Commento
al Vangelo della XIII Domenica TO 2015 B (Mc
5,21-43)
La
figlia di Giairo e la donna col flusso di sangue
Gesù
Cristo, invitato dai Gerasèni ad allontanarsi dal loro territorio,
non volle rimanervi oltre ma, salito in barca, passò alla riva
opposta presso Cafarnao. Egli compatì lo spavento di quella gente,
ed ebbe pietà della loro incoscienza, perciò, contro le sue
abitudini, invece d’imporre silenzio all’uomo che era stato
liberato e al suo compagno di sventura, volle che essi avessero
manifestato le grandezze di Dio. Lasciò in quei luoghi, come voci di
apostolato, quegli stessi che poco prima erano stati voci di terrore,
per non lasciare in completo abbandono quel popolo.
Passato
all’altra riva del lago e appena sbarcato, una gran folla gli si
radunò intorno, e tra la folla gli si presentò un capo della
sinagoga, chiamato Giàiro che aveva la figlia agli estremi.
Egli
lo supplicò di venire in casa sua, ad imporre la mano sulla morente
e a risanarla. Il poveretto non aveva una fede forte; credeva che
fosse necessaria la presenza del Redentore per salvarla, ma confidava
che avesse potuto guarirla. Gesù Cristo compatì il povero padre, e
si mostrò subito pronto a seguirlo fino a casa.
Trattandosi
di un’autorità pubblica, e standoci la speranza di assistere ad un
miracolo, la turba si affollò maggiormente intorno al Redentore;
ognuno si spingeva avanti e temeva quasi di perdere il posto che
aveva conquistato a furia di spintoni.
In
questa ressa, una povera donna, inferma da dodici anni di perdita di
sangue, ridotta in povertà dai medici che l’avevano tormentata
senza risanarla, anzi facendola peggiorare, corse alle spalle di
Gesù, e con viva fede toccò il lembo della veste di Lui, sicura di
guarire. Difatti all’istante avvertì un benessere che le fece
capire di essere stata risanata.
Gesù
si voltò e domandò chi l’avesse toccato, poiché aveva avvertito
che una virtù era uscita da Lui.
Era
pressato da tutte le parti, e gli apostoli si stupirono che
domandasse chi l’avesse toccato: ma Egli non parlava di un contatto
qualunque: parlava di un contatto di fede. La donna si rivelò e
manifestò al Signore quello che era avvenuto: era tutta timorosa e
tremante, ma Gesù la rassicurò e le completò la guarigione,
dicendole: “Va’ in pace e sii guarita dal tuo malanno”. Gesù
volle che si conoscesse questo miracolo, per divina delicatezza.
L’archisinagogo
gli aveva detto di andare ad imporre la sua mano sulla figlia, e il
Signore volle rafforzargli la fede e rianimargli la speranza, sapendo
già la triste notizia che gli stava per giungere; volle fargli
capire quale potenza Egli aveva per rendere meno terribile il colpo
che stavano per dargli con la rude franchezza orientale,
annunciandogli la morte della figlia. Egli, infatti che credeva
necessario l’intervento e il tocco di Gesù per risanarla, avrebbe
potuto disperare sapendola morta; la scena dell’emorroissa accrebbe
la sua fiducia e rese più penetrante la parola di Gesù che lo
esortava a non temere e ad aver fede.
Giunsero
alla casa, e quale dovette essere lo schianto del padre nel notare il
tumulto del popolo, le grida di quelli che piangevano la morta, e
tutto l’apparato funebre della casa. Gesù, per confortarlo e non
dargli subito l’impressione della morte della figlia, disse ai
circostanti che non si fossero affannati a piangere, perché la
fanciulla non era morta, ma dormiva. Tutti cominciarono a deriderlo,
sapendo bene che ella era morta; ma Egli parlava della morte per
quello che è in realtà, un sonno dal quale ci ridesteremo, e
parlava perché avrebbe risuscitato proprio allora la defunta come
ridestandola dal sonno. Era tanto lontano dal voler impressionare il
popolo con i miracoli che quasi svalutò quello che stava per
compiere, e non volle che la folla vi fosse stata presente.
