Commento al Vangelo:
IV Domenica di Pasqua C 2013 (Gv 13,31a.34-35)
Il traditore svelato. Il nuovo comandamento
Giuda uscì
dal cenacolo ed era notte, dice il Sacro Testo; notte naturale nel
luogo, e notte nell’anima del traditore, figlio delle tenebre che usciva per
andare incontro all’abisso e alla notte eterna della perdizione.
Era
invece luce fulgente nell’anima di Gesù, erano splendori di fiamma nel suo ardentissimo
Cuore, ed Egli, vedendo che stava per compiersi il suo desiderio ardente
d’immolarsi per la gloria di Dio e per la salvezza di tutti, esclamò: Ora il
Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in Lui. Se Dio
è stato glorificato in Lui anche Dio lo glorificherà in se stesso, e lo
glorificherà presto. Psicologicamente, se può dirsi così trattandosi di
Gesù, nella sua umanità Egli ebbe un tale schianto per la partenza di Giuda che
per non venir meno ebbe bisogno di volgersi ai grandi fini della redenzione.
Dal contesto si rileva che il suo Cuore era sommamente intenerito, chiamando i
suoi apostoli figliolini miei; ora la tenerezza paterna, anzi diremmo
materna, gli fece sentire nel Cuore uno strappo angoscioso per Giuda e, quasi
per dominarsi e non apparirne vinto, per non contristare i suoi apostoli e per
dare al suo Cuore che scoppiava d’angoscia uno sfogo d’amore, Egli riguardò la
gloria che avrebbe avuto Lui stesso morendo, e che sarebbe ridondata nel Padre
col suo sacrificio.
Nell’enfasi
del suo amore, guardò al futuro come ad un fatto già avvenuto, e usò il tempo
presente nelle sue parole: Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e
Dio è stato glorificato in Lui. Egli, in realtà, si era già offerto
eucaristicamente, e la sua santissima Umanità era stata glorificata sommamente
in quel mistero d’amore, diventando cibo di vita. Il Corpo e il Sangue, allora
ancora mortali, erano diventati Cibo e Bevanda di vita immortale ed eterna per
tutti gli uomini in tutti i secoli. Non c’era un’incorruttibilità più grande,
un’elevazione più sublime e un regno più universale, come non c’era una glorificazione
più grande di Dio in un sacrificio che era identico a quello del Calvario, ma
non era consumato dall’irruzione dell’empietà e dalla scelleratezza dei
carnefici, bensì dall’amore più grande che potesse elevarsi innanzi a Dio e
dalla fiamma più ardente di carità.
Nell’impeto
del suo amore, Gesù soggiunse: Se Dio è
stato glorificato in lui cioè nel Figlio dell’uomo, anche Dio lo
glorificherà in se stesso, e lo glorificherà presto. L’offerta che Gesù
aveva fatta di se stesso al Padre e la sua volontà d’immolarsi era già una
glorificazione piena di Dio; l’imminente sacrificio del Golgota, in realtà, non
era che la consumazione. La vittima per onorare Dio doveva essere consumata,
perché un agnello non poteva offrirsi con la volontà; ma la Vittima divina era
già offerta nell’atto della sua volontà, e Dio, anche prima del sacrificio del
Calvario, ne era stato glorificato. Ora, come Gesù aveva glorificato il Padre,
e come avrebbe consumato questa sua glorificazione sulla croce, così il Padre
l’avrebbe glorificato in se stesso, elevandolo alla sua destra, cioè nello splendore
della divina gloria e facendolo Re di tutto l’universo.
Questa
glorificazione sarebbe avvenuta presto nell’Ascensione al cielo, e nella dilatazione
della Chiesa e sarebbe avvenuta anche sul Calvario, per i grandi prodigi che avrebbero
accompagnato la sua morte.
