venerdì 14 dicembre 2012

La predicazione di Giovanni Battista


Commento al Vangelo – II Domenica di Avvento C 2012 (Lc 3,1-6)
La predicazione di Giovanni Battista
         
San Luca, da storico accurato qual è, prima di parlare dell’apostolato di san Giovanni Battista, accenna alla situazione politica della Palestina, cioè a quelli che la governavano e ai sommi sacerdoti che la reggevano nella parte religiosa. Non è a caso che lo Spirito Santo glielo fa fare, perché i governanti stranieri e il sommo sacerdozio, assoggettato alla politica e decaduto fino al punto da essere dominato da principi pagani e da essere esautorato a loro piacere, dimostravano la pienezza dei tempi predetti per la venuta del Messia, ossia la completa rovina del regno di Giuda.
       Tiberio Cesare, figlio di Livia Drusilla e di Tiberio Claudio Nerone, adottato come figlio dall’imperatore Augusto dopo che questi sposò Livia, sua madre, fu prima associato al governo dell’impero e preposto all’amministra-zione delle province e poi, alla morte di Augusto, gli successe e fu imperatore dal 767 al 791 di Roma. San Luca computa gli anni dell’impero di Tiberio non dalla morte di Augusto, ma dalla sua prima assunzione al governo nel 764-765 di Roma; Gesù Cristo, essendo nato nel 748-749 di Roma, nel quindicesimo anno del governo di Tiberio, aveva circa trent’anni, come dice san Luca al versetto 23.
       Il governo della Palestina era così costituito: la Giudea, annessa alla provincia della Siria dopo la deposizione e l’esilio di Archelao, era retta da governatori dipendenti dal preside della provincia. Il primo governatore fu Coponio, il quinto fu Ponzio Pilato, il quale governò dal 26 di Gesù Cristo fino al 36-37. Alla morte di Erode, detto il Grande, il suo regno fu diviso in quattro parti, ciascuna delle quali fu detta tetrarchia, cioè governo di quattro persone. La Giudea, la Samaria e l’Idumea toccarono ad Archelao, il quale fu poi deposto, come si è detto, e la Galilea e la Perea toccarono ad Erode Antipa, il quale regnò dall’anno IV prima di Gesù Cristo, fino all’anno 39-40 di Gesù Cristo. Filippo, figlio di Erode, il grande, ebbe in eredità dal padre l’Iturea che comprendeva la Bitinia, la Traconitide, l’Auranitide ecc., e sposò Salomè, figlia di Erodiade, moglie di un altro suo fratello, per parte di padre, chiamato anch’esso Filippo Erode, colui al quale Erode Antipa tolse la moglie. Filippo Erode fu diseredato dal padre e visse da privato. La moglie Erodiade, ambiziosissima, si fece sedurre da Erode Antipa e lo seguì sul regno, diventandone moglie adultera e incestuosa; Filippo il tetrarca, poi, governò con una certa equità, e fu colui che edificò Cesarea di Filippo ai piedi dell’Ermon, e Betsaida Giulia sulla spiaggia nord del lago di Tiberiade.
       L’Abilene, regione situata tra il Libano e l’Ermon a nord-ovest di Damasco, era governata da un certo Lisania, del quale non si conoscono fatti particolari. Un’iscrizione, trovata recentemente ad Abila, capitale della regione, conferma ciò che dice san Luca, indicando chiaramente che al tempo di Tiberio vi era un tetrarca di nome Lisania.
       Per ciò che riguardava la religione, il Sacro Testo dice che a capo del Giudaismo vi erano i pontefici Anna e Caifa. Il pontefice presso gli Ebrei era uno solo e a vita; ma i Romani non tollerarono questa legge e praticamente vollero un pontefice che dipendesse dalla loro autorità, tanto per la nomina quanto per la durata del pontificato. Anna aveva ottenuto il supremo potere religioso dal preside della Siria, Cirino, nell’anno 7 di Gesù Cristo, ma ne fu deposto nel 14 da Valerio Grato. Egli, però, benché deposto, continuò ad avere una grande autorità, ed era riguardato come pontefice insieme a Caifa, suo genero, nominato nell’anno 18 e rimasto pontefice fino al 36 di Gesù Cristo.

