Commento
al Vangelo – II Domenica di Avvento C 2012 (Lc 3,1-6)
La predicazione di Giovanni Battista
San Luca, da storico accurato qual
è, prima di parlare dell’apostolato di san Giovanni Battista, accenna alla
situazione politica della Palestina, cioè a quelli che la governavano e ai
sommi sacerdoti che la reggevano nella parte religiosa. Non è a caso che lo
Spirito Santo glielo fa fare, perché i governanti stranieri e il sommo
sacerdozio, assoggettato alla politica e decaduto fino al punto da essere
dominato da principi pagani e da essere esautorato a loro piacere, dimostravano
la pienezza dei tempi predetti per la venuta del Messia, ossia la completa
rovina del regno di Giuda.
Tiberio
Cesare, figlio di Livia Drusilla e di Tiberio Claudio Nerone, adottato come figlio
dall’imperatore Augusto dopo che questi sposò Livia, sua madre, fu prima
associato al governo dell’impero e preposto all’amministra-zione delle province
e poi, alla morte di Augusto, gli successe e fu imperatore dal 767 al 791 di
Roma. San Luca computa gli anni dell’impero di Tiberio non dalla morte di
Augusto, ma dalla sua prima assunzione al governo nel 764-765 di Roma; Gesù
Cristo, essendo nato nel 748-749 di Roma, nel quindicesimo anno del governo di
Tiberio, aveva circa trent’anni, come dice san Luca al versetto 23.
Il
governo della Palestina era così costituito: la Giudea , annessa alla
provincia della Siria dopo la deposizione e l’esilio di Archelao, era retta da
governatori dipendenti dal preside della provincia. Il primo governatore fu
Coponio, il quinto fu Ponzio Pilato, il quale governò dal 26 di Gesù Cristo
fino al 36-37. Alla morte di Erode, detto il Grande, il suo regno fu diviso in
quattro parti, ciascuna delle quali fu detta tetrarchia, cioè governo di quattro
persone. La Giudea ,
la Samaria e
l’Idumea toccarono ad Archelao, il quale fu poi deposto, come si è detto, e la Galilea e la Perea toccarono ad Erode
Antipa, il quale regnò dall’anno IV prima di Gesù Cristo, fino all’anno 39-40
di Gesù Cristo. Filippo, figlio di Erode, il grande, ebbe in eredità dal padre
l’Iturea che comprendeva la
Bitinia , la
Traconitide , l’Auranitide ecc., e sposò Salomè, figlia di
Erodiade, moglie di un altro suo fratello, per parte di padre, chiamato
anch’esso Filippo Erode, colui al quale Erode Antipa tolse la moglie. Filippo
Erode fu diseredato dal padre e visse da privato. La moglie Erodiade,
ambiziosissima, si fece sedurre da Erode Antipa e lo seguì sul regno,
diventandone moglie adultera e incestuosa; Filippo il tetrarca, poi, governò
con una certa equità, e fu colui che edificò Cesarea di Filippo ai piedi
dell’Ermon, e Betsaida Giulia sulla spiaggia nord del lago di Tiberiade.
L’Abilene,
regione situata tra il Libano e l’Ermon a nord-ovest di Damasco, era governata
da un certo Lisania, del quale non si conoscono fatti particolari.
Un’iscrizione, trovata recentemente ad Abila, capitale della regione, conferma
ciò che dice san Luca, indicando chiaramente che al tempo di Tiberio vi era un
tetrarca di nome Lisania.
Per ciò che
riguardava la religione, il Sacro Testo dice che a capo del Giudaismo vi
erano i pontefici Anna e Caifa. Il pontefice presso gli Ebrei era uno solo
e a vita; ma i Romani non tollerarono questa legge e praticamente vollero un
pontefice che dipendesse dalla loro autorità, tanto per la nomina quanto per la
durata del pontificato. Anna aveva ottenuto il supremo potere religioso dal
preside della Siria, Cirino, nell’anno 7 di Gesù Cristo, ma ne fu deposto nel
14 da Valerio Grato. Egli, però, benché deposto, continuò ad avere una grande
autorità, ed era riguardato come pontefice insieme a Caifa, suo genero,
nominato nell’anno 18 e rimasto pontefice fino al 36 di Gesù Cristo.
