Commento al Vangelo – II Domenica del T. O. 2017 A
(Gv 1,29-34)
Anche noi siamo testimoni di
Cristo
Giovanni sulle rive del Giordano, dava il battesimo della penitenza per rendere testimonianza a Gesù Cristo e preparare le anime al suo regno. È necessario approfondire questo tratto provvidenziale della sua vita e ricavarne le conseguenze.
L’anima peccatrice ha un fitto velo innanzi alla mente che le impedisce di vedere la verità, e il velo le è tirato dall’orgoglio. Sembrerebbe incredibile, eppure è vero: più l’anima si degrada e più s’inorgoglisce, presume di sé, reagisce al bene e rifiuta la verità. È un fatto che può controllarsi ogni momento, e che ci fa vedere di quale natura è il nostro orgoglio maledetto. I superuomini da strapazzo sono tutti avviliti da particolari miserie che tolgono loro la vista interiore, e li rendono ripugnantemente presuntuosi.
L’anima non può vedere se non si umilia; è come il miope che, per affissare lontano, deve impiccolire e socchiudere gli occhi, affinché i raggi giungano a fuoco sulla rètina. Il battesimo di san Giovanni era un atto di umiliazione, e produceva, nell’anima, uno stato salutare di impiccolimento che le rendeva meno difficile l’ascolto dell’annuncio dell’imminente redenzione, e più facile seguire, un giorno, il Redentore riconosciuto.
L’anima andava a sottomettersi al messaggero di Dio, si riconosceva peccatrice, anelava alla giustificazione, riceveva il battesimo d’acqua, e capiva che ci voleva ben altro per ottenere la pace completa della giustizia. Si suscitava in lei il desiderio della rinascita, sentiva ripugnanza al peccato, se ne voleva liberare, ed era disposta a correre a Colui che Giovanni di proposito, e con profonda ragione, chiamò Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. Il fiume stesso al quale accorrevano le turbe aveva qualche cosa di mistico, nel nome e nei ricordi storici che orientavano l’anima verso Dio in una salutare umiliazione, e in una piena fiducia.
Giordano, fiume del giudizio che mostra o ricaccia il giudizio, discesa, ricordava il giudizio di Dio chemostra la verità e ricaccia il falso giudizio della nostra mente, facendo discendere l’anima nelle profondità della coscienza per giudicarsi ed umiliarsi.
Le sue acque avevano qualcosa che ricordava il fluire del tempo, poiché passavano, passavano senza posa.
Esse si arrestarono solo quando il popolo pellegrino dovette attraversare il letto del fiume, e il ricordo di questo grande miracolo risuscitava nell’anima il concetto della potenza e della misericordia di Dio. Le promesse fatte dal Signore ai patriarchi rivivevano in quel ricordo e in quel concetto, e il popolo sentiva più vivo il desiderio del Redentore.
Giovanni rendeva testimonianza principalmente con la sua vita al Redentore. La sua parola sarebbe stata vana senza la vita santa e penitente che conduceva. Battezzando, egli faceva quasi fluire con l’acqua il fascino del suo esempio e l’unzione della sua virtù, e suscitava nelle anime il desiderio del bene, umiliandone salutarmente l’orgoglio.
Anche noi dobbiamo rendere testimonianza a Gesù, ed essere, in certo modo, precursori della grazia di Dio nelle anime. Situati sulle rive vertiginose del tempo,discendiamo nelle profondità della nostra coscienza,giudicandoci per quello che siamo, e ricacciando da noi i falsi giudizi del mondo.
Il giudizio della coscienza che si umilia e si pente dei suoi peccati è come il battesimo d’acqua della penitenza interiore che prepara al Battesimo di Spirito Santo della grazia sacramentale. L’anima prima si esamina e si giudica, poi corre dal Redentore, Agnello di Dio e, fatta pura dalla sua misericordia, diventa sua testimonianza innanzi agli altri, ai quali dona la prima luce riflessa di verità, perché discernano lo stato della loro coscienza ed anelino a Dio.
Dobbiamo riconoscere umilmente che spesso noi siamo falsi testimoni del Signore con la nostra vita senza luce di verità e senza calore salutare di bene. Non mostriamo né fede viva né amore vero al Signore e, con tanti stolti giudizi sulla sua provvidenza e sulla sua giustizia, lo riguardiamo e lo facciamo riguardare in una luce falsa.
