Commento
al Vangelo: V Domenica di Quaresima 2014 A (Gv
11,1-45)
La
risurrezione di Lazzaro
Pochi racconti nella medesima
Sacra Scrittura hanno la vivezza storica e psicologica del miracolo
che meditiamo. San Giovanni ne fu certamente testimone oculare, e la
commozione grandissima che provò, dinanzi ad un prodigio così
grande, glielo impresse indimenticabilmente nell’anima.
Non si può leggere questo
racconto senza sentirsi presenti al fatto e senza piangere. La
tenerezza di Gesù commuove, il dolore delle sorelle del defunto fa
fremere, l’atteggiamento della folla dei visitatori ci fa vivere
nella casa di Marta e di Maria, desolata dalla morte e movimentata
dalle premure della carità. Tutto nel racconto è naturale e
spontaneo come avvenne, e tutto è vivo come se il fatto si
rinnovasse innanzi a chi lo legge.
Lazzaro, abbreviativo di
Eleazaro, abitava con due sue sorelle, nel villaggio e castello di
Betania, distante circa tre chilometri da Gerusalemme. Era un
benestante, come appare dal contesto, ed era, con le sue sorelle,
devotissimo a Gesù, che lo amava con particolare predilezione. Forse
questa sua devozione dovette avere origine o per lo meno
intensificarsi per la conversione di sua sorella Maria. Il Sacro
Testo ricorda, infatti non senza ragione, la circostanza più bella
di questa conversione, e cioè l’unzione che la povera peccatrice
fece ai piedi di Gesù, quando in casa di Simone andò a domandargli
perdono e misericordia.
Per una famiglia onorata e
benestante Maria Maddalena era stata una vergogna grandissima, e la
sua conversione aveva stabilito col Redentore dei rapporti di grande,
amorosa gratitudine da parte di tutti, e in particolare forse di
Lazzaro che, come uomo e come capo di casa, aveva dovuto essere il
più sdegnato dall’indegna condotta della sorella. In Betania –
da non confondersi con la Betania della Perea –, la famiglia di
Lazzaro per la sua signorilità era tenuta in deferente
considerazione,
come appare
dal concorso di
gente che affluì nell’occasione del lutto sofferto; il modo stesso
come mandarono a pregare Gesù quando il fratello si ammalò, e il
modo come si lamentarono della mancata visita confermano questa
signorilità che nel pregare si contentò di un accenno, e nel
lamentarsi usò un’espressione piena di rispettosa deferenza. Da
queste circostanze, poi, si deduce anche la fede che tutta la
famiglia aveva in Gesù Cristo, vero Figlio di Dio. Nella preghiera,
infatti che gli fecero non gli dissero di andare subito dall’infermo,
non lo premurarono di guarirlo a distanza, non lo pressarono con
espressioni accorate, ma gli esposero solo il caso doloroso, e fecero
appello al suo Cuore: Ecco,
colui che ami è infermo.
Gesù
amava Lazzaro e la sua famiglia
e
la sottopose alla prova del dolore
Il Sacro Testo non ci dice quale
fosse l’infermità di Lazzaro né è possibile arguirla. Certo, era
un malanno grave, poiché le sorelle dell’infermo mandarono a Gesù
delle persone, non potendo nessuna delle due staccarsi dal letto
dell’infermo; era un malanno che richiedeva cure continue. Dato che
era inverno, può supporsi che fosse una polmonite.
Quando le sorelle videro che si
aggravava, mandarono a pregare Gesù, temendo una complicazione. Non
vollero fare pubblicità per evitare, poi, l’affluenza di visite
fastidiose, e mandarono a pregare Gesù segretamente, come è chiaro
dal contesto. Gesù rispose agl’inviati, rassicurandoli che quel
malanno non era mortale, ma
doveva servire per la glorificazione del Figlio di Dio. Egli
parlò così riferendosi al miracolo che voleva fare, ma gli inviati
crederono che li rassicurasse sul malanno, e dovettero essere non
poco delusi quando, tornati a Betania, constatarono che, subito dopo,
la casa piombò nel lutto.