La predicazione di Giovanni Battista
       Questa, dunque, era la posizione religiosa e politica della Palestina quando la voce di Dio si fece sentire con una particolare rivelazione a san Giovanni, figlio di Zaccaria che abitava nel deserto di Giuda, conducendovi una vita di penitenza e di preghiere.
       Il Signore gli parlò nell’interno del cuore, lo spinse con la sua grazia ad affrontare animosamente il popolo, e diede efficacia alle sue parole per conquiderlo. Da circa 400 anni non si vedeva un profeta in Israele e l’improvvisa comparsa di Giovanni, appena vestito di un ruvido manto di peli di cammello, e di una cintura di cuoio, fece un’impressione profondissima.
       La sua voce sembrava un grido d’oltretomba, la sua vita ricordava le antiche glorie della patriarcale santità, il suo zelo e il suo coraggio emulavano quello di Elia contro gli empi e contro i principi scellerati del popolo, ed egli era come un essere trasumanato che s’imponeva con la sola sua presenza. La grazia di Dio, poi, soprattutto la grazia di Dio, gli dava un tono penetrante di autorità che conquideva i cuori e paralizzava, per così dire, gli empi e i potenti che avrebbero potuto impedire il suo apostolato. Nessuno gli si opponeva anche quando lo subiva a malincuore e avrebbe voluto eliminarlo.
       È questo il carattere delle grandi manifestazioni divine sulla terra, poiché, quando Dio vuole, si fa sentire attraverso quelli che elegge, e agisce da padrone.
       Giovanni andò per tutta la regione del Giordano, dove poteva trovare acque abbondanti, e predicò la penitenza, iniziandovi quelli che gli credevano, con un battesimo, cioè con una lavanda, simbolo e spinta alla purificazione interna, l’unica che poteva preparare il cuore alla venuta del Redentore. Ricevere l’acqua dalle sue mani era lo stesso che confessarsi peccatori e farlo con compunzione interna; l’acqua così versata era un’umiliazione salutare e, versata annunciando il Redentore, rinnovava la speranza della sua venuta e risultava salutare per la remissione dei peccati.
       Giovanni trovò le anime come uno squallido deserto senza strade, incapaci di far passare per loro, trionfante dei peccati, il Redentore.
       Come in un deserto ci sono le valli che interrompono il cammino, i monti e i colli che l’ostacolano, e le vie tortuose e scabre che lo ritardano; così, nelle anime, c’erano abissi di miserie morali ostacoli di orgoglio e di tracotanza, e mancanza completa di quella rettitudine di cuore che è la prima condizione per accogliere il Signore.
       San Giovanni, col suo battesimo di penitenza e con la sua vita severa, era come voce che gridava in questo deserto morale, eliminando le miserie, umiliando l’orgoglio, rinnovando la speranza della salvezza, e rettificando le intenzioni e le aspirazioni del cuore; egli, quindi, compiva nelle anime, deserte di grazie e di virtù, il vaticinio di Isaia (40,4-5) che il Sacro Testo cita a senso dalla versione dei Settanta.
       Le turbe correvano numerose sulle rive del Giordano, animate da un desiderio di rinnovazione e di redenzione. Vi andavano di tutte le classi sociali e desideravano sapere che cosa dovevano fare per affrettare le vie di Dio. Sentivano inconsciamente che qualche cosa di grande stava per accadere, speravano di sottrarsi al dominio straniero che li tiranneggiava, auspicavano un nuovo periodo di gloria per la nazione, e correvano da Giovanni come da una nuova luce di speranza.
       Quelli che vi andavano con peggiori disposizioni erano gli orgogliosi farisei, desiderosi solo della propria gloria, malvagi nelle loro intenzioni, velenosi nelle loro critiche; vi andavano per non sembrare meno giusti degli altri, e per sorvegliare l’opera del Battista.
       Erano orgogliosi, e credevano di non aver bisogno di penitenza; osservavano il movimento ma non vi partecipavano, perché si credevano veri figli di Abramo, e stimavano che bastasse loro questa gloria.
