Commento al Vangelo della XV Domenica TO 2013 C (Lc 25,37)
San Camillo de Lellis
Amare Dio e il prossimo
Un
dottore della Legge che seguiva Gesù per scrutarlo, e forse per vigilarlo,
ascoltando le sue allusioni al compimento della speranza dei re e dei profeti e
alla beatitudine di quelli che vi prendevano parte, volle metterlo alla
prova, cioè con una
domanda schiettamente spirituale. Egli volle vedere quali nuove teorie avesse
insegnato in contrasto con le antiche. Il momento psicologico, diciamo così,
del dottore fu questo: Gesù parlava del compimento del regno messianico, ma non
diceva esplicitamente in quel momento che il Messia era Lui; il dottore volle
scrutare quale fosse il suo preciso pensiero e domandò che cosa dovesse fare
per possedere la vita eterna, per
dissimulare la sua intenzione di scrutarlo e per vedere, dopo questa prima
domanda, quale nuova concezione Egli avesse del regno trionfante d’Israele e in
qual modo se ne dichiarasse propagatore.
Il
dottore domandò: Maestro che devo fare per possedere la vita eterna? Si
aspettava da Gesù una nuova esposizione di vie peregrine di salvezza e si aspettava
che gli dicesse: «Devi credere in me, devi seguirmi, devi servirmi». Le parole
di Gesù – ripetiamolo per maggior chiarezza –, che alludevano a nuove
rivelazioni fatte ai piccoli, alla conoscenza del Padre per il Figlio e del
Figlio per il Padre e alla beatitudine di chi assisteva al compimento delle
antiche promesse, figure e profezie, gli erano sembrate estremamente presuntuose,
e sperò, con questa domanda sulla vita eterna, di metterlo alla prova, cioè alle strette, fargli
confessare il suo pensiero, e poi costringerlo a riconoscerne la falsità, secondo
lui.
Gesù,
però, non era venuto per distruggere la Legge ma per compierla e, invece di annunciare
cose nuove, domandò Egli stesso al dottore che cosa stesse scritto nella Legge,
rimandandolo così, per la risposta, a quello che Dio aveva già detto, e
soggiunse: Come vi leggi tu? Che cosa cioè vi sta scritto su questa questione
fondamentale, e come intendi ed interpreti la Parola di Dio? Il dottore rispose, citando
quel precetto della Legge che gli Ebrei solevano recitare mattina e sera e che
conoscevano benissimo: Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore con
tutta la tua anima, con tutte le tue forze, e con tutta la tua mente e il tuo
prossimo come te stesso (Lv
19,18). Gesù gli soggiunse: Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai.
La
parabola del Samaritano
Il
dottore si sentì umiliato d’avergli domandato una cosa di così facile soluzione
e se ne sentì umiliato soprattutto innanzi al popolo che in quel momento
avrebbe potuto tacciarlo d’ignoranza; perciò volle giustificare la sua domanda,
dando ad intendere che aveva fatto quell’inter-rogazione per sapere chi era
il suo prossimo, cioè
verso chi avrebbe dovuto esercitare la carità. È evidente dal contesto che
egli, rimasto confuso nel dover rispondere una cosa elementare, cambiò discorso
con una nuova domanda che, in realtà, non aveva inteso fare nella sua prima
interrogazione.
Gesù
Cristo gli rispose con una parabola che probabilmente era un fatto realmente
avvenuto in quei giorni: un uomo israelita, recandosi da Gerusalemme a Gerico,
s’imbatté nei ladri. La strada che doveva fare era di circa 28 chilometri , e
attraversava un deserto che anche oggi è infestato dai ladri; quindi non fu un
caso straordinario per lui quella triste avventura. I ladri non solo lo
spogliarono di tutto, ma lo percossero e lo ferirono, lasciandolo mezzo morto
per terra.
Un sacerdote che veniva anch’egli da
Gerusalemme dopo aver prestato servizio al tempio, vide quell’infelice così
malconcio, e passò oltre, senza averne pietà. Non volle assumersi una
responsabilità né prendersi fastidi per uno a lui sconosciuto, dimenticando
che, come ministro di Dio, avrebbe dovuto usargli carità. Lo stesso fece anche
un levita: si fermò un po’ per curiosità, forse poté avere anche qualche parola
di commiserazione, ma poi andò oltre.
Passò,
poi, un Samaritano che viaggiava
– dice il Testo –; quindi può supporsi che andava per affari e,
ciononostante, sostò vicino al ferito, ne fasciò le piaghe, versandogli sopra,
per lenirne il bruciore, vino ed olio, come solevano fare gli antichi; lo
adagiò sul suo giumento e lo condusse all’albergo pubblico che doveva trovarsi
ai confini di Gerico per comodo dei pellegrini.
