sabato 6 luglio 2013

Gesù istruisce i settantadue discepoli


Gesù istruisce i settantadue discepoli
        Avvicinandosi il termine della sua missione, Gesù Cristo volle moltiplicare i ministri della sua parola per divulgarla in tutta la Palestina con maggiore sollecitudine, ed elesse settantadue discepoli, ai quali diede speciali facoltà. Essi non erano al medesimo grado degli apostoli, ma immediatamente inferiori, e poiché gli apostoli erano i primi vescovi del mondo, con a capo san Pietro, i discepoli eletti ne erano come i sacerdoti. La gerarchia così cominciò a formarsi sotto la direzione di Gesù stesso: Lui, Capo di tutti, san Pietro capo degli apostoli e suo vicario per essi e per la Chiesa, i settantadue discepoli cooperatori immediati suoi e degli apostoli. Egli li mandò, infatti, in ogni città dove stava per andare, per preparare le anime alla sua venuta, e li dispose a questa missione con salutari precetti.
        Prima di tutto ispirò loro la sollecitudine per le anime, dicendo: La messe è molta e gli operai sono pochi. Essi erano pochi e le anime da curare moltissime, quasi messe che doveva raccogliersi; dovevano perciò avere una grande sollecitudine nel lavorare e non preoccuparsi delle loro comodità. Erano pochi, e perché Gesù non ne aveva eletti di più? Perché la vocazione e l’attitudine ad una missione soprannaturale sono frutto di grazie che non tutti accettano e, per riceverle e corrispondervi, bisogna pregare intensamente.
        È il Signore che manda gli operai nella sua vigna, e Gesù stesso elesse gli apostoli e i discepoli dopo lunghe preghiere al Padre. La preghiera è nelle nostre mani come la nostra onnipotenza, e Dio ce ne rende capaci e la richiede perché anche noi cooperiamo alle grandi opere del suo amore. Egli potrebbe formare anche dalle pietre i figli di Abramo, ma vuole che noi cooperiamo sia all’elezione di quelli che debbono essere ministri della loro formazione, sia alla loro salvezza. Questa grande legge d’amore e di fecondità ci mostra quanto Dio ci ami, e quanto delicatamente rispetti la nostra libertà e la grande dignità che Egli ci ha dato.