Fece
venire con sé soltanto il padre e la madre della fanciulla e i tre
suoi apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni e, presa la fanciulla per la
mano, le disse in lingua aramaica: Talità
kum, cioè:
fanciulla,
alzati. Disse
queste parole con tale maestà e con tale tono onnipotente che
l’evangelista ce le volle conservare come le aveva dette Lui. Fu un
momento solenne che avrebbe potuto far venire meno di gioia i
genitori della morta, ma che li lasciò calmi, avendo Egli operato
come se la risvegliasse dal sonno. Ella, infatti, si alzò, scese,
cominciò a camminare, e dopo poco mangiò.
Il
Sacro Testo fa notare che la fanciulla aveva dodici anni,
precisamente quanti anni era durata la malattia della povera
emorroissa; dopo dodici anni di pene questa era stata risanata e dopo
dodici anni di vita, stroncata dalla morte, la fanciulla era risorta;
la divina potenza di Gesù aveva guarito la donna adulta e aveva
risuscitato la fanciulla, come un giorno avrebbe ridonato alla donna
di qualunque condizione ed età una nuova vita, sottraendola alla
schiavitù degli uomini e a quella della morte. Tutti i rimedi dati
dai medici alla donna inferma non erano giovati a nulla, anzi
l’avevano fatta peggiorare; ci volle il contatto col mantello di
Gesù per risanarla, il contatto della fede viva.
Così
tutti i rimedi degli uomini per sollevare la donna dalla sua
abiezione non giovano a nulla, anzi la peggiorano, occorre il
contatto con Gesù attraverso la sua Chiesa, figurata nella veste di
Lui.
La
giovanetta è condotta spesso alla morte dell’anima tra i canti e i
suoni che per la sua innocenza sono canti funebri; il mondo non sa
tenderle la mano che per riporla nella bara, e urlare sulla sua
perdizione: solo Gesù Cristo può prenderla per mano e ridonarle la
vita.
Molti
credono potersi arrogare il diritto o il dovere di risanare la donna
e di ridonare alla gioventù femminile la vita; ma qualunque potere
civile è impotente ad educare una creatura così difficile ad essere
elevata, risanata e guidata al bene. Lo diciamo a fronte alta.
Se
la Chiesa ha il compito principale
dell’educazione
dei fanciulli e dei giovani, per diritto divino, ad essa spetta il
compito esclusivo
per la
formazione e la rieducazione della donna.
Qualunque
iniziativa che non sia solamente e prettamente sacra e religiosa
serve solo a sbrigliarla e ad accelerare il processo della sua
degradazione.
Ormai
è l’esperienza che ce lo dimostra; basta vedere che cosa diventano
le donne trascinate nei movimenti politici, e a quali eccessi di
efferatezza e di malcostume giungono, per convincersene.
Chi
legge, per esempio, i programmi di educazione che si prefiggono i
comunisti e i nazisti, rimane inorridito.
Quei
programmi sembrano scritti in una sala di manicomio, e dolorosamente
sono scritti da esseri assatanati che ripetono, in nome del demonio,
l’insidia fatta nell’Eden alla donna. Le prospettano un ideale di
diletto, di bellezza e d’orgoglio, e la trascinano in una realtà
d’affanno, di turpitudine, e di degradazione; le si fa credere,
adulandola, che debba giungere fino ad essere una dea, e la si
riduce, in realtà, ad una morta.
Abbiamo
visto nella Spagna rossa di che cosa sono state capaci le donne e
vediamo ancora nei paesi d’ordine che cosa diventano le donne
educate dallo Stato; basta confrontarle con quelle formate nelle
ammirabili organizzazioni dell’Azione Cattolica per vedere che la
Chiesa sola può formare questa delicata e terribile creatura che
sembra vaporosa e diafana come una fiamma, ma che, come una fiamma,
può incendiare e distruggere.
Gesù
Cristo salvò i due indemoniati con una parola, comandando allo
spirito immondo di andarsene; ma, per salvare due donne, una dal
malanno e l’altra dalla morte, volle un contatto con la sua veste e
con la sua mano. La donna, quindi, può essere risanata e risuscitata
solo con una maggiore vicinanza con Gesù, e questa vicinanza l’ha
nel contatto con la Chiesa e nella Comunione eucaristica. Tutti gli
altri ritrovati per darle una vita nuova, sono chimere che la
conducono molto al di sotto della condizione in cui si trovava la
donna pagana.
Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo
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