Commento al Vangelo – II Domenica di Avvento A 2013 (Mt 3,1-12)
La voce che grida nel deserto
L’età legale e tradizionale per diventare dottore e
ministro di Dio – come può rilevarsi anche dal Primo libro delle Cronache
(23,3) –, era di trent’anni. In questa età san Giovanni il Battista uscì dalla
solitudine e cominciò la sua predicazione per preparare il popolo a ricevere il
Redentore, vicino anche Lui al trentesimo anno di età.
È probabile che la causa occasionale per
la quale san Giovanni si ritirò nel deserto sia stata la persecuzione di Erode;
la madre sua, per timore, vi si dovette rifugiare e, passato il pericolo, il
bambino, già prevenuto dalla grazia, vi rimase per prepararsi alla sua missione
con una vita di aspra penitenza. Non è raro, nella storia dei santi, una
precocità di vita penitente né può stupire vedere un bambino prodigio di virtù
come non ci stupiamo di vedere bambini-prodigio di musica, di pittura, di arti
e di lettere, dei quali abbiamo molti esempi nella storia contemporanea. Se le
doti naturali possono rendere più che adulto un piccolo, molto più lo può la
grazia e la particolare elezione di Dio.
Che cosa faceva Giovanni nel deserto,
tutto solo? Guidato dalla luce dello Spirito Santo, meditava la grandezza di
Dio, pregava, riparava per l’ingratitudine umana, e teneva in penitenza il suo
corpo, con ogni specie di disagio, per amore di Dio.
Si può credere, con ogni
verosimiglianza, che la Vergine Santissima, sua dolcissima zia, l’abbia
personalmente guidato nelle vie di Dio, perché i suoi genitori dovettero morire
presto. Non è supponibile, infatti che la Vergine Santissima, così piena di
bontà e di grazie, abbia trascurato colui che era andato a visitare e a
santificare, stando ancora egli rinchiuso nel seno materno.
Il deserto dove Giovanni si ritirò e dal
quale uscì per invitare il popolo al regno di Dio era una vasta estensione di
terra ad est di Gerusalemme e lungo il Mar Morto, quasi disabitata; il suo
abito consisteva in una veste-cilizio, formata di peli di cammelli, cioè di
peli duri che tormentavano il corpo, e che egli stringeva ai lombi con una
cintola di cuoio, per meglio sentirne il fastidio. Egli stesso, logoratesi le
sue vesti d’infanzia, aveva dovuto formarsi questo rozzo indumento, forse
utilizzando i peli di cammelli, morti nel deserto. Si cibava di locuste – cibo
comune allora come oggi in oriente –, e se ne cibava come le trovava, non certo
cotte in acqua, o disseccate al forno che era il modo più comune di mangiarle.
Alle locuste aggiungeva un po’ di miele selvatico, di quel miele formato dalle
api silvestri nelle fessure delle rocce.
Uscì dal deserto, scarno, coperto di
quella veste di penitenza e di povertà che era stata indossata da tanti
profeti, ammantato spiritualmente dallo splendore della grazia che lo
arricchiva, e sembrò una visione soprannaturale, al popolo che incuriosito gli
andava dietro.
Con Malachia sembrava essere cessata la
profezia, e l’apparizione di Giovanni, novello profeta agli occhi di tutti
quelli che lo vedevano, fece anche più impressione per questo. Rinasceva la
solenne poesia degli antichi profeti, e il popolo, oppresso dalla dominazione
straniera, vedeva, nella misteriosa figura del Battista, il felice annuncio di
qualche mutamento politico importante.
Ma Giovanni non era venuto per suscitare
una rivolta: era venuto per preparare i cuori con la penitenza al regno di Dio,
alla redenzione, cioè che doveva compiere il Cristo promesso, alla Chiesa
militante che Egli doveva fondare, e a quella trionfante che doveva essere la
meta finale della salvezza.
Con pochissime parole, il Battista
capovolgeva tutte le aspirazioni falsate dal popolo, frutto del rilassamento
religioso: la nazione aspirava a godere; s’era paganizzata, ed aveva visto
prosperare in essa la setta dei sadducei che negavano persino la risurrezione
futura e l’esistenza degli spiriti. Nella sua parte che sembrava ancora sana
per lo scrupoloso attaccamento alla Legge, nei farisei, era deformata dal
formalismo ipocrita, senz’anima, aspirante al dominio e ai posti alti. Il giogo
romano le pesava, ed aspirava a scuoterlo per inaugurare un nuovo regno
d’Israele. A queste aspirazioni, il Battista oppose la penitenza e la speranza
del regno di Dio; mostrò in se stesso l’esempio della penitenza, e cominciò a
battezzare i peccatori che accorrevano a Lui confessando le proprie colpe, per
segnarli con un segno di umiltà, per dare a tutti una promessa e una figura
della remissione dei peccati che doveva venire dal Redentore, e per suscitare,
con quel segno esterno, il desiderio della purificazione dell’anima.
