Commento al Vangelo – IV Domenica di
Avvento C 2012 (Lc 1,39-45)
Il saluto di Maria
Maria giunse
presto in casa di Zaccaria e salutò Elisabetta, dice il Sacro Testo. Non salutò il consorte di lei o
per delicatezza, sapendolo muto e non volendolo mortificare parlando, o perché
sapeva che era momentaneamente assente. Salutò con le parole allora più in uso.
La pace sia con te, o
con altra simile espressione e, al suono della sua voce, il bambino di
Elisabetta trasalì di gioia nel seno di lei, ed ella fu ripiena di Spirito Santo.
La voce
benedetta di Maria era come la voce stessa del Verbo Incarnato in Lei, perché
Egli ne possedeva e ne elevava tutta la vita; era voce santa e santificante che
operò quello che diceva come augurio di pace e, operandolo nello stesso tempo,
santificò il Battista nel seno materno, e ne santificò la madre, riempiendola
di Spirito Santo.
Elisabetta
vide Maria nello splendore della sua sovrumana bellezza e ne rimase
profondamente colpita. Il cammino, fatto sollecitamente, le aveva anche
fisicamente ravvivato il colore del volto: l’espansione con la quale le si
rivolse aveva fatto come affiorare tutta l’anima sua nelle linee del corpo
purissimo; era come un’opera d’arte mirabile, un misto di semplicità e di
maestà grande, un insieme di umiltà e di gloria, un’armonia di gioia profonda e
di compostezza imperturbabile; era bellissima come non lo fu mai nessuna
creatura, e rapiva perché spirava santità e pace da ogni movimento e da ogni parola.
Era ancora
fanciulla: aveva poco più di quindici anni e, benché fosse già sviluppata,
portava nella sua persona la casta e affascinante ingenuità propria
dell’adolescenza. Era come un fiore aperto alla vita e, perché aperto per virtù
dello Spirito Santo, conservava intatto quel candido fulgore d’integrità che è
proprio delle vergini. Sembrava un angelo del Paradiso, più di un angelo, fulgente
nei raggi della divinità che in Lei riposava, e diffondeva intorno una soavissima
unzione di grazia che saziava lo spirito e lo inebriava d’amore verso di Dio.
La sua voce non era voce di creatura umana: aveva qualcosa di misterioso, penetrava
il cuore come grazia, e lo pacificava con una grande soavità; era come una
melodia sommamente espressiva, tratta da uno strumento dolcissimo.
Il
saluto di santa Elisabetta
Santa
Elisabetta, perciò, al vederla così grande e così bella, esclamò per
ispirazione interna dello Spirito Santo: Benedetta sei tu fra le donne, e
benedetto il frutto del tuo seno. L’abbracciò, la strinse al cuore quasi
con effusione materna, perché ella era già avanzata di età; ma, nello
stringerla, sentì in lei qualcosa di divino, capì per grazia il mistero della
sua Maternità divina, sentì che abbracciava la Regina del cielo e
soggiunse: E da dove viene a me questa grazia che la Madre del mio Signore, cioè del mio Dio fatto uomo
per la salvezza di tutti, venga a me?
Con queste ispirate parole fu come
scolpita per i secoli la testimonianza della divina Maternità di Maria e della
sua ineffabile grandezza. Ella non è indifferente ai salvati dal Redentore: lo
porta loro, lo dona, effonde la sua grazia e la sua misericordia, dona la sua
gioia, santifica in suo nome, ed è inseparabile da Lui nell’opera della salvezza.
Se fosse
stata solo un canale per il quale passò il Redentore – come dicono stoltamente
i poveri protestanti –, Elisabetta, ripiena dello Spirito Santo, si sarebbe
rivolta non a Lei ma al Figlio divino che le stava nel seno; ella, invece, la
esaltò benedetta fra le donne, e
chiamò Frutto suo il Redentore, Frutto della sua pianta purissima che, evidentemente,
Ella sola poteva dare. La pianta non è un semplice canale del frutto, lo
genera, lo nutre, lo matura e lo dona; bisogna andare dalla pianta per averlo
e, senza la pianta, è impossibile coglierlo.
Elisabetta
vide in Maria tutto quello splendore di vita, e lo paragonò inconsciamente
all’umiliante abbattimento nel quale il suo sposo, muto e sordo era venuto da
lei dopo la visione dell’angelo, capì che la fede nella parola dell’angelo
aveva realizzato in lei il grande mistero, come l’incredulità del marito gli
aveva causato la mutezza e la sordità. Psicologicamente quell’infermità del
marito le era stata motivo di non pochi fastidi nel governo della casa, e
quindi esclamò: Te beata che hai creduto poiché si adempiranno le cose dette
a te dal Signore.
Il cantico sublime di Maria
Maria, a
quelle parole di lode, sentì l’anima sua tutta tratta in Dio; l’umiltà le dava
il senso della sua nullità innanzi a Lui; la riconoscenza le faceva attribuire
tutto alla sua infinita misericordia; la luce divina che la illuminava le
faceva guardare i suoi disegni su di Lei e i trionfi delle sue misericordie nei
secoli, fino alla fine del mondo; perciò, elevando gli occhi al cielo, esclamò:
L’anima mia magnifica il Signore.