Come agnelli fra i lupi
        I discepoli eletti dovevano andare a predicare la divina Parola non solo per salvare le anime, ma anche per suscitare in esse i continuatori dell’opera loro; per ottenere questo, dovevano pregare Dio a moltiplicare la vocazione dei suoi ministri futuri. La Chiesa, infatti, doveva essere tutta un campo di apostolato e in essa doveva esserci, più che nelle nazioni, il problema demografico spirituale, per così dire. Non si poteva in essa fare un’opera santa e lasciarla come un frutto maturo; era necessario farla germinare e continuare, e quindi preoccuparsi di ottenere da Dio chi avesse potuto continuarla.
        A che servirebbe seminare un campo e ricavarne il frutto senza la semente? Le anime conquistate alla fede sono i frutti della vigna di Dio, i sacerdoti ne sono come le sementi, poiché essi fanno germinare continuamente, con l’aiuto di Dio, le nuove piante.
        La messe cresce non per la potenza dell’agricoltore, ma per la feracità che Dio ha dato alla terra; però, se l’agricoltore non la coltiva e non la raccoglie, essa marcisce; ora andare in nome di Dio a seminare la divina Parola nelle anime comportava anche il preoccuparsi di conservarne e moltiplicarne il frutto, e perciò Gesù, rivolgendosi non solo ai discepoli, ma alla Chiesa di tutti i secoli, disse: Pregate il padrone della messe che mandi operai per la sua messe.
        Gesù mandando i suoi discepoli, fece ponderare loro la grande difficoltà del loro ministero, dicendo: Andate, io vi mando come agnelli fra i lupi. Essi non andavano a fare una raccolta pacifica come chi con la falce taglia i covoni del grano: andavano di fronte ad anime colme di miserie e agitate da passioni. Essi dovevano vincere le loro resistenze non affrontandole con la violenza ma conquidendole con la mansuetudine e la bontà.
        Questo è un carattere fondamentale e costante nell’apostolato della Chiesa; qualunque deviazione in questo campo produce solo rovina nelle anime.
        È l’esperienza quotidiana che lo conferma, ed è mirabile che la Chiesa vi sia stata sempre fedele nei suoi grandi e santi ministri dell’apostolato e della gerarchia.
        Le anime traviate hanno in sé veramente qualche cosa di feroce e di terribile, e il rassomigliarle ai lupi è precisissimo: sono indomabili, avide, aggressive, prepotenti, violente e spesso hanno a loro disposizione i mezzi materiali per resistere anche a mano armata e per spingersi alle più violente aggressioni.
        Così avvenne nella nazione ebraica, così in quelle pagane, quando cominciò a propagarsi il cristianesimo, e così nelle nazioni moderne più o meno apostate da Dio, e tante volte più barbare, feroci e aggressive di quelle pagane.
        La Chiesa non conosce per esse l’irruenza e la forza, anche a costo di apparire sopraffatta o vinta, anche a costo di alienarsi l’animo di quelli che amerebbero vedere in lei i colpi di forza.
        Essa contrasta diametralmente con le generazioni moderne, abituate dalla tenera età alla violenza; rimane fedele al precetto fondamentale e, diremmo, costituzionale del suo divino Fondatore, e avanza sempre come agnella tra i lupi.
        È poi, una gloria della Chiesa la pacata e solenne voce del Papa nei momenti più tragici internazionali, e la serena oggettività della diplomazia vaticana. Il mondo, di fronte a lei, è certamente un lupo, e un lupo rapace e sanguinario, ma è un dato di fatto che, alla fine, rimane sempre vinto dalla mansueta e dignitosa calma della Chiesa.