Il Signore parla per farsi
intendere da noi, e parla anche per manifestarci i suoi disegni ed
esigere da noi la fede; a volte le sue parole sembrano fallire
secondo il nostro modo di vedere, e possiamo anche scandalizzarcene;
ma se Dio è Dio, dobbiamo avere anche l’umiltà, l’elementare
umiltà di pensare che siamo noi che non le intendiamo. Giudicare le
parole di Dio con la presunzione di vagliarle e criticarle è lo
stesso che esporsi al pericolo di capirne poco o nulla, e di
smarrirsi.
Gesù disse che la malattia non
era mortale, mentre Lazzaro morì in quel giorno stesso; lo disse,
oltre che per il miracolo che voleva fare, anche per non spaventare
né le sorelle dell’infermo né l’infermo, e forse per questo il
Sacro Testo soggiunge che Egli voleva bene a Marta, a Maria e a
Lazzaro.
Egli, poi, amava quella famiglia
di amore divino, e la sottoponeva alla prova del dolore; l’amava e
la metteva nelle circostanze di fare un atto di fede più cieca e più
completa in Lui. Quella morte doveva servire alla
glorificazione del Figlio di Dio, ossia
a rivelarne ancora una volta la potenza innanzi al popolo e – come
dice Andrea Cretese (in Catena) –, alla glorificazione dolorosa
della croce, perché la risurrezione clamorosa che la seguì, fu per
il sinedrio il pretesto per decidere e stabilire la morte di Gesù;
ora questi, per raggiungere fini tanto grandi, volle anche il
concorso della fede e della pena della famiglia che prediligeva.
È il modo di operare di Dio che
noi dobbiamo solo adorare: rassicurò la famiglia per non
disorientarla in un momento di scoraggiamento; la morte del fratello
amato fu accompagnata così da un barlume di speranza che la rese
meno atroce fino all’ultimo; poi, nell’improvvisa delusione, Gesù
raccolse come gemma preziosa il dolore delle sorelle del morto, e lo
raccolse come concorso alla gloria di Dio; infine, andando di persona
nella loro casa, utilizzò la morte per esigere da loro una fede più
viva, e donò loro una consolazione immensa che le ripagò ad usura
della prova. Se avessimo un pochino di fiducia in più in Dio, non
staremmo a cavillare sulle tenebre che crediamo scorgere nella sua
parola, ma l’adoreremmo in pace, attendendo i suoi tempi e i suoi
momenti.
Gesù decide di andare da Lazzaro
Gesù voleva bene a Marta, a
Maria sua sorella e a Lazzaro. Era
una famiglia della quale poteva fidarsi, una famiglia che aveva in
Lui una fede vera e soprannaturale, benché forse ancora un po’
deficiente. La prova la scosse, senza dubbio, perché vide fallita
una sua rassicurazione, ma la stessa scossa servì poi a fortificarla
e ad ingigantirla, essendo scritto che virtus
in infirmitate perficitur.
Quando Gesù seppe che Lazzaro
era infermo, si fermò ancora due giorni nella Perèa dove si
trovava, per evangelizzare e curare il popolo che gli si affollava
d’intorno. Dovette far forza al suo tenerissimo Cuore, per così
dire, perché Egli conosceva bene che Lazzaro era morto, ma con la
sua amorosa e invisibile misericordia, sostenne da lontano le
desolate sorelle del defunto. I giorni che passarono dalla morte alla
risurrezione di Lazzaro servirono, poi, a far meglio rifulgere il
miracolo che voleva fare. Dopo due giorni, cominciò ad accennare ai
discepoli la necessità che aveva di ritornare in Galilea. Essi erano
spaventati dalle minacce del sinedrio e del popolo, e Gesù volle
predisporli per non agitarli, dicendo loro: Andiamo
di nuovo nella Giudea.
Non manifestò loro, in quel
primo momento, lo scopo del viaggio, e domandò quasi il loro parere,
per dare ad essi l’agio di manifestare prima il loro timore. È
divinamente psicologico: quando infatti l’anima reagisce in pieno
ad un progetto che le incute spavento, sfoga tutto il suo timore, ed
è più capace poi di rientrare in sé quando capisce la
ragionevolezza di quello che le si propone. Se si ragionasse durante
lo stato di spavento o di eccitamento, svaluterebbe le ragioni senza
riflettervi, e sarebbe più difficile convincerla. Gesù, nella sua
grande delicatezza, non volle condurre con sé gli apostoli senza il
loro consenso e, quasi trepidando, disse loro: Andiamo
di nuovo nella Giudea. Essi
supposero che volesse andare a Gerusalemme e, spaventati, gli
dissero: Maestro,
proprio ora i Giudei cercavano di lapidarti e di nuovo tu torni là?
