Commento al Vangelo: Domenica delle Palme 2013 (Lc 22,14-23,56)
Passione di Nostro Signore Gesù Cristo
La crocifissione, l’agonia, la morte e la sepoltura di Gesù
Giunti sul monte Calvario, cioè del
teschio, chiamato in
ebraico Golgota, i carnefici prescelti crocifissero Gesù e i due ladroni,
elevandoli uno a destra e uno a sinistra di Lui. Con queste poche parole di una
terribile concisione, l’evangelista accenna alla scena spaventosa di
quell’immane supplizio. Lo crocifissero, perforandogli le mani con un
lungo chiodo, e i piedi sovrapposti con un chiodo ancora più lungo. Non è
possibile immaginare lo spasimo che davano quei chiodi all’adorabile nostro
Redentore. La scienza medica, oggi, ne ha potuto studiare le vestigia sulla
santa Sindone, cioè sul lenzuolo che lo avvolse cadavere. Si contrasse tutto
all’indietro, e per questo movimento brusco le spine della nuca gli si
conficcarono dentro più profondamente. Il suo dolore fu immenso, ma Egli, nella
sua misericordia, si preoccupò di quelli che glielo procuravano e, rivolto al
Padre, esclamò: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno. Non
aveva bisogno Egli di perdonarli, perché dava la vita per loro, ma aveva
necessità d’implorare perdono dal Padre, perché il delitto che commettevano era
spaventoso. La sua parola fu esaudita dal Padre?
Apparentemente
sembrerebbe di no, poiché Gerusalemme fu distrutta, e il popolo fu massacrato o
portato in cattività; ma Gesù pregò per l’anima di quelli che avevano concorso
alla sua crocifissione, e principalmente per gli Ebrei, e questo ci fa
intendere che, per la sua divina preghiera, Egli raccolse quelle anime quale
messe dei suoi dolori. Come poteva Egli pregare per la loro salvezza temporale
che li avrebbe sempre più ostinati nel peccato? Anche al buon ladro, infatti,
Egli donò la salvezza eterna, ma non lo strappò dalla croce, perché il tormento
che vi subiva era l’espiazione dei delitti che aveva commessi.
Gesù
soffriva e perdonava, e quelli che assistevano alla sua morte lo deridevano e
lo insultavano!
I
soldati, al principio, si preoccuparono solo di dividersi le sue vesti,
sperando di realizzare un gran guadagno rivendendole ai discepoli del
Crocifisso e, dato che la tunica era inconsutile, per non dividerla la
sorteggiarono; dopo si unirono anch’essi a quelli che lo insultavano. I
sacerdoti soprattutto e gli scribi ci tenevano a sfatarne il prestigio innanzi
al popolo, e con i loro insulti volevano farne rimarcare l’impotenza: Ha
salvato gli altri, salvi se stesso se Egli è il Cristo, l’eletto di Dio. Ad
essi facevano eco i soldati, i quali, vedendo sulla croce la scritta postavi da
Pilato, dicevano: Se Tu sei il re dei Giudei, salva te stesso. Lo
dicevano per prendersi beffe non solo di Lui che si era dichiarato re innanzi a
Pilato, ma anche per insultare il popolo ebreo in Lui.
Se Pilato aveva messo quella scritta, era per
essi evidente che il Crocifisso era veramente il re spodestato; insultandolo e
sfidandone la potenza, volevano far constatare lo stato di soggezione piena nel
quale era ridotto il popolo che aveva il suo re in croce, senza dire neppure
una parola di protesta, anzi approvandone la condanna e la morte.
I
biechi sacerdoti del tempio non si erano accorti che, con quel delitto
spaventoso, avevano stretto di più le catene della loro schiavitù a Roma.
Il buon ladrone
I
due ladri che erano crocifissi con Gesù, al principio si unirono tutti e due al
coro di quelli che insultavano Gesù (cf Mt
27,44), ma poi uno di essi, vedendo che il compagno insisteva nel provocare il Signore
a mostrare la sua potenza e la sua dignità, liberando se stesso e loro dalla
croce e notando la pazienza divina di Lui, ne ebbe compassione e cominciò a
sgridare il compagno.