La
predicazione di Giovanni Battista
Questa,
dunque, era la posizione religiosa e politica della Palestina quando la voce di
Dio si fece sentire con una particolare rivelazione a san Giovanni, figlio di
Zaccaria che abitava nel deserto di Giuda, conducendovi una vita di penitenza e
di preghiere.
Il Signore
gli parlò nell’interno del cuore, lo spinse con la sua grazia ad affrontare animosamente
il popolo, e diede efficacia alle sue parole per conquiderlo. Da circa 400 anni
non si vedeva un profeta in Israele e l’improvvisa comparsa di Giovanni, appena
vestito di un ruvido manto di peli di cammello, e di una cintura di cuoio, fece
un’impressione profondissima.
La sua voce
sembrava un grido d’oltretomba, la sua vita ricordava le antiche glorie della
patriarcale santità, il suo zelo e il suo coraggio emulavano quello di Elia
contro gli empi e contro i principi scellerati del popolo, ed egli era come un
essere trasumanato che s’imponeva con la sola sua presenza. La grazia di Dio,
poi, soprattutto la grazia di Dio, gli dava un tono penetrante di autorità che
conquideva i cuori e paralizzava, per così dire, gli empi e i potenti che
avrebbero potuto impedire il suo apostolato. Nessuno gli si opponeva anche
quando lo subiva a malincuore e avrebbe voluto eliminarlo.
È questo il
carattere delle grandi manifestazioni divine sulla terra, poiché, quando Dio
vuole, si fa sentire attraverso quelli che elegge, e agisce da padrone.
Giovanni
andò per tutta la regione del Giordano, dove poteva trovare acque abbondanti, e
predicò la penitenza, iniziandovi quelli che gli credevano, con un battesimo,
cioè con una lavanda, simbolo e spinta alla purificazione interna, l’unica che
poteva preparare il cuore alla venuta del Redentore. Ricevere l’acqua dalle sue
mani era lo stesso che confessarsi peccatori e farlo con compunzione interna;
l’acqua così versata era un’umiliazione salutare e, versata annunciando il
Redentore, rinnovava la speranza della sua venuta e risultava salutare per la
remissione dei peccati.
Giovanni
trovò le anime come uno squallido deserto senza strade, incapaci di far passare
per loro, trionfante dei peccati, il Redentore.
Come in un
deserto ci sono le valli che interrompono il cammino, i monti e i colli che
l’ostacolano, e le vie tortuose e scabre che lo ritardano; così, nelle anime,
c’erano abissi di miserie morali ostacoli di orgoglio e di tracotanza, e
mancanza completa di quella rettitudine di cuore che è la prima condizione per
accogliere il Signore.
San Giovanni,
col suo battesimo di penitenza e con la sua vita severa, era come voce che
gridava in questo deserto morale, eliminando le miserie, umiliando l’orgoglio,
rinnovando la speranza della salvezza, e rettificando le intenzioni e le
aspirazioni del cuore; egli, quindi, compiva nelle anime, deserte di grazie e
di virtù, il vaticinio di Isaia (40,4-5) che il Sacro Testo cita a senso dalla
versione dei Settanta.
Le turbe
correvano numerose sulle rive del Giordano, animate da un desiderio di rinnovazione
e di redenzione. Vi andavano di tutte le classi sociali e desideravano sapere
che cosa dovevano fare per affrettare le vie di Dio. Sentivano inconsciamente
che qualche cosa di grande stava per accadere, speravano di sottrarsi al
dominio straniero che li tiranneggiava, auspicavano un nuovo periodo di gloria
per la nazione, e correvano da Giovanni come da una nuova luce di speranza.
Quelli che vi
andavano con peggiori disposizioni erano gli orgogliosi farisei, desiderosi
solo della propria gloria, malvagi nelle loro intenzioni, velenosi nelle loro
critiche; vi andavano per non sembrare meno giusti degli altri, e per
sorvegliare l’opera del Battista.
Erano
orgogliosi, e credevano di non aver bisogno di penitenza; osservavano il movimento
ma non vi partecipavano, perché si credevano veri figli di Abramo, e stimavano
che bastasse loro questa gloria.
Ad
essi e ai sadducei che si univano a loro (cf Mt 3,7) – gente agghiacciata dalla miscredenza o dall’indifferenza
–, Giovanni rivolse parole severe per scuoterli, parole alle quali non osavano
reagire; li chiamò razza di vipere per la loro subdola e velenosa
malignità, e domandò loro: Chi vi ha insegnato a sfuggire l’ira che vi
sovrasta? Cioè, voleva dire: “Chi vi ha mai assicurato che la vostra falsa
giustizia o i vostri errori vi giustificheranno innanzi a Dio e vi faranno
fuggire al castigo che meritate? Su quali dati sicuri fondate la persuasione di
essere giusti e di non essere compresi nelle minacce che io faccio al popolo?