Mai uscì da
labbro umano un cantico più sublime di gioia; mai un cuore si aprì a Dio con
tanto riconoscente amore; mai l’umiltà più profonda fu armonizzata così
mirabilmente con la verità, in modo da formare una melodia di annientamento e
di grandezza, di piccolezza e d’immensità, di bontà e di forza che affascina
l’anima e la unisce alla gioia e ai sentimenti di Maria.
Le
reminiscenze scritturali del cantico di Anna, dei salmi e dei profeti che si
trovano nel sublimissimo cantico non mostrano solo la familiarità di Maria con
le Sacre Scritture, ma sono come la luce delle profezie e delle figure passate
che s’incontrano con la realtà e col compimento delle promesse di Dio e, lungi
dall’offuscare l’originalità del canto, lo rendono nella sua concisa semplicità
più splendente e più bello. Esso è come il fiore di tutto l’antico patto ed è
la gemma feconda del nuovo; è il compimento delle antiche speranze e la
speranza nelle nuove misericordie; è la sintesi delle compiute aspirazioni del
passato, è un rapido sguardo alla storia del futuro, fino al compimento dei
secoli, è il programma della vita di un’anima redenta e la sintesi delle sue
elevazioni d’amore; è, infine, lo sprazzo fulgente della vita del Verbo
Incarnato e della medesima Madre che lo portava nel seno. In tutta la storia
del regno di Dio è una voce sempre viva, in tutto lo sviluppo della Chiesa è un
programma sempre attuale, in tutte le ascensioni dei santi, è una voce sempre
armoniosa che può raccogliere in un suono d’amore le mirabili armonie della
grazia in loro; è un cantico fecondo e verginale, come il Cuore dal quale
sgorgò ricco di significati e semplice nella sua espressione che la Chiesa
canta e ricanta ogni giorno, senza che esso esaurisca la sua gioiosa e fresca
scaturigine, è il canto dei pellegrini che vanno verso la Patria eterna, degli
apostoli che percorrono la terra diffondendo il lieto messaggio, dei martiri
che attestano la verità col loro sangue, dei confessori che la propagano, delle
vergini che la vivono, dei contemplativi che la gustano, degli angeli che la
esaltano, delle creature tutte nelle quali ha echi d’amore, ed è nota
squillante del cantico eterno nell’eterna gloria.
Se si recita,
è una preghiera soave; se si canta è un inno trionfante che lancia lo spirito
esultante in Dio; se si medita è come orto fiorito, ricco di profumi celesti.
Ha un sapore sempre nuovo, un fascino sempre vivo, una delicatezza sempre
verginale che i secoli non hanno potuto mai invecchiare, perché è un cantico di
vita. Che gioia, o Vergine Santa, ricevere la grazia, ricevere Gesù e poter
cantare con te: Magnificat anima mea Dominum! Che pace trovarsi sul
Calvario della prova e poter ripetere con te, anche lacrimando, nella piena
rassegnazione del cuore: Magnificat anima mea Dominum! Che dolcezza
interiore elevarsi a Dio, sprezzando le gioie del mondo, e ripetere nel volo
dell’anima al Bene eterno: Magnificat anima mea Dominum! Che poesia
d’amore recitare con la Chiesa le grandi preghiere liturgiche, sentirsi sazi di
elevazioni interiori, e volgere tutta l’anima a Dio in questo canto dell’anima
tua, o Maria: Magnificat anima mea Dominum! Che conforto nelle aridità
dello spirito, quando la povera nostra fontana si è come essiccata e non dà una
goccia, ravvivare la scaturigine del cuore con questo tuo canto, e dare la vita
alla povera terra inaridita: Magnificat anima mea Dominum!
Anche
a costo di dilungarci, noi non possiamo passare oltre senza dare almeno uno
sguardo fugace a questi aspetti luminosi del cantico di Maria, e a dilettarci
nella molteplice rifrazione di questa gemma preziosissima del Nuovo Patto.
Non possiamo
non commentare il profondo significato di questo canto d’amore che c’è stato
donato per cantare a Dio la riconoscenza del nostro amore, perché uniti alla
voce verginale della Mamma nostra, possiamo essere meno ingrati all’Amore che
per noi discese dal cielo, e per amore ci redense col suo preziosissimo Sangue.
San
Zaccaria non credé all’angelo e rimase muto e sordo fino al compimento della
promessa; Maria credé e parlò, anzi cantò con una melodia che abbracciò tutti i
secoli. Noi, figli suoi, cantando con Lei viviamo della sua grande fede,
partecipiamo alla beatitudine del suo Cuore: Beata quae credidisti, e ci rendiamo meno inetti al
compimento dei disegni di Dio in noi. Padre Dolindo Ruotolo
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