi glielo
proibì per umiltà, e volle piuttosto che avesse accennato alla necessità della
Passione, contro la quale egli aveva inconsciamente alzato la voce.
La confessione
aperta di san Pietro avrebbe dovuto essere promulgata dovunque; eppure Gesù
proibì a tutti gli apostoli di parlarne, dicendo loro che era necessario che
Egli soffrisse, morisse e risuscitasse dopo tre giorni. Si può domandare a
questo proposito: perché il Redentore proibì che si annunciasse quello che Egli
era?
Lo proibì per non
suscitare prima del tempo da Lui voluto la persecuzione che doveva condurlo
alla morte. Fu proprio la solenne confessione della sua divinità innanzi al
sommo sacerdote che lo fece dichiarare colpevole di morte, ed Egli, che
conosceva tutto, non voleva anticipare i tempi della divina volontà. Inoltre
non voleva che un annuncio prematuro, fatto ad anime maldisposte, avesse provocato
anche contro gli apostoli una persecuzione che li avrebbe trovati impreparati,
tanto impreparati che san Pietro, alla sola idea della Passione, si fece ardito
di trarre in disparte Gesù e di rimproverarlo, distogliendolo dal patire.
Fu un momento
impressionante: san Pietro, per l’amore che portava al Maestro, non voleva
neppure pensare che Egli dovesse patire; avrebbe voluto, anzi, che avesse
trionfato clamorosamente, a confusione dei suoi nemici; Gesù, invece, come dice
il Sacro Testo, voltatosi e visti i suoi discepoli – visti cioè con infinito
amore quelli per i quali voleva morire, quelli che, senza la sua morte,
sarebbero tutti periti –, rimproverò Pietro, chiamandolo satana, tentatore,
poiché, in quel momento, non aveva più la sapienza di Dio ma quella degli
uomini. Fu incerto tra l’amore umano e quello divino, fra la natura che
rifuggiva dal dolore, e l’Uomo-Dio che voleva abbracciarlo per redimere; san
Pietro che aveva parlato soprannaturalmente nel confessare la divinità, parla
ora naturalmente nel ripudiare il dolore come mezzo di redenzione, ed è ripreso
severamente perché il dolore è via della gloria eterna. Perciò Gesù, chiamati a
sé tutti quelli che lo circondavano, la folla e i discepoli, promulgò quella
legge di ammirabile economia di grazia che è il fondamento della vita
cristiana: Se qualcuno vuole seguirmi, rinneghi se stesso, prenda la sua
croce e mi segua.
Pretendere di
sfuggire al dolore salutare che ci fa veramente calcare le orme del Maestro
divino, non significa salvare la vita ma perderla, non significa provvedere
all’anima ma comprometterne la felicità eterna.
E che
cosa gioverebbe guadagnare anche tutto il mondo se dovesse perdersi l’anima?
Che cosa potrebbe dare l’uomo in cambio dell’anima, una volta che l’avesse perduta.Padre Dolindo Ruotolo
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