Non vi basta venire: è necessario fare degni frutti di penitenza! Che vi giova
essere figli di Abramo? Che vi giova discendere da lui e far parte del popolo
eletto, quasi che la semplice discendenza da lui potesse darvi diritto alla
grazia? Dio non ha necessità di effondere le sue misericordie in voi per avere
un popolo fedele, perché Egli può suscitare anche dalle pietre, cioè dai
pagani, i figli veri di Abramo, la sua discendenza spirituale, capace di
accogliere e di far fruttificare la redenzione. Ormai questa non è più un privilegio
di razza, ma un dono di misericordia, e il Signore reciderà assolutamente, dal
suo popolo nuovo, quelli che, come alberi infecondi, non portano frutto”.
Il discorso
di Giovanni, come si vede, era straordinariamente forte, e troncava di colpo
tutte le illusioni di una falsa giustizia.
Può sembrare
dura, e magari mancante di carità, l’espressione: razza di vipere, ma i farisei e i sadducei,
venuti sulla spianata dove Dio faceva miracoli di grazia, col fare subdolo e
strisciante che li distingueva, davano veramente l’idea di vipere velenose che
cercavano, con parole mordenti di scherno o di diffidenza, di arrestare lo
slancio del popolo alla conversione.
Giovanni
non parlava certo per astio, ma per zelo, e dinanzi al popolo, che poteva
subire il loro fascino e la loro influenza, usò un’espressione capace di
smascherarli, e li umiliò perché avessero finalmente aperto gli occhi. Il
pericolo nel quale erano e la rovina nella quale tentavano spingere il popolo
allontanandolo dalle vie di Dio, giustificavano la severa invettiva sulle
labbra di chi aveva proprio la missione di prepararle. Era come l’ultimo lampo
della severità dell’Antico Patto, perché Giovanni era al limite dei due
Testamenti, ed era anche un atto di misericordia per cuori orgogliosi e
induriti che non erano capaci di parole blande, dato il loro atteggiamento tracotante
e sprezzante.
San Luca ci
dà qualche esempio sintetico della predicazione di san Giovanni a varie
categorie di persone, per mostrare il fascino che esercitava su tutte le
classi. Le turbe, ascoltando le parole di minaccia rivolte ai farisei e ai
sadducei, furono atterrite del giudizio di Dio, e domandarono ansiosamente che
cosa dovessero fare per evitarlo.
La parola del
Precursore, infatti, vivificata dalla grazia, aveva una potenza che penetrava
il fondo del cuore. Egli rispose loro, esortandoli alla carità con due opere di
misericordia corporale: vestire i nudi e dar da mangiare agli affamati.
Era come
un’anticipazione della grande legge della carità, la quale, per divina
clemenza, copre la moltitudine dei peccati. I farisei smungevano il popolo
angariandolo, e con questo allontanavano da loro la misericordia di Dio; ora,
la via per meritarla era perfettamente l’opposto: vestire e non spogliare la
gente, alimentarla e non affamarla.
L’appello
alla carità rendeva pensosi i pubblicani, perché essi, quali esattori fiscali,
non potevano fare a meno di esigere le imposte; domandarono pertanto come
dovessero regolarsi, e Giovanni disse loro di non richiedere più di quello che
era fissato dalla Legge. Gli esattori, infatti, erano abituati alle più esose
sopraffazioni, rubavano con destrezza come potevano e si rendevano incapaci del
regno di Dio.
I
pubblicani erano assistiti nelle loro funzioni dalla forza pubblica e, parlando
ai soldati, suscitarono in loro il desiderio di migliorarsi; andarono pertanto
anch’essi da Giovanni, e gli domandarono come dovessero regolarsi nelle loro
funzioni; egli rispose che dovevano star attenti a non far ingiusta violenza a
nessuno, a non calunniare e a contentarsi della paga che ricevevano.
Probabilmente si trovavano tra le turbe anche i soldati mandati da Erode o a
spiare quello che diceva il Battista, o per ordine pubblico, data la ressa che
faceva il popolo. Padre Dolindo Ruotolo
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