In
quel ricovero stette anch’egli durante la notte e prese personalmente cura del
ferito; poi, dovendo partire il giorno seguente, lo lasciò affidato alle cure
dell’oste, pagandogli due denari, e promettendogli di dargli, al ritorno, tutto
quello che avrebbe potuto spendere in più. Gesù soggiunse, rivolto al dottore
della Legge: Chi di questi tre ti sembra essere stato prossimo per colui che
s’imbatté nei ladroni? E quegli rispose: Colui che gli usò misericordia.
Replicò Gesù: Va’ e fa’ anche tu lo stesso.
Il
Redentore volle dare una lezione delicata al dottore della legge.
I
Samaritani erano odiati dagli Ebrei, e li ripagavano di pari avversione; eppure
un Samaritano curò un ebreo; avrebbe fatto lo stesso un ebreo per un Samaritano?
Certamente
no, perché né un sacerdote né un levita sentirono pietà di un loro
connazionale, pur avendo cura delle anime per il loro sacro ministero.
È
prossimo dunque a chi soffre chi gli usa pietà e lo aiuta, ed è, di conseguenza,
prossimo a chi sta bene qualunque uomo che soffra, senza distinzione di
nazionalità, di razze o di religione. Il dolore stabilisce una santa fratellanza
tra gli uomini: quella della scambievole carità, e poiché il dolore regna
sovrano nell’esilio, è necessario abbattere le barriere delle divisioni sociali
e darci tutti l’abbraccio della carità che è il più saldo legame di pace tra le
nazioni.
Noi
viviamo in tempi ipocriti e crudeli, nei quali si abbonda di parole, di
assistenza sociale e di iniziative per praticarla, ma si manca di carità perché
l’assistenza diventa burocrazia, e si limita a pochi privilegiati dagli
intrighi e dalle influenze, lasciando nello squallore quelli che veramente
soffrono, e disprezzando quelli che si considerano estranei.
L’assistenza
praticamente è una burla, sia pure involontaria, perché manca della base vera
della carità, ispirata dall’amore di Dio. Se non si ama il Signore, non si fa
la carità per Lui e sotto l’impulso della sua grazia; non si vede la ragione
per la quale si deve beneficare il prossimo, perché, non guardandolo in Dio, il
prossimo, in realtà, ci è estraneo, e può esserci anche avversario.
Oh,
se il mondo, invece di perdere tempo in vane iniziative naturali per diminuire
i dolori umani, amasse Dio e facesse venire dall’alto la vivificante rugiada
della carità! Oh, se gli uomini si persuadessero che ogni iniziativa ispirata a
vedute di civiltà e non a Dio è inesorabilmente destinata ad essere divorata
dalla frode e dall’egoismo!
Le opere di assistenza si moltiplicano a
basi fiscali e non a base di amorosa carità, e praticamente danno un frutto
estremamente meschino, e a volte anche opposto alle loro finalità, perché
divorate dai succhioni e dai malversatori.
La
terra ha il sole come luce dei suoi giorni, e la luna come splendore delle sue
notti; la nostra vita ha come sole l’amore a Dio, e come luna nella notte delle
sventure l’amore al prossimo, riflesso dell’amore a Dio. Non si può concepire
una vita diversa né si può pretendere che la pace e il benessere spirituale,
corporale ed eterno possa venire da altre fonti. Non c’è alcun surrogato
dell’amore di Dio, e dov’esso manca c’è la desolazione e la notte di una morte
perenne.
L’umanità
e le nazioni hanno fatto mille esperimenti più o meno cervellotici per raggiungere
un grado soddisfacente di benessere nella vita, ma non hanno fatto ancora il
pieno esperimento di convertirsi veramente a Dio, amandolo con tutto il cuore e
glorificandolo con tutte le attività della propria vita.
Sorga,
o Signore, sulla nostra valle desolata questo sole fulgente, si accenda nei
cuori un amore vero e profondo a te, e fiorirà tra gli uomini la carità e la
pace, il benessere temporale ed eterno.
Devi
venire Tu, o Gesù a sanarci, e Tu non puoi venire se l’amor nostro non ti
chiama.
Tu
sei il pietoso Samaritano che sei venuto a sanarci, redimendoci, e ci hai
condotti nella tua Chiesa per farci trovare la salvezza, e Tu puoi oggi venire
sul nostro cammino, risanare le nostre piaghe e ridonarci la vita nella tua Chiesa.
Tu hai
pagato una volta il prezzo del nostro riscatto, e Tu ce lo applichi
continuamente per sottrarci alle ferite della nostra corrotta natura, Tu,
dunque, puoi ancora salvarci, solo che noi ti amiamo veramente e ti attestiamo
l’amore con una vita santa, perfettamente cristiana e pienamente conforme alle
disposizioni della tua adorabile volontà.
Padre Dolindo Ruotolo
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