Gesù rispose
con un paragone che non c’era nulla da temere. Gli Ebrei dividevano
in dodici ore la durata del giorno, dall’alba al tramonto del sole,
e queste ore erano più corte nell’inverno e più lunghe
nell’estate. Ora, finché durava il giorno, non c’era pericolo
per chi viaggiava d’inciampare; solo nella notte poteva urtare e
cadere. Egli stava ancora nel giorno della sua attività, e nessuno
avrebbe potuto impedirgliela, nonostante le maligne intenzioni che
avevano i suoi nemici. Andassero, dunque, con Lui senza timore.
Gli apostoli rimasero ancora
titubanti; non risposero, ma mostrarono col loro atteggiamento che
non avevano piacere di ritornare in una regione ostile e minacciosa.
Gesù, allora, per scuotere la loro titubanza, disse: Il
nostro amico Lazzaro dorme, ma io vado a svegliarlo dal sonno. Non
disse apertamente in quel primo momento che era morto, perché
Lazzaro era amato anche dai discepoli. Nella sua infinita delicatezza
non volle spaventarli d’improvviso con un annuncio ferale, e lasciò
ad essi medesimi di arguirlo a poco a poco. Gli apostoli capirono che
parlava del sonno naturale e, avendo saputo anch’essi che Lazzaro
era infermo, crederono che quel sonno fosse un segno di guarigione, e
quindi, con più calore, sostennero che non c’era ragione di andare
nella Giudea a esporsi ad un pericolo mortale. Allora Gesù disse
apertamente che Lazzaro era morto, ma per non rattristarli lasciò
subito capire che voleva andare a risuscitarlo con un miracolo,
dicendo che Egli godeva per loro di non esservi andato prima, perché
il miracolo li avrebbe confermati nella fede.
Se Gesù fosse andato da Lazzaro
all’invito delle sorelle di lui, non avrebbe resistito alle loro
lacrime e alle loro preghiere, e avrebbe guarito l’infermo. Ora,
questo miracolo non sarebbe stato così persuasivo e commovente per
gli apostoli come quello della risurrezione di un morto. Essi
evidentemente erano scossi nella fede per l’opposizione minacciosa
del sinedrio, e avevano bisogno di una luce nuova, per riprendere
lena e coraggio. Perciò Gesù, senz’altro, li invitò a seguirlo,
e lo fece con tanta efficacia che essi, pur tremando, non osarono
resistergli di più.
Erano mesti, intimoriti,
angosciati, come chi va incontro ad un pericolo mortale, e perciò
Tommaso, facendosi eco di questo stato d’animo, esortò i compagni
ad andare a morire col Maestro. Forse disse questo per fare un ultimo
tentativo di dissuaderlo ad andare, e forse anche lo disse per amore,
perché era certo che Gesù sarebbe andato incontro alla morte.
Betania distava da Gerusalemme circa quindici stadi; essendo lo
stadio circa 185 metri, il cammino era breve, e Tommaso temeva molto
che gli scribi e farisei avrebbero avuto molta facilità di catturare
Gesù. Il miracolo, forse – pensava egli –, sarebbe stato un
incentivo maggiore al loro furore, e avrebbe preferito che non fosse
avvenuto.
Lazzaro probabilmente morì lo
stesso giorno nel quale Gesù ricevé l’invito di andare a
risanarlo; Gesù rimase poi ancora due giorni nella Perèa, e al
terzo giorno si mise in viaggio, giungendo a Betania il quarto giorno
dalla morte e quindi dalla sepoltura del defunto che, secondo l’uso
ebraico, si faceva lo stesso giorno del decesso. Essendo breve la
distanza di Betania da Gerusalemme ed essendo la famiglia di Lazzaro
tenuta in grande stima, molti Giudei erano venuti a partecipare al
suo dolore. Gesù non era ancora giunto presso l’abitato del
villaggio che qualcuno corse ad avvertire Marta della sua presenza.
Marta aveva il maneggio e l’amministrazione della casa, ed era più
distratta dal suo dolore per la gente che l’affollava, mentre Maria
rimaneva in casa, in preda a più profonda afflizione. Non fece
meraviglia, perciò, vedere Marta uscire in fretta, e la gente
immaginò che andasse a sbrigare qualche faccenda urgente.
