Commento al Vangelo della domenica
La parabola del seminatore
XV domenica del T. O.
La prima parabola che propose al
popolo era come uno sguardo che dava al cuore e alle disposizioni del suo uditorio,
poiché in quel momento Egli gettava la semente della divina parola nelle anime
e la gettava con vario frutto. Un seminatore che lasciasse cadere la semente
sulla strada fra i sassi e fra le spine non sarebbe un seminatore accorto ma,
avendo sovrabbondanza di semi, la sua stessa ricchezza gliene farebbe cadere
una parte sulla strada, tra le pietre e tra le spine. Gesù Cristo è venuto in
terra per seminare la divina parola, è venuto con una sovrabbondanza di misericordie
per salvare tutti e per dare a tutti i mezzi di salute; Egli, dunque, semina
dovunque, anche nei cuori duri, benché sappia che, in realtà, la sua semente
andrà perduta; benefica tutti, muore per tutti senza preferenza di persone, e
attende il frutto della corrispondenza umana.
È
sempre Gesù che fa la grande semina della divina parola, perché gli apostoli e
i loro successori lo rappresentano e agiscono in suo nome; la semente che Egli
dona è sempre buona e atta a germinare, perciò non c’è caso nel quale l’uomo
possa dire di aver ricevuto un aiuto insufficiente; non è cattiva la semente,
ma la terra dove essa cade, quando non produce frutto, o lo produce imperfettamente.
Il
seminatore viene dalla strada col grembiule pieno di semi e, logicamente, per
entrare nella terra, percorre prima un tratto di strada, poi attraversa le
macerie del campo, poi la siepe irta di spine e infine va nella terra buona e
fino ai luoghi meglio esposti e più ubertosi. È questa la ragione per cui, dal
grembiule sovraccaricato, sfugge parte della semente sulla strada, tra le
pietre e tra le spine. Anche il predicatore della divina parola, per giungere
alle anime capaci di fecondità, deve parlare a tutti, e passa quasi per la
strada del mondo tra le pietre delle anime superficiali, e tra le spine di
quelle assalite dalle passioni.
Il
popolo ebreo fu per Gesù come la strada per giungere a tutte le anime e, in
mezzo ad esso, la parola fu come divorata dal maligno, senza portare frutto.
Dagli Ebrei la parola passò ai popoli circostanti e ai Greci, dove sembrò germinare
perché accolta con esultanza, ma poi non fruttificò perché cadde tra le pietre
della cultura umana e non pose radici. Dal mondo greco passò a quello romano,
irto di spine di passione, e fu soffocata dalle sollecitudini del secolo
presente e dalla seduzione delle ricchezze. Essa, però, trovò la terra buona
nelle anime che sinceramente fecero parte della Chiesa, e fruttificò – come
dice sant’Agostino –, il cento per uno tra i martiri, il sessanta tra i
vergini, il trenta fra quelli che vivono santamente nel mondo.
Nel
campo particolare delle anime avviene spesso che molti ascoltano la divina
parola ma pochi ne traggono frutto, secondo quello che dice Gesù Cristo stesso
spiegando la parabola.
Vi
sono quelli che ascoltano più per curiosità che per trarne profitto, e la
parola viene loro rapita dal maligno; ascoltano e poi dimenticano tutto, o non
vi fanno più caso e ritornano ai loro vani pensieri.
Vi
sono quelli che ascoltano, provano un diletto spirituale nell’evidenza della
verità, propongono anche di confessarsi e cambiar vita ma, alle prime
contraddizioni e persecuzioni, mutano pensiero e ritornano alla vita di prima.
Vi
sono, infine, quelli che accolgono la divina parola, ma pretendono conciliarla
con la sollecitudine delle cose terrene e delle ricchezze, e la soffocano nel
loro cuore.
Per
ricevere con frutto la parola di Dio bisogna essere terra buona, cioè bisogna
avere le disposizioni interiori per meditarla, svilupparla e metterla in
pratica.
(Servo di Dio Sac. Dolindo Ruotolo)
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