Commento al Vangelo della XIV Domenica TO 2012 B (Mc 6,1-6)
Santa Aquila e Priscilla
Il disprezzo degli abitanti di
Nazaret per Gesù
Partito
da Cafarnao, Gesù andò a Nazaret, riguardata da tutti come la sua patria. Era
stato tanti anni nascosto in quella città; vi aveva esercitato il mestiere di
falegname insieme con san Giuseppe, suo padre putativo e, ritornandovi ora,
accompagnato dai discepoli come maestro di sapienza suscitò l’animosità dei
cittadini.
Avrebbero dovuto
gloriarsi di Lui ma, per le continue opposizioni degli scribi e farisei, non
crederono che la sua notorietà fosse giunta a tal punto da lusingarli
nell’orgoglio di essere concittadini di un illustre personaggio. Essi, anzi,
concepirono disprezzo per la sapienza altissima che manifestava, sembrando loro
una presunzione, e stimandola una contraddizione con i suoi umili natali. Molti
conoscevano sua Madre, Maria, la sua parentela, i suoi fratelli-cugini e le sue
sorelle-cugine, tutta gente che appariva di nessun conto, e sembrava loro
diminuirsi, rendendogli omaggio. Non parlarono di san Giuseppe il quale era già
morto, ma di Gesù falegname, perché, evidentemente era subentrato a san
Giuseppe nel mestiere, e si scandalizzarono, sembrando loro che la sua
predicazione fosse un discredito per il sacro ministero.
Nazaret aveva la
poco lusinghiera taccia di essere una città di scemi; si direbbe che
l’apprezzamento che fecero di Gesù confermasse questa taccia, perché si
scandalizzavano di quello che avrebbe dovuto edificarli, e si contraddicevano
perché, pur tenendo Gesù in nessun conto, avrebbero voluto vedergli operare grandi
miracoli. Egli invece, per la loro poca fede, poté solo guarire qualche
infermo, imponendogli la mano.
È detto, nel Sacro
Testo, che Gesù si meravigliava della loro incredulità. Da che cosa
veniva questa meraviglia? Dal fatto che – come è detto in san Luca (4,22) –, tutti
gli rendevano testimonianza, e ammiravano le parole di grazia che uscivano
dalla sua bocca; i Nazareni non potevano negare la grandezza della sua sapienza,
e intanto non volevano riconoscerla come il più grande segno della sua
missione; lo lodavano come maestro e lo disprezzavano come Messia, non volendo
ammettere che il re che aspettavano fosse di così umile condizione.
La loro incredulità
meravigliava Gesù, anche perché lo addolorava profondamente, amando Egli
Nazaret, e volendo colmarla di benedizioni. Ma nessun profeta è in onore nella
sua patria, nella sua casa e tra i suoi parenti, per le prevenzioni
dell’orgoglio, per le animosità latenti di gelosia che si hanno contro di lui,
e per il fatto stesso di averlo conosciuto bambino e fanciullo; perciò Gesù
dovette contentarsi di andare ad annunciare la divina Parola nei villaggi circostanti.
L’ingratitudine di
Nazaret gli causò un gravissimo dolore, perché quella città non capì
l’altissimo onore che le era stato concesso da Dio, e non seppe ricavarne
profitto. Vedere l’umile falegname mutato in un grande Maestro di dottrina che
non potevano non ammirare li avrebbe dovuti persuadere di più che Egli era un
essere straordinario; invece concepirono per Lui tale avversione da minacciarlo
nella vita, come ci dice san Luca (4,28-29).
Così fanno tante
anime sterili che dicono di ammirare le bellezze del Vangelo, e poi rinnegano
Gesù nella loro vita, scacciandolo dal loro cuore. Ammirano il Vangelo, ma
quando lo paragonano alle loro orgogliose spampanate, sembra indegno di loro, e
non intendono che esso è sapienza che non tramonta mai, ed è la pietruzza che
abbatte le statue idolatriche dell’umana, pretesa sapienza.
Gli uomini stolti
credono che abbiano valore le loro idee e spregiano quelle della fede; eppure
le loro idee sono come vapori di nebbia che sono vapori dissipati dal vento e
travolti dal turbine.
Ci
lamentiamo che Gesù non operi in noi grandi cose, e non ci lamentiamo mai della
poca fede che abbiamo, per nostra colpa. La parola di Dio è come semente che
richiede il terreno per prosperare. Apriamo il cuore a Gesù con grande umiltà,
ed Egli opererà in noi meraviglie di grazia, perché il suo infinito amore non
ha altro desiderio che di riempirci di beni.
Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo
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