La predicazione del Battista – come si
rileva da san Luca (3,7-14) –, consisteva in pochi precetti pratici atti a
rinnovare la vita; non aveva splendore di parole sublimi né di miracoli, era
rude come il suo abito, e ciononostante fece tanta impressione, da trarre a lui
le turbe da Gerusalemme, dalla Giudea e da tutta la regione del Giordano. Il
popolo ricordò o trovò chi gli ricordò le parole del profeta Isaia: Voce di
colui che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri; capì che
quelle parole non si riferivano solo al ritorno degli Ebrei da Babilonia, ma
che annunciavano la voce che doveva preconizzare il ritorno delle anime dalla
schiavitù della colpa.
La figura stessa di Giovanni, scarna e
spettrale, sembrava che avesse solo la voce con la quale chiamava a penitenza;
era quasi tipicamente una voce che sembrava venire dalle profondità del
mistero, e corsero le turbe per farsi battezzare, confessando i propri peccati.
Sentivano tutti il bisogno di purificarsi, erano stanchi di una vita di
peccati, e avevano il desiderio di vederla mutata. Il battesimo di Giovanni non
rimetteva di per sé le colpe; ma, eccitando l’anima a compunzione e a
pentimento, attraeva la misericordia di Dio e non era una semplice e sterile
cerimonia.
Al popolo che andava da Giovanni si
unirono anche dei farisei e dei sadducei, i quali andarono ad osservare il
nuovo profeta, più per curiosità che per vera compunzione; più per criticare
che per sanzionare la sua missione; è evidente dalle parole severe che il santo
Precursore rivolse loro. Essi erano abituati ad avvelenare il popolo con le
loro false teorie religiose e perciò Giovanni li chiamò razza di vipere, cioè anime avvelenate che
non sapevano propinare che veleno, subdolamente e quasi senza farsi scorgere,
ammantati d’ipocrisia gli uni, e di fasto gli altri. Li esortò particolarmente
a far penitenza, come quelli che ne avevano più bisogno, e a non presumere di
potersi salvare perché figli di Abramo, poiché i veri figli della discendenza
spirituale di lui dovevano essere suscitati dalla grazia e non dalla natura.
San Giovanni, quando disse queste severe
parole, battezzava a Betabara, dove Israele, sotto la guida di Giosuè, aveva
miracolosamente attraversato il Giordano. Vi erano là ancora le dodici pietre
poste a ricordo del miracolo, e il Precursore, additandole, gridò che Dio per
mantenere la promessa fatta ad Abramo di una discendenza spirituale non si
sarebbe fermato alla progenie naturale di lui, ma avrebbe suscitato anche dalle
pietre i suoi figli spirituali, tagliando, anzi, come alberi inutili e infruttuosi,
quelli che, fidando sulla discendenza naturale da Abramo, non avrebbero fatto
buoni frutti di penitenza. Era necessario, per formare la progenie eletta, non
tanto discendere da Abramo, quanto dal Redentore; Egli avrebbe costituito negli
apostoli le dodici pietre fondamentali della Chiesa universale, testimonianza
viva del passaggio dalla morte alla vita operato da Lui, e da quelle pietre
sarebbero nati i veri figli di Abramo, i veri discendenti ed eredi della grande
promessa.
Quest’allusione mirabile all’opera del
Redentore gli diede modo di umiliarsi al ricordarlo, e di presentarlo alle
turbe come l’unica via di salvezza: egli battezzava con l’acqua, per indurre
sentimenti di penitenza, ma Colui che stava per manifestarsi, infinitamente più
potente, avrebbe battezzato le anime, infondendo loro lo Spirito Santo e
infiammandole del fuoco della divina carità. Egli è così grande – disse
Giovanni – che io non sono degno neppure di prestargli gli umili uffici degli
schiavi ai padroni, portandogli i sandali; Egli è così santo e giusto che verrà
quale Giudice di tutti, e come col ventilabro si separa il grano dalla paglia
per bruciarla, così Egli, diffondendo nel mondo la sua Chiesa, attraverso il
vento delle prove e delle lotte separerà i buoni dai cattivi, raccoglierà i
buoni nel suo regno, come si raccoglie il grano nel granaio, e condannerà i cattivi
alle fiamme eterne dell’Inferno.
Giovanni
non aveva ancora visto il Redentore; parlava per divina ispirazione e, in poche
ed efficaci parole, determinava i caratteri del suo regno: Egli non avrebbe
raccolto solo le anime della promessa, ma avrebbe adottato le creature di
qualunque nazione come figlie di Dio e discendenza spirituale di Abramo; non le
avrebbe contrassegnate con un segno esterno, ma le avrebbe rinnovate con la
grazia dello Spirito Santo, lasciando integra la loro libertà e separando alla
fine, come Giudice supremo, definitivamente, i buoni dai cattivi. Padre Dolindo Ruotolo
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