Appena vide Gesù, Marta gli
disse: Se Tu
fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto. Non
osò lamentarsi che non fosse venuto prima ma gli espresse il dolore
dell’anima sua e quello che tante volte forse aveva detto insieme
alla sorella. Vedendo poi la dolce serenità e bontà di Gesù, sentì
nascere nel cuore la grande speranza di veder risorto il fratello, ma
non osò dirlo apertamente e soggiunse: Ma
anche adesso io so che qualunque cosa Tu domanderai a Dio, Dio te la
concederà. E
dovette scoppiare in pianto perché Gesù, consolandola, le disse:
Tuo fratello
risorgerà. Marta,
per scrutare le sue intenzioni, e per costringerlo ad esprimersi più
chiaramente, soggiunse: So
che risorgerà nella risurrezione, nell’ultimo giorno. E
continuò a piangere, perché le si affacciò il triste pensiero
dell’ineluttabilità della morte. Gesù lesse nel cuore di lei
quest’angoscia e questa titubanza di fede, e volle rianimarla,
esigendo da lei un atto pieno di fiducia in Lui. Io
sono –
soggiunse –,
la risurrezione e
la vita; chi crede in me anche se fosse morto vivrà, e chiunque vive
e crede in me non morirà in eterno. Credi tu questo? Marta,
nel supplicarlo, aveva creduto che Gesù potesse domandare
a Dio il miracolo, senza
pensare che Egli stesso era Dio, e poteva farlo di piena potenza e
autorità; Gesù corregge la pochezza della fede di lei, e si
proclama Egli stesso risurrezione e vita dei morti, e vita dei
viventi per la risurrezione spirituale e la grazia che loro concede.
Marta capì di aver errato, e piena di fede soggiunse: Sì,
o
Signore io ho
creduto che Tu sei il Cristo il Figlio di Dio vivo che sei venuto in
questo mondo.
Il Maestro è qui e ti chiama
La fede le suscitò nel cuore la
speranza e, sicura di quello che Gesù avrebbe fatto, andò in casa e
chiamò la sorella sottovoce, dicendole: Il
Maestro è qui e ti chiama. Evidentemente
Gesù dovette domandare di lei nel primo incontro con Marta,
sapendola più affettuosa e quindi più addolorata. Marta la chiamò
sottovoce, per evitare che la gente si raccogliesse intorno a Gesù,
perché nei grandi dolori si desidera rimanere soli con le persone
più care.
Appena Maria seppe che Gesù era
venuto, si alzò di scatto e corse da Lui, ansiosa di sfogare il suo
dolore. Il saper presente Colui che essa amava d’amore intenso le
rinnovò l’angoscia della morte del fratello, come suole avvenire a
chi sta in lutto e, alzandosi, scoppiò in pianto; per questo i
Giudei che erano in casa, supposero che in un impeto di rinnovato
dolore, ella andasse al sepolcro che era nell’orto della casa, per
piangervi più amaramente, e la seguirono per sostenerla e
consolarla. Ella non badò neppure alla gente che la seguiva, ma
corse diritto a Gesù e, al vederlo, estremamente commossa gli si
gettò ai piedi e disse, piangendo a dirotto: Signore,
se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto. E
continuò a piangere tanto accoratamente che anche i Giudei presenti
piansero.
Gesù, vedendola piangere e
vedendo che tutti piangevano con lei, si turbò profondamente e
fremette nel suo cuore, commosso per il dolore umano e per la poca
fede di quella gente, che era come gregge abbandonato alla mercé
delle tempeste della vita, senza conforto e senza la visuale sublime
della vita eterna. Compassionò Maria, e compianse il popolo, sicché
quasi ebbe fretta di operare, per consolare Maria e per illuminare il
popolo, e domandò dove avessero posto il cadavere di Lazzaro.
Marta e Maria: due caratteri diversi
Si noti la differenza profonda
fra il dolore di Marta e quello di Maria, e la diversità di quei due
caratteri che emerge mirabilmente dal Sacro Testo.