Per i missionari, povertà, semplicità,

fiducia nella provvidenza

        Dopo aver determinato con una parola sinteticamente divina la natura della missione dei discepoli, e quindi della Chiesa, Gesù Cristo fa loro delle raccomandazioni riguardanti l’atteggiamento che dovevano avere nella scelta dei mezzi d’azione. Egli esemplifica secondo la mentalità che avevano i discepoli, e in fondo vuole che essi prescindano da tutto ciò che è prestigio umano o speranza nelle proprie forze: Non portate né sacca né bisaccia né calzari, e per la strada non salutate nessuno, cioè non andate in giro come mercanti o come viaggiatori di ventura, provvisti di bagaglio né vi soffermate a chiacchierare con gli altri come chi va a diporto; andare poveramente, raccolti e silenziosi, come chi sa di andare a compiere una missione sacra.
        I discepoli avevano ancora una semplicità primitiva, e Gesù dice loro, con esempi, di non portare nulla di superfluo, com’è evidente dal contesto né oggetti di ricambio, affidandosi completamente alla provvidenza. È chiaro che essi potevano portare quello che avevano addosso come uso personale, e che potevano salutare per carità o per cortesia, senza attaccare ciarle inutili, quelli che avrebbero incontrati.
        Se si mette a confronto il modo povero col quale i missionari cattolici intraprendono i loro viaggi e quello ricercato dei propagandisti settari, si capisce anche meglio il senso profondo delle esortazioni del Signore. Il missionario viaggia come un poverello e porta con sé il tesoro delle divine ricchezze. Gli altri viaggiano da gran signori e portano con sé il misero bagaglio dei loro errori e della loro avversione alla Chiesa. Viaggiano come turisti, portano con sé mogli e figli, ricercano tutte le comodità della vita; questo solo dovrebbe bastare a distinguerli dai veri messaggeri della verità e del Vangelo.
        Gesù Cristo vuole che i suoi discepoli vadano come apportatori di pace e con un programma di bontà. Essi, infatti, vanno a salvare le anime, a riconciliarle con Dio e a ridonare loro la pace della coscienza. Tutto il ministero sacro si risolve in una questione di pace, e il suo frutto è frutto di pace. Chi lo rifiuta, rifiuta la pace, e questa, logicamente, ritorna al banditore della verità, il quale può rimanere tranquillo di aver fatto il suo dovere, e contento di averne avuto il merito.
        L’espressione di Gesù, un po’ oscura in apparenza, è invece profondissima e psicologica: chi compie una missione naturale e col fine della gloria o del vantaggio temporale, cerca, logicamente, di riuscirvi, e si accora, o addirittura si dispera dell’insuccesso. Tutto quello che dà o tutto quello che compie è perduto quando non raggiunge il fine che si è proposto; egli allora, benché senza sua colpa, sa di meritare solo una nota di biasimo e si riguarda come un fallito.
        Nel ministero sacro, invece, non è così: chi vi lavora, lo fa principalmente per la gloria di Dio, e conseguentemente per la salvezza delle anime. Il suo lavoro di pace diventa frutto salutare per quelle che ne profittano, e rimane in loro. Se esse non ne fanno conto e lo rifiutano, il lavoro non è perduto, perché rimane come merito in chi lo compie, e si può dire veramente che ritorna a lui. Egli non è un fallito né ha motivo di riguardarsi come un inutile ingombro nella casa di Dio: voleva principalmente lavorare per Lui, e l’ha glorificato; voleva obbedire al mandato avuto, e l’ha compiuto, per quanto era nelle sue possibilità; voleva anche, legittimamente, guadagnarsi un merito per la vita eterna, e l’ha guadagnato; non gli rimane, dunque che rimanere nella pace, pur accorandosi della ripulsa avuta dalle anime che avrebbe voluto salvare.
        Il ministro della divina Parola, di conseguenza, deve avere sempre e costantemente il pensiero e il desiderio di glorificare Dio nel suo apostolato, se non vuole perdere tempo; né deve agitarsi dell’insuccesso pratico in certe anime, contentandosi di pregare intensamente per loro, affinché la misericordia di Dio le conquida e le salvi.
        Le anime oppongono mille ostacoli e difficoltà alla loro salvezza, e illuminarle o rinnovarle è un problema veramente arduo, e una lotta veramente epica. L’orgoglio le spinge a resistere all’invito della grazia, l’ignoranza ostinata o la mala fede le rende illogicamente resistenti; le fisime personali – e ne hanno tante –, le rende a volte imprendibili. Se si parla loro quando sono prese da un impeto di passione, in qualunque campo, e soprattutto in quello dell’impurità o dell’ira, sono irriducibili, e giungono fino alla resistenza violenta; se si vuole indurre in loro il desiderio di un atto di perfezione, vi ripugnano in tutti i modi quando non coincide con le loro inclinazioni. Hanno a volte l’intelletto deviato da uno squilibrio e non ammettono ragioni, la volontà pietrificata in un’aspirazione falsa e non tollerano contraddizioni, il cuore impigliato in una rete d’inganni e non vogliono esserne districate; sono schiave e vogliono rimanere tali. Allora la premura per salvarle le urta, l’insistenza le adira, la bontà sembra loro peggiore dell’inimicizia, disprezzano tutto quello che si fa per loro e fuggono dalle vie della salvezza.