Agli
occhi degli uomini, infatti, la croce fu obbrobrio, ma agli occhi di Dio fu grande
glorificazione, perché, sotto l’umiliazione tremenda e gli spasimi atroci,
rifulgeva la potenza di Gesù Cristo, vittorioso del peccato e di satana,
splendeva la sua sapienza infinita, e ardeva il suo amore; la stessa
dolorosissima immolazione era come una fiamma di santità e un profumo di
preghiera che mai da nessuna creatura s’erano elevati a Dio, poiché erano
carità e preghiera divina. Il Signore, dando alla morte il suo Figlio, il suo
Verbo Incarnato, lo glorificava nello splendore di quella medesima umanità
torturata che attraverso i dolori dava i frutti più belli e più grandi, ed era
come vita lussureggiante di grappoli maturi, e come campo ripieno di messe.
La gloria della croce
È proprio
quello che avviene in piccolo nelle anime immolate, vilipese, calunniate e
colme di dolori anche nel loro corpo. Il dolore e la croce sono gloria
incomparabile quando diventano un’offerta dell’amore; attraverso il dolore
rifulge tutta la bellezza dell’anima, e splende mirabilmente la grazia che
l’adorna.
Mai l’anima,
su questa terra, è così glorificata innanzi a Dio che quando agonizza, è
disprezzata dal mondo, è ridotta come un verme innanzi ai superbi, è considerata
come stravagante, ed è crocifissa dal dolore. Allora è tutta luce, tutta sapienza,
tutta amore, ed elevata negli splendori della grazia forma la compiacenza di
Dio. Il mondo questo non lo capisce, e giunge a credere che Dio si diletti di veder
soffrire, mentre Dio si diletta solo di glorificare la sua creatura,
preparandole, poi, una più grande glorificazione in se stesso, nella felicità
eterna. Il Signore, in questo campo d’amore sconosciuto alla carne e al sangue,
non può curarsi degli apprezzamenti della carne e del sangue, come non si cura
della critica di uno stolto che pone le pietre nel crogiuolo per trarne l’oro
liberandole dal terriccio che l’offusca. Per questo non c’è atto più sapiente,
in questa vita di prove affannose, e molto più nella vita di elevazioni
mistiche, quanto quello di unirsi alla divina volontà, e accettare il dolore
con gioia, in unione dell’esultanza del Redentore che, tradito da Giuda, nella
certezza dell’imminente Passione, non vide che la glorificazione di Dio, e la
gloria che sarebbe ridondata alla sua stessa umanità, secondo quello che dice
san Paolo: Proposito sibi gaudio sustinuit cruce (Eb 12,2).
Il comandamento nuovo
Gesù Cristo,
parlando della glorificazione di Dio, sapeva di parlare della morte alla quale
andava incontro, e s’intenerì immensamente per i suoi apostoli che sapeva di dover
lasciare dopo poco tempo. Perciò disse con grande amore, compiangendoli: Figliolini,
per poco tempo ancora sono con voi. Voi mi cercherete ma, come dissi ai Giudei,
dove vado io voi non potete venire, anche a voi lo dico adesso.
Egli
aveva, però, promesso un’altra volta di dimorare fra quelli che sarebbero stati
congregati nel suo Nome, e diede loro il grande segreto per averlo ancora fra
loro e per sentire meno il dolore della sua assenza fisica, dicendo: Vi do
un nuovo comandamento che vi amiate l’un l’altro che vi amiate anche voi l’un
l’altro come io vi ho amati. Da questo, tutti conosceranno che siete miei
discepoli, se avrete amore l’uno per l’altro. La carità scambievole
l’avrebbe conservato in mezzo a loro, anche quando non avrebbero potuto averlo
sacramentalmente, ed avrebbe conservato, in loro, l’unione e l’armonia per
poter sentire meno la pena del suo distacco. Essi dovevano amarsi come Egli li
aveva amati, senza interesse, e immolandosi gli uni per gli altri; dovevano
avere l’amore reciproco come caratteristica particolare d’esser suoi seguaci, e
risplendere nella carità in mezzo al mondo che dovevano evangelizzare.Padre Dolindo Ruotolo
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