Marta, più abituata alle
faccende di casa, era più distratta e assillata dalle necessità
della vita, in quella circostanza dolorosa non aveva quasi il tempo
di riconcentrarsi nella grave perdita subita. Maria, invece, tutta
raccolta in se stessa, angustiata forse anche dai gravi dolori dati
al fratello per la sua vita passata – dolori che le apparivano
allora più gravi e come ravvivati dalla morte –, era
inconsolabile, ed esplodeva in tutto il suo affanno. Gesù Cristo
misurò questo dolore in tutta la sua profondità, vide in lei tutte
le anime gementi sulla terra per la morte delle persone care,
considerò la fragilità umana nello scorgere la tomba alla quale lo
accompagnarono, e pianse anch’Egli, mescolando le sue lacrime
all’angustiante pena di tutti.
E Gesù pianse
E
Gesù pianse.
Come sono
incisive queste parole, e come sono commoventi! Pianse senza
strepito, soavemente, stillando nel suo pianto balsamo di
consolazione per le pene che si provano alla morte dei propri cari, e
pianse, meritandoci il suo conforto.
Il momento fu solenne; Gesù
rimase per un po’ in silenzio; era bellissimo nel suo aspetto
accorato e triste, e le lacrime gli scorrevano giù per le guance
divine: piangeva, era allora più che mai affratellato all’umanità
che geme e piange in questa valle di lacrime; piangeva, e mostrava in
quel pianto tutta la tenerezza del suo amore, tanto da suscitare le
meraviglie dei circostanti, i quali esclamarono: Vedete
com’Egli lo amava!
Piangeva sulla morte spirituale
di tanti che lo circondavano, e specialmente degli scribi e farisei
che, neppure in quella dolorosa circostanza, disarmarono, ed
esclamarono: Non
poteva costui che aprì gli occhi al cieco nato, fare che quest’uomo
non morisse? Pianse
e fremette, pensando a questa cecità ostinata, e pregò internamente
il Padre perché si fosse glorificato innanzi a quella moltitudine.
Lazzaro vieni fuori!
Giunse innanzi alla tomba che era
una caverna scavata nella roccia, e coperta da un gran masso, e disse
risolutamente: Togliete
la pietra. Tutti
tacevano; c’era intorno una mestizia profonda, e già un cattivo
odore si sentiva venire dalla caverna. Marta perciò disse a Gesù:
Signore, puzza
già perché è di quattro giorni. Non
andò all’idea che Gesù volesse aprire per sempre quel sepolcro, e
suppose che volesse solo benedire la salma, o vederla per curiosità.
Ma Gesù le replicò: Non
ti ho detto che se crederai vedrai la gloria di Dio?
Tolsero dunque la pietra, e
dovettero toglierla due uomini robusti. Tutti tacevano, anzi quasi
trattenevano il respiro. Dalla caverna aperta si diffuse intorno un
puzzo nauseante di cadavere in putrefazione. Non c’era dubbio che
quell’uomo fosse veramente morto. I più vicini allo speco vedevano
fra le ombre la bianca sagoma della salma tutta avvolta da fasce, e
col volto parimente nascosto e legato da un sudario.
Gesù stava in mezzo al popolo
che gli si accalcò intorno per vederlo. Sollevò gli occhi al cielo
e, in quell’atteggiamento, sembrò gigante in mezzo alla
moltitudine. Il suo volto divino rifulgeva di maestà insolita, e le
tracce del dolore vi avevano impresso una nota di commovente
amabilità. Pregò: Padre,
ti ringrazio di avermi esaudito. Io, però, sapevo che Tu mi
esaudisci sempre, ma l’ho detto per il popolo che mi circonda
affinché creda che Tu mi hai mandato. Egli,
dunque, compiva quel miracolo per mostrare che era veramente Dio,
chiamando il Padre, e che era veramente uomo, supplicandolo di
esaudirlo. Si fermò un istante con gli occhi in alto, e il cielo era
riflesso in quegli occhi e in quel volto; poi gridò a gran voce:
Lazzaro vieni
fuori!
La voce si ripercosse lontano,
echeggiò nei cieli, e subito il morto si alzò, e si trascinò fra
le bende che lo impacciavano fin sull’ingresso della caverna.
Rimase lì, innanzi al suo
Creatore che lo aveva richiamato alla vita. Il popolo istintivamente
arretrò, spaventato e meravigliato, e un grido si levò dalla
moltitudine. Gesù rimase tranquillo; il volto gli rifulgeva d’amore;
ordinò che slegassero il morto risuscitato, perché potesse andare
liberamente a casa.
Padre Dolindo Ruotolo
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