Commento al Vangelo: III Domenica di Pasqua 2012 (Lc 24,35-48)
Don Dolindo Ruotolo
Gesù appare agli apostoli
Rimessisi un po’
dall’emozione, i due discepoli raccontarono quanto era loro accaduto per strada
e come avevano riconosciuto Gesù nella frazione del pane. Forse il loro
racconto cominciò a suscitare diffidenze, come avviene spesso quando si
riferisce a gente incredula un fatto soprannaturale, quando Gesù,
improvvisamente, stando chiusa la porta entrò in mezzo a loro ed più soggetto esclamò:
La pace sia con voi; sono io, non temete. Il suo Corpo glorioso, non alle
leggi della materia, non conosceva ostacoli, e molto più di quel che non faccia
un’onda elettrica, passò attraverso le mura e la porta. I congregati, già
impressionati da quello che ascoltavano dai discepoli di Emmaus, ne furono
turbati e atterriti, credendo di vedere uno spirito.
Se avessero creduto
a quello che dicevano i discepoli, non avrebbero supposto di trovarsi di fronte
ad un fantasma. Gesù, con una grande amorevolezza, per toglierli dall’angustia,
soggiunse: Perché vi turbate, e quali pensieri sorgono nel vostro cuore?
Guardate le mie mani e i miei piedi, sono proprio io; palpatemi e guardate,
perché lo spirito non ha carne ed ossa come vedete che ho io. Detto questo,
mostrò loro le mani e i piedi e li fece toccare loro, ma essi non crederono
ancora, benché avessero il cuore pieno di gioia al divino contatto.
Questo ci fa vedere
in quale stato di miscredenza ancora si trovassero e quanto fitte fossero le
tenebre del loro spirito. Toccavano con mano, vedevano con gli occhi e non
credevano. È terribile! Erano più increduli dello stesso san Tommaso, la cui
mancanza di fede è diventata proverbiale; il loro intelletto era oscurato
completamente, poiché rimaneva in loro ancora l’idea che il Maestro non avesse
potuto risorgere.
Così fanno i
miscredenti per partito preso: dicono di voler tutto osservare e controllare e,
quando toccano con mano la verità, neppure credono, perché il loro cuore è
guasto e annebbiato. Non cercano il motivo della credibilità ma quello della
miscredenza, e non cedono di fronte all’evidenza, rinnegando praticamente lo
stesso positivismo balordo per il quale dicono di non credere. Se si
umiliassero e riconoscessero la loro ignoranza, riavrebbero la luce della verità
e quella della fede, ma sono ostinati e non vogliono credere.
Di fronte
all’ostinazione degli apostoli Gesù, lungi dall’abbandonarli come avrebbero
meritato, ricorse ad un altro espediente: Essi erano fuori di loro per la
gioia, come dice il
Sacro Testo; non credevano ai loro occhi e al loro tatto, non per ostinazione
di malizia, ma per la stessa sorpresa di ciò che vedevano; erano come fuori
della realtà della vita, e non sapevano trarre la logica conseguenza di quello
che vedevano; perciò Gesù, richiamandoli alla realtà e distraendoli da quello
stupore che impediva loro di riflettere, esclamò: Avete qui qualche cosa da
mangiare? Ed essi gli presentarono un pezzo di pesce arrostito e un favo di
miele; Gesù ne mangiò alla loro presenza, e quello che avanzò lo diede loro
perché ne avessero mangiato e l’avessero mostrato agli altri come testimonianza
della sua risurrezione.
Gesù Cristo, avendo
un corpo reale poteva mangiare, benché fosse glorioso. Il cibo penetrò
veramente nello stomaco, e si mutò interamente in sua sostanza, senza bisogno
di digestione. Egli si degnò di partecipare alla nostra vita per santificarla
e, mentre prima della Passione aveva mangiato la Pasqua con le erbe amare,
simbolo del pellegrinaggio terreno, dopo la risurrezione mangiò il favo di miele,
simbolo delle dolcezze della gloria eterna.
Nella Cena, mangiò
l’Agnello pasquale, figura di Lui stesso immolato, e dopo la risurrezione
mangiò il pesce arrostito, simbolo del suo amore eucaristico; l’agnello vive
nella terra, simbolo dell’anima pellegrina, e il pesce nel mare, simbolo
dell’anima beata dell’immensità della gloria di Dio, nella quale è come
sommersa per l’eterna beatitudine.
Di fronte
all’evidenza di veder consumato il cibo che gli avevano dato, gli apostoli
crederono, come appare chiaramente dal colloquio che Gesù ebbe con loro; ma nel
loro spirito c’erano ancora delle tenebre sulla sua Passione e Morte, ed Egli
le dissipò, richiamando la loro attenzione sul compimento delle profezie che lo
riguardavano, da Lui già annunciate loro prima di patire. E perché avessero
potuto intendere appieno quanto di Lui era stato scritto nella Legge di Mosè,
nei profeti e nei salmi, cioè in tutta la Scrittura , ne comunicò loro l’intelligenza con
una grazia particolare, perché avessero potuto intenderle e insegnarle agli
altri, evangelizzando tutte le genti.
San Luca
sintetizza, in queste poche parole, le raccomandazioni e le istruzioni che Gesù
Cristo fece agli apostoli nei quaranta giorni nei quali rimase con loro, prima
di congedarsi definitivamente e ascendere al cielo. Fu in questi trattenimenti
che Egli promise lo Spirito Santo, e li esortò a trattenersi in Gerusalemme,
per prepararsi a quella grande grazia che doveva trasformarli in messaggeri di
misericordia, di perdono e di pace per tutta la terra.
Alla fine dei
quaranta giorni, li condusse prima a Betania, per congedarsi da Marta, da Maria
e da Lazzaro, e poi di là sul monte Oliveto, dove li benedisse e, sollevatosi
verso il cielo, sparì dai loro occhi, assunto nella gloria.
Fu
quella l’ultima e definitiva prova che diede della sua divinità, e per questo
gli apostoli e quelli che erano con loro lo adorarono, riconoscendolo pienamente
Figlio di Dio.
Ritornarono
poi a Gerusalemme pieni di gaudio, per le grazie ricevute, delle quali, ora, valutavano
tutta la magnificenza, e stavano nel tempio continuamente, lodandone e
benedicendone Dio. Essi, infatti, si svegliarono come da un sonno e,
accorgendosi di non aver apprezzato abbastanza gli immensi doni ricevuti da
Dio, cercarono di riparare alla loro manchevolezza, andando a ringraziarlo
continuamente nel tempio.
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