        In questi combattimenti ardui che sarebbero capaci di consumare l’anima e il corpo di un ministro di Dio o di uno dedicato all’apostolato, la parola di Gesù è di sommo conforto: quello che si fa non si perde, anzi, nell’economia della grazia, ritorna a chi opera il bene; ritorna, nel più stretto senso, come esperienza, come spinta ad una maggiore vigilanza su di sé, come incitamento maggiore a pregare, a mortificarsi, a vincersi, e anche a ritentare la prova; ritorna come un’attività più preparata per altre anime da evangelizzare.
I discepoli ritornano dalla loro missione
        Il Sacro Testo non ci dice nulla di quello che fecero i discepoli nella loro missione, accenna solo alla loro gioia nell’aver constatato la potenza del Nome di Gesù, innanzi al quale anche i demoni avevano tremato.
        Essi ne parlarono al Maestro divino con esultanza, credendo di annunciargli una cosa a lui sconosciuta, ma Egli mostrò di averli seguiti con la sua onniscienza, e soggiunse: Vedevo satana cadere dal cielo come folgore, cioè quando voi l’avete cacciato, l’ho visto scosso dalla sua tenebrosa potenza e inabissarsi come folgore. Satana precipitò come folgore dal cielo quando miseramente cadde dal suo splendore, ma nel suo spaventoso orgoglio pretende ancora di elevarsi e si serve delle sue potenze naturali per affermare la sua pretesa grandezza.
        Quanti fenomeni, che noi crediamo puramente naturali, sono provocati o intensificati da lui, per tentare di nuocere corporalmente all’uomo con i disastri e i cataclismi, e spiritualmente attanagliandolo di più alla materia! Noi ridiamo di quei nostri vecchi antichi che in tante scoperte e invenzioni moderne, vedevano la turpe mano di satana, eppure essi potevano anche avere ragione.
        Un grande scrittore moderno francese, e per di più, a sua vergogna miscredente, ha detto: «Solo una mente superficiale può non accorgersi del tremendo lavoro di satana in tutte le scoperte moderne, per sottrarre l’uomo alla vita dello spirito».
        L’umanità è sempre più avvinta dalla materia, ed è tanto assediata da satana per molte delle scoperte moderne che non si riesce più a vedere come possa rompere questi fili d’acciaio spinato, e riconquistare la libertà dello spirito. La nostra spaventosa superficialità non ce lo fa considerare: cinema, radio, televisione, macchine formidabili, aeroplani, ecc., sono – o per lo meno possono essere –, nei fini di satana, mezzi di materializzazione dell’uomo.
        All’idolatria, data ai popoli semplici e primitivi come mezzo per inclinarli alla materia, satana sostituisce le potenti manifestazioni della materia. La potenza che illusoriamente faceva supporre nell’idolo, per impressionare l’uomo e indurlo all’adorazione della materia, ora la manifesta nelle applicazioni della materia, e induce i popoli progrediti a tale scellerata idolatria da ottenere, come in Russia, templi elevati alla macchina, al motore, ecc. Satana, in questi suoi effimeri trionfi, ha illusione di stare in alto, nel nostro cielo terreno, quasi da dominatore e, ogni volta che è vinto dallo spirito e dalla grazia, egli cade come folgore, perché la sua supposta potenza è come scarica elettrica che s’inabissa nella terra al contatto dell’altro polo.
        Se si pensa che l’elettricità è il segreto di tante scoperte per lo meno sfruttate da satana contro Dio, si capisce anche di più perché Gesù Cristo ha paragonato lo spirito maligno alla folgore; satana simula quasi lo spirito attraverso l’elettricità, e induce negli uomini l’idea letale, ultra materialistica che le manifestazioni spirituali e divine siano effetti dell’elettricità; in tal modo è riuscito a ridurre tanti uomini e tanti falsi scienziati nella più bassa e degradante idolatria.
         Bisogna essere sommamente vigilanti e attaccarsi scrupolosamente alla Chiesa in questi tempi, per non deviare dal giusto cammino; anche se satana dovesse farci temere di essere retrogradi, anche se, per ipotesi, dovessimo errare in un ritrovato della scienza e rifiutare una sua indagine o scoperta, è mille volte più importante salvaguardare in noi il sacro deposito delle verità eterne che una qualunque verità naturale, perché le verità eterne ci inducono a Dio, e alla gloria immortale, mentre le verità naturali ci conducono, tutt’al più, ad una sterile speculazione o ad una povera applicazione che è travolta dal tempo e che un giorno sarà consunta dal fuoco.
Don Dolindo Ruotolo

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