Fu questo il primo anello di grazia che doveva
condurlo al possesso del Paradiso. Egli soffriva terribilmente, aveva fastidio
di sentire il vociare dei nemici del Redentore, perché i suoi nervi erano
spasmodicamente tesi e contratti; considerò quanto doveva essere terribile per
il Signore quel coro d’insulti e di feroci ironie stando in quello stato e, non
osando rimproverare i sacerdoti, gli scribi e i farisei sgridò il compagno,
dicendogli: Neppure tu temi Dio, trovandoti nel medesimo supplizio? cioè:
tu non compatisci, dunque, le sue pene, pur soffrendole tu stesso e ancora lo
provochi e lo insulti? Quindi, dando uno sguardo ai peccati commessi, notandone
forse le vestigia nel compagno e pentendosene di tutto cuore perché vedeva e
sentiva quanto era innocente Gesù, esclamò: Per
noi, certamente è giusto, perché riceviamo ciò che meritiamo per i
nostri delitti; questi, invece, non ha fatto nulla di male.
E,
dicendo queste parole, lo guardò.
La compassione per le sue pene era diventata
proclamazione della sua innocenza e, nel guardarlo di nuovo in questa luce,
notò che quell’innocenza non era umana, come non era umana la pazienza che
mostrava. Lo fissò, e gli venne una grande pace; lo guardò ancora e anche Gesù
dovette guardarlo, alleggerendogli le atroci pene. Nel considerarlo, scorse la
maestà placida di quel volto, e dal volto spontaneamente passò a leggere la
scritta: Gesù Nazareno, re dei Giudei. Aveva un vero aspetto di Re, spirava
maestà, spirava, anche così contraffatto, ammirabile bellezza; era Re, ma non
poteva esserlo di questo mondo. Forse l’aveva sentito dire innanzi a Pilato
solennemente: Il mio regno non è di questo mondo, e quelle parole ora gli ritornavano in mente. La fede
nel Messia gli si rinnovò nell’anima; lo guardò ancora, sentì che era Lui,
credé, sperò, gli si confidò, gli si abbandonò, esclamando: Signore,
ricordati di me quando sarai giunto nel tuo regno. La sua fede era piena e
completa; aveva confessato le proprie colpe e la grazia l’aveva tutto avvolto e
vivificato; si era pentito, aveva amato il suo Redentore, aveva accettato come
espiazione la pena che soffriva, e Gesù, perdonandogli, esclamò: In verità
ti dico: Oggi sarai con me in Paradiso. Oggi stesso, sarai con me perché
l’avrebbe preceduto nella morte e, morendo, l’avrebbe redento, ridonandogli
l’adozione di Figlio di Dio e dandogli il possesso della felicità eterna.
Fu
un atto di misericordia immenso, al quale non poté essere estranea la Vergine Santissima.
Nella sua materna misericordia, Ella pregò per tutti, e pregò molto più per
quelli che erano crocifissi col suo Figlio divino.
Pregò,
e il meno ostinato e cattivo raccolse i frutti della sua preghiera,
compassionando Gesù e pentendosi dei propri peccati. Quale fiume di grazia
sarebbe disceso su tutti i carnefici del Calvario, se avessero avuto un momento
solo di pentimento? Il buon ladro aprì la serie dei peccatori che ai piedi del
Crocifisso avrebbero trovato la luce, la misericordia e la pace, e fu il primo
a raccogliere il conforto e la tranquillità che si diffondono dalla croce.
Quante
volte la sua breve preghiera è stata ripetuta dai peccatori, stretti dalle
tribolazioni: È giusto, Signore, ricevo ciò che merito per i miei delitti,
ricordati di me! E quante volte Gesù ha risposto nel profondo del cuore
pentito, dandogli la pace e promettendogli la vita eterna! Sono peccatore, mio
Dio, lo confesso, e tutte le pene della mia vita sono un atto di giustizia, lo
riconosco; ma la tua misericordia ha le braccia aperte per accogliermi, e io mi
rifugio sul tuo Cuore, dicendoti: Ricordati di me. Tu conosci bene
quello che io sono, e se tu volessi ricordarti delle mie colpe dovresti
scacciarmi da te; ma il tuo ricordo è misericordia e Tu mi guardi per
perdonarmi e per salvarmi.
Gesù muore in croce
Era
circa l’ora sesta, cioè verso mezzogiorno, e si fece buio su tutta la terra
fino all’ora nona, cioè fino alle tre pomeridiane. San Luca nota che il sole
si oscurò; quindi
non fu un fenomeno dovuto a nebbie caliginose né poté essere un eclissi, stando
la luna al plenilunio. Per far notare che l’oscuramento del sole non avvenne
per causa naturale, l’evangelista ricorda che anche il velo del tempio si
squarciò nel mezzo; si squarciò dopo la morte di Gesù, ma san Luca ne anticipa
la notizia, per mostrare che il Signore dava segni non dubbi di essere
veramente il Figlio di Dio e il Messia promesso.