       Ad essi e ai sadducei che si univano a loro (cf Mt 3,7) – gente agghiacciata dalla miscredenza o dall’indifferenza –, Giovanni rivolse parole severe per scuoterli, parole alle quali non osavano reagire; li chiamò razza di vipere per la loro subdola e velenosa malignità, e domandò loro: Chi vi ha insegnato a sfuggire l’ira che vi sovrasta? Cioè, voleva dire: “Chi vi ha mai assicurato che la vostra falsa giustizia o i vostri errori vi giustificheranno innanzi a Dio e vi faranno fuggire al castigo che meritate? Su quali dati sicuri fondate la persuasione di essere giusti e di non essere compresi nelle minacce che io faccio al popolo? Non vi basta venire: è necessario fare degni frutti di penitenza! Che vi giova essere figli di Abramo? Che vi giova discendere da lui e far parte del popolo eletto, quasi che la semplice discendenza da lui potesse darvi diritto alla grazia? Dio non ha necessità di effondere le sue misericordie in voi per avere un popolo fedele, perché Egli può suscitare anche dalle pietre, cioè dai pagani, i figli veri di Abramo, la sua discendenza spirituale, capace di accogliere e di far fruttificare la redenzione. Ormai questa non è più un privilegio di razza, ma un dono di misericordia, e il Signore reciderà assolutamente, dal suo popolo nuovo, quelli che, come alberi infecondi, non portano frutto”.
       Il discorso di Giovanni, come si vede, era straordinariamente forte, e troncava di colpo tutte le illusioni di una falsa giustizia.
       Può sembrare dura, e magari mancante di carità, l’espressione: razza di vipere, ma i farisei e i sadducei, venuti sulla spianata dove Dio faceva miracoli di grazia, col fare subdolo e strisciante che li distingueva, davano veramente l’idea di vipere velenose che cercavano, con parole mordenti di scherno o di diffidenza, di arrestare lo slancio del popolo alla conversione.
       Giovanni non parlava certo per astio, ma per zelo, e dinanzi al popolo, che poteva subire il loro fascino e la loro influenza, usò un’espressione capace di smascherarli, e li umiliò perché avessero finalmente aperto gli occhi. Il pericolo nel quale erano e la rovina nella quale tentavano spingere il popolo allontanandolo dalle vie di Dio, giustificavano la severa invettiva sulle labbra di chi aveva proprio la missione di prepararle. Era come l’ultimo lampo della severità dell’Antico Patto, perché Giovanni era al limite dei due Testamenti, ed era anche un atto di misericordia per cuori orgogliosi e induriti che non erano capaci di parole blande, dato il loro atteggiamento tracotante e sprezzante.
       San Luca ci dà qualche esempio sintetico della predicazione di san Giovanni a varie categorie di persone, per mostrare il fascino che esercitava su tutte le classi. Le turbe, ascoltando le parole di minaccia rivolte ai farisei e ai sadducei, furono atterrite del giudizio di Dio, e domandarono ansiosamente che cosa dovessero fare per evitarlo.
       La parola del Precursore, infatti, vivificata dalla grazia, aveva una potenza che penetrava il fondo del cuore. Egli rispose loro, esortandoli alla carità con due opere di misericordia corporale: vestire i nudi e dar da mangiare agli affamati.
       Era come un’anticipazione della grande legge della carità, la quale, per divina clemenza, copre la moltitudine dei peccati. I farisei smungevano il popolo angariandolo, e con questo allontanavano da loro la misericordia di Dio; ora, la via per meritarla era perfettamente l’opposto: vestire e non spogliare la gente, alimentarla e non affamarla.
       L’appello alla carità rendeva pensosi i pubblicani, perché essi, quali esattori fiscali, non potevano fare a meno di esigere le imposte; domandarono pertanto come dovessero regolarsi, e Giovanni disse loro di non richiedere più di quello che era fissato dalla Legge. Gli esattori, infatti, erano abituati alle più esose sopraffazioni, rubavano con destrezza come potevano e si rendevano incapaci del regno di Dio.
         I pubblicani erano assistiti nelle loro funzioni dalla forza pubblica e, parlando ai soldati, suscitarono in loro il desiderio di migliorarsi; andarono pertanto anch’essi da Giovanni, e gli domandarono come dovessero regolarsi nelle loro funzioni; egli rispose che dovevano star attenti a non far ingiusta violenza a nessuno, a non calunniare e a contentarsi della paga che ricevevano. Probabilmente si trovavano tra le turbe anche i soldati mandati da Erode o a spiare quello che diceva il Battista, o per ordine pubblico, data la ressa che faceva il popolo.
Padre Dolindo Ruotolo

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