Commento al Vangelo della XXXI Domenica TO 2013 C (Lc 19,1-10)
Zaccheo
Per andare verso Gerusalemme, Gesù,
continuando nel suo cammino, attraversò Gerico. La fama dei miracoli da Lui
operati, e specialmente quella dei ciechi ai quali aveva ridonato la vista,
suscitò grande entusiasmo nella città, e il popolo gli si affollò
straordinariamente intorno. Ora, vi era in Gerico un capo dei doganieri
pubblici, il quale, sentendo che passava Gesù, corse e si mescolò prima tra la
folla nella speranza di vedere chi fosse. Egli era Ebreo, come si rileva
dal suo stesso nome ebraico Zakkai
che significa puro, giusto,
e come Ebreo aveva anch’egli la speranza del Redentore futuro; volle
vedere Gesù, dunque non per una semplice curiosità, ma per osservare chi
fosse, cioè se
avesse qualche cosa di straordinario che potesse farlo riconoscere come il
Messia promesso.
Zaccheo, capo dei doganieri o
pubblicano, esosi esattori delle gabelle romane che facevano mille soprusi al
popolo, era riguardato come un peccatore più degli altri. Piccolo di statura,
doveva essere molto scaltro e intelligente per stare in un posto di
responsabilità che faceva correre anche rischi di aggressioni da parte degli
angariati, e richiedeva una mano ferma per tenere disciplinati i suoi
subalterni. Doveva avere, però, un buon fondo di rettitudine, come appare dal
modo col quale accolse la grazia di Dio, e un’anima semplice, come può
rilevarsi dal gesto che fece per vedere Gesù.
Piccolo di statura ma svelto e nel pieno
vigore delle forze, come si rileva dal suo gesto, non potendo in nessun modo
farsi largo tra la folla né scorgere Gesù da lontano, da uomo pratico com’era,
ebbe un’idea geniale: corse avanti per dove doveva passare Gesù e, visto un
albero di sicomoro, vi si arrampicò e vi stette per osservare a suo agio il
Maestro divino.
Il sicomoro si prestava a fargli da
stazione di osservazione, perché ha i rami quasi orizzontali e non è molto
alto; egli, dunque, si appoggiò comodamente ai rami e attese. Notò l’ondeggiare
della folla e dall’alto, forse, non gli sfuggì la miseria di quel popolo
angariato; ciò può supporsi dalla risoluzione che prese, sotto l’influsso della
grazia, di dare ai poveri metà dei suoi beni.
La grazia non opera mai a salti
nell’anima nostra e poté utilizzare l’ispezione che Zaccheo fece del popolo
dall’alto dell’albero.
Appena Gesù passò per quel luogo, alzò
gli occhi e, visto Zaccheo, si fermò e lo invitò a scendere, dicendogli che gli
occorreva fermarsi nella sua casa. Zaccheo apprezzò l’onore altissimo che gli
veniva fatto e, scendendo in fretta, lo accolse con grande gioia. La sua dimora
non doveva essere molto lontana, e tutto il popolo, vedendo che Gesù era andato
da un uomo peccatore, cominciò a mormorare. Eppure avrebbe dovuto esaltare Gesù
e ringraziarlo, perché la conversione di Zaccheo fu di immediato vantaggio per
i poveri e per tutti quelli che erano stati angariati da lui. È evidente che
Gesù andò da quel peccatore per convertirlo e disse che gli occorreva
fermarsi in casa sua, perché
voleva spingerlo a regolare le ingiustizie che aveva commesse.
Non ebbe bisogno di parlargli: gli bastò
visitarlo e, poiché Zaccheo aveva accolto il suo primo invito, accolse con
prontezza anche quello che gli faceva dell’anima, e disse: Ecco, o Signore,
io do la metà dei miei beni ai poveri e se ho frodato qualcuno gli rendo il
quadruplo. Al contatto con Gesù sentì una grande carità per i poveri e,
poiché Gesù era andato da lui per perorare la causa dei diseredati e degli
angariati, egli sentì nel suo cuore il calore di quella fiamma di bontà e si
sentì tutto trasformato. Diventò prodigo nella carità ed esuberante nella
giustizia; diede metà di quello che gli apparteneva e riparò al quadruplo
quello che aveva frodato.
Con questo, Zaccheo si mostrò pentito
non solo dei peccati contro la giustizia, ma di tutti quelli che aveva fatto;
col suo esempio trasse tutta la sua famiglia a seguire Gesù, riconoscendolo
come Messia, accettò la salvezza che veniva da Lui, e perciò Gesù disse, con
accento di grande soddisfazione, che la
salvezza era venuta per quella casa, formando del suo capo un vero figlio di
Abramo. Era venuto a cercare e salvare ciò che era perduto, e il suo Cuore
divino esultava, accogliendo un’intera famiglia a salvezza.
Oppressi dal mondo siamo impotenti a vedere le cose celesti
Gesù
attraversò Gerico, una città di commercio, e colui che rappresentava in certo
modo il movimento di quel traffico, come capo dei doganieri, era piccolo di
statura e non poteva vederlo, per la folla. Si può dire che il concentrarci nei
guadagni e negli affari temporali senza occuparci del nostro ultimo fine ci
renda piccoli di statura spirituale, incapaci di elevarci alle cose celesti, e
oppressi dalla moltitudine degli affari come da folla tumultuante. Non è
possibile vedere Gesù in questa deprecabile piccolezza e bisogna ascendere più
in alto, facendo uno sforzo per staccarsi dalle cose terrene. Un primo atto di
virtù, una rinuncia, un fioretto, anche minimo, offerto a Dio, può elevare d’un
tratto la nostra statura spirituale, farci vedere Gesù e metterci sotto il suo
sguardo per ottenere da Lui grazia e misericordia.
Gesù
c’invita a riceverlo nella nostra casa, comunicandoci di Lui Sacramentato. È
allora che Egli viene a noi per portarci la salvezza e la santificazione. Con
infinito amore, Egli c’invita dal santo tabernacolo e, standovi come cibo e
bevanda, ci dice veramente: Mi occorre fermarmi nella tua casa. Scendiamo
presto dalle povere alture della vita terrena e andiamo a Gesù, ricevendolo con
gioia, come nostro
unico bene e unica vita. Dilatiamo il cuore nella carità, affinché la bontà di
Dio ci ricolmi di grazie, e ripariamo le colpe commesse affinché ci usi misericordia.
Padre Dolindo Ruotolo
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