In
questa oscurità, d’un tratto si fece grande silenzio sul Calvario e, per quanto
i nemici di Gesù si sforzassero di spiegare il fenomeno con cause naturali, ne
furono essi stessi atterriti. Gesù, in quel silenzio, emise un gran grido che
mostrava la padronanza che aveva della sua vita, perché, agonizzante com’era,
non avrebbe potuto gridare a gran voce, ed esclamò: Padre, nelle tue mani
raccomando il mio spirito. E, dicendo questo, spirò. Quale momento solenne!
Spirò, e quello spiro d’amore ridonò la vita agli uomini, come l’alito di Dio
l’aveva donata alla creta plasmata nell’Eden.
Spirò,
e quell’ultimo respiro fu per l’Inferno come il turbine che lo sgominò; spirò e
rimase immobile, in una solennità grande, della quale abbiamo fino ad oggi la testimonianza
nella santa Sindone conservata a Torino.
La
terra tremò, quasi spaventata dal delitto consumato dai Giudei; il velo del
tempio si squarciò, perché ormai era terminato l’Antico Patto e cominciava il
Nuovo.
Il
centurione che stava di guardia sul Calvario, vedendo quello che era accaduto,
riconobbe la verità, e glorificando Dio, esclamò: Costui era veramente un
giusto o, come dicono san Matteo (27,54) e san Marco (15,39): Veramente
costui era Figlio di Dio. Egli fu così il primo del popolo pagano a
riconoscere in Gesù Cristo il Messia e a proclamarlo pubblicamente.
La
moltitudine, poi che era stata attratta sul Calvario per quello spettacolo
insolito, discendeva dal monte ferale percuotendosi il petto in segno di
pentimento e di angoscia, mentre i suoi discepoli e le pie donne che l’avevano
seguito dalla Galilea, stavano osservando in lontananza, per timore di essere
molestati dai nemici del Crocifisso. Che pena pensare che gli amici stavano in
lontananza, e che i nemici stavano proprio sul Calvario.
Oh
come è meschino il nostro amore verso Gesù, quando ci vergogniamo di Lui, e per
un vilissimo rispetto umano viviamo lontani da Lui! Quanti seguono Gesù ma non
vogliono compromettersi e, pur non trovandosi di fronte a pericoli reali ma
solo illusori, si tengono lontani da Lui, accomunandosi alla vita dei malvagi!
Quando ci accorgiamo che Gesù è vilipeso e
condannato dal mondo, allora dobbiamo mostrarci a Lui più fedeli, e serrarci
alla Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana per confessarlo vero Dio e vero uomo
e propagare il suo regno.
La sepoltura
Passato
un po’ di tempo, venne sul Calvario un membro del sinedrio, chiamato Giuseppe,
dalla città di Arimatea, uomo dabbene e giusto, il quale non aveva consentito
alla condanna di Gesù e, resosi conto della morte del Signore, si recò da
Pilato per ottenere il permesso di prenderne il corpo e seppellirlo.
Calava già la sera, ed essendo il giorno seguente giorno di sabato,
si affrettò a seppellirlo. Deponendolo dalla croce e avvolgendolo in un
lenzuolo con un’affrettata imbalsamazione di aromi, lo chiuse in un sepolcro
nuovo, scavato nel masso, dove nessuno ancora era stato sepolto. Le pie donne
osservarono tutto, perché avevano intenzione di curare esse, meglio, quel Corpo
divino, appena fosse passato il sabato. Prepararono, infatti, aromi e unguenti,
ed attesero con ansia il primo giorno dopo il sabato, per compiere il loro
ufficio pietoso.
Sepolto Gesù, gli Ebrei crederono averne trionfato per sempre; ma,
proprio in quella morte, stava il suo trionfo, e Dio, deridendo i vani disegni
degli uomini, utilizzò la loro stessa malvagità per compiere i suoi. La croce,
scelta apposta come supplizio infamante per distruggere ogni prestigio del
Redentore, diventò per i secoli, invece, il trono del suo immenso amore; e il
sepolcro, suggellato perché mai più si fosse parlato di Lui, divenne il
piedistallo della sua gloria per i secoli, poiché, risorgendo, Egli confermò la
sua missione divina e diede l’argomento inconfutabile della sua divinità, come
della sua vera umanità.
Adoriamo
i disegni di Dio e, riconoscendo nel Crocifisso il nostro Re morto per i nostri
peccati, percuotiamoci il petto e diciamogli, piangendo: Sii propizio verso
di me povero peccatorePadre Dolindo Ruotolo
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