sabato 16 aprile 2016

Gesù proclama la sua divinità

Gesù proclama la sua divinità


Commento al Vangelo: IV Domenica di Pasqua C 2016
 (Gv 10,27-30)

Le mie pecorelle ascoltano la mia voce, io le conosco ed esse mi vengono dietro; io do loro la vita eterna, esse non periranno in eterno, e nessuno me le strapperà di mano. 

Gesù proclama la sua divinità

La festa della Dedicazione del tempio era stata istituita da Giuda Maccabeo, in memoria della purificazione del tempio fatta dopo le profanazioni del luogo santo consumate da Antioco Epifane. Essa cominciava il 25 del nono mese, detto Casleu, novembre-dicembre, e durava otto giorni. Si chiamava anche festa dei lumi, per le illuminazioni che si solevano fare in quella circostanza.
Gesù camminava sotto il portico di Salomone. Questo portico, risparmiato dai Caldei nella distruzione di Gerusalemme, sorgeva al lato orientale dell’atrio dei pagani, e Gesù vi passeggiava pregando, con lo sguardo al Padre, in un atteggiamento pensoso e raccolto che dovette impressionare i Giudei, divisi com’erano da una doppia tendenza, e incerti sul modo come dovevano riguardare Gesù. Si affollarono perciò intorno a Lui e gli domandarono: Fino a quando terrai sospesa l’anima nostra? Se tu sei il Cristo diccelo apertamente.
Probabilmente non gli fecero questa domanda insidiosamente per avere occasione di condannarlo, perché non gli chiesero se fosse il Figlio di Dio, ma se fosse il Cristo. Essi, però, non si accorgevano di non avere l’anima disposta a sentire la verità, anzi molti di loro avrebbero inconsciamente desiderato che Egli avesse risposto come il Battista: Non sono io il Cristo. C’è, a volte, nelle domande che si fanno, una strana psicologia; s’interroga con la risposta già formulata, si chiede più per sentir confermato quello che si pensa che per essere veramente consigliati; si è certi che non ci si può rispondere diversamente. Gesù Cristo, che conosceva bene il cuore dei suoi interlocutori, rispose: Ve lo dico e voi non credete; ve lo dico con le parole e ve lo dico anche con le opere, poiché le opere che compio nel nome del Padre mio, queste rendono testimonianza di me. Già sapete, dunque, quale risposta io posso dare alla vostra domanda, ma voi non la intendete perché non siete delle mie pecorelle.
Le mie pecorelle ascoltano la mia voce, io le conosco ed esse mi vengono dietro; io do loro la vita eterna, esse non periranno in eterno, e nessuno me le strapperà di mano. Gesù Cristo non voleva dire che essi erano impossibilitati a credere quasi per un destino ineluttabile ma che non essendo sue pecorelle cioè, non seguendolo con amore e col desiderio d’essere guidati, illuminati e pascolati da Lui, non intendevano le sue parole e non davano peso o significato ai suoi miracoli. Egli li aveva chiamati, li voleva come sue pecorelle, ardeva dal desiderio di averli, ma essi si rifiutavano di seguirlo, e quindi rendevano impossibile in loro la penetrazione e la luce della verità. Se l’avessero seguito come sue pecorelle, avrebbero capito le sue parole, e inteso il significato dei suoi miracoli, sarebbero stati in comunione con Lui e avrebbero avuto la bella speranza della salvezza eterna.
Gli scribi e farisei cercavano, in realtà, non di sapere la verità, ma di strappargli le anime, mettendole in imbarazzo, e presumendo di disingannarle, poi, con le stesse sue parole; perciò Gesù, in un impeto d’amore, quasi serrandosi al Cuore le sue pecorelle fedeli, disse: Nessuno me le strapperà di mano. Quando esse vengono a me, io le nutro e le sostento con la grazia che il Padre mio mi ha data, e questa incomparabile ricchezza sorpassa ogni cosa, è superiore a qualunque insidia e a qualunque forza umana o diabolica. Nessuno potrà rapire le anime dalle mani del Padre mio e dalle mie mani, poiché io e il Padre siamo una sola cosa.
Dicendo questo, il Redentore rispose anche alla domanda che gli era stata fatta; Egli non solo era il Cristo che veniva a salvare le anime, ma era il Figlio di Dio, una co-sa col Padre, consustanziale a Lui, e veramente distinto da Lui: Io e il Padre, siamo una sola cosa. 
Padre Dolindo Ruotolo

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