Chi verrà dopo di me – diceva san Giovanni –, è più di me perché era prima di me; noi praticamente riguardiamo Dio come inferiore a noi, e osiamo giudicarlo col nostro inetto e falsissimo giudizio, invece di adorarlo profondamente, e curvare gli altri alla sua adorazione col nostro esempio. Eppure se pensassimo che dalla sua pienezza noi riceviamo grazia su grazia, e se pensassimoalla grazia e alla verità che ci vengono per Gesù Cristo, dovremmo essere in ogni tempo e in ogni circostanza come inni viventi della sua magnificenza e della sua gloria! Noi, anzi, dolorosamente, rendiamo orgogliosa testimonianza di noi stessi a scapito di Dio, proprio all’opposto di quello che fece san Giovanni.
Quando i sacerdoti e i leviti, mostrando di averlo in grande considerazione, gli domandarono: Tu chi sei?,Egli, lungi dal rispondere con parole che potevano conciliargli la stima, rispose recisamente che non era né il Cristo né Elia né il profeta. Rispose negando, tanto era profonda la sua umiltà e la sua familiarità col proprio nulla.Non sono – ecco la risposta spontanea del suo cuore –, non sono, sono un nulla di fronte al Redentore, e sono solo una voce che grida per la sua gloria.
Noi, all’opposto, abbiamo sul labbro sempre il nostro io, e ci crediamo sapienti, profeti, infallibili, forti, invincibili, esaltati sugli altri.
Dovremmo dire:
io non sono il Cristo,
non ho unzione di grazia, sono un povero peccatore;
non sono Elia, cioè non sono né signore né forte, perché sono fragile e vile nelle mie potenze;
non sono il profeta, ossia uno spirito superiore;
sono un povero stolto senza luce di sapienza e senza fiamma di vera carità.
San Giovanni, strettamente parlando, non fece un atto di umiltà nel confessare che non era il Cristo; se avesse voluto profittare dell’interrogazione dei sacerdoti e dei leviti per usurpare un titolo che non gli competeva, sarebbe stato un mentitore; la prontezza, però, con la quale proclamò la verità, e l’orrore che aveva di poter essere scambiato per il Cristo rivelano la sua profonda umiltà.
Noi non facciamo nulla di eccezionale nel proclamarci miserabili innanzi a Dio, ma facciamo un atto di giustizia che non deve farci insuperbire, e che deve farci riconoscere per quello che siamo e dobbiamo essere: voci di glorificazione sua in ogni atto della nostra vita e nel deserto del mondo. Questo nostro dovere deve comprenderci tutti, e deve farci temere di disonorare il Signore innanzi al mondo scellerato che lo rinnega e l’offende. Il maledetto rispetto umano potrebbe farci tergiversare innanzi agli altri che ci interrogano con gli sguardi maligni, con parole pungenti o con indegni inviti al male:
Chi sei tu? Sei tu cristiano?
Allora dobbiamo confessare e non negare che siamo di Dio che gli crediamo, lo onoriamo, lo amiamo, e che a nessun costo vogliamo offenderlo. E, se si ha l’ardire di parlar male di Dio, invece di mostrarci titubanti, dobbiamo proclamare la sapienza e la gloria, confessando che non siamo degni neppure di nominarlo, ad imitazione di san Giovanni che si proclamò indegno di sciogliere il legaccio dei calzari di Gesù.
San Giovanni rese direttamente testimonianza a Gesù Cristo, additandolo alle turbe come Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, ossia additandolo come Redentore, riconoscendolo vero Dio, e confermando la sua testimonianza con quella dello Spirito Santo. Non basta a noi rendere testimonianza a Dio; dobbiamo renderla anche al Redentore, all’Agnello di Dio,partecipando ai grandi doni che Egli ci fa nella Chiesa, con i santi Sacramenti e specialmente col Sacrificio e col Pane eucaristico. La Chiesa stessa ci invita a rendergli questa testimonianza, poiché dispensando il cibo celeste ripete le parole del Precursore alle turbe: Ecce Agnus Dei, ecce qui tollis peccata mundi. Essere cristiani e non partecipare alla vita di Gesù Cristo che giova? Quale testimonianza può rendere al Redentore un’anima senza redenzione che si mostra nuovamente pagana e si degrada miseramente nel male? Siamo dunque voci che gridano nel deserto del mondo, voci di fede, di amore e di vita soprannaturale che invitino le genti al trono di Gesù Cristo, e le facciano vivere del suo dolcissimo amore.
Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo
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