Commento al Vangelo – Epifania del Signore 2014 A
I Magi, l’adorazione del nato Redentore
Quando nacque Gesù Cristo, regnava nella Giudea
Erode, chiamato il Grande, si
direbbe per una storica ironia, perché se fece molti lavori pubblici, fu un
crudelissimo tiranno, e ottenne il regno a furia d’intrighi col senato romano.
L’evangelista fa notare intenzionalmente che regnava Erode, un Idumeo straniero
che rappresentava per di più l’autorità dei Romani, per far notare che Gesù Cristo,
secondo la profezia di Giacobbe (cf Gn
49,10), era nato quando lo scettro regale era stato tolto a Giuda. Erode era
padre di quell’Erode, tetrarca della Galilea che fece poi decapitare il
Battista e schernì Gesù Cristo nella sua Passione. Alla sua morte, infatti, il
regno venne diviso dai Romani in quattro tetrarchie e dato ai suoi figli;
terminò così anche quella parvenza di regno che egli era riuscito a conquistare.
Gesù Cristo nacque a Betlemme di Giuda,
chiamata anche Efrata, piccola borgata situata a circa due ore di cammino a sud
di Gerusalemme. Vi era un’altra Betlemme situata nella tribù di Zabulon in
Galilea, e l’evangelista aggiunge al nome della città la regione cui
apparteneva, per mostrare che il Redentore era nato nella città di Davide come
suo discendente, e aveva compiuto, con la sua nascita, la profezia di Michea,
ricordata ad Erode stesso dai principi dei sacerdoti.
Non può dirsi con precisione da quanto
tempo era nato il Redentore, quando alcuni sapienti dell’oriente, chiamati
perciò con parola generica Magi,
si recarono a Gerusalemme per adorare il nato Re, essendo stati
chiamati alla sua culla da un astro fulgentissimo che era apparso nel cielo.
Questi Magi studiavano astrologia, e non
ignoravano la profezia di Balaam (cf Nm
24,17), con la quale si annunciava l’apparizione di una nuova stella in
Giacobbe alla nascita del promesso Messia. All’apparizione della stella che era
come una meteora luminosa, si sentirono internamente ispirati ad andare a Gerusalemme
per far ricerca del nato Re, e intrapresero il lungo viaggio. Essi venivano
probabilmente dall’Arabia e, secondo la comune tradizione, erano tre, sapienti
e principi, tenuti in grande considerazione nel loro paese. La stella quasi li
invitava al viaggio, perché si librava nell’atmosfera come un segno che
indicava la direzione del cammino da intraprendere, e mostrava di muoversi in
quella direzione. Non era dunque un astro che aveva un moto circolare, non poteva essere
un’illusione, non poteva essere un segno confondibile con un fenomeno sidereo
qualunque: era un segno celeste, una chiamata di Dio.
La fede dei Magi fu grande, perché il
viaggio non era facile, e fu grande soprannaturalmente, perché essi non
avrebbero avuto interesse ad andare a conoscere un neonato re, se non avessero
sentito e creduto che quel Re era il Salvatore promesso. Era la primizia dei
pagani che il Signore chiamava alla fede – come dice la Chiesa –, era la
rappresentanza del mondo che veniva a rendere omaggio all’Uomo Dio, e veniva a
scuotere un po’ l’indifferenza con la quale era stato ricevuto in terra che pur
lo aveva aspettato.
È evidente dalla Tradizione e dal
medesimo contesto del Vangelo che la stella li accompagnò durante il viaggio, e
che si eclissò forse quando entrarono nella terra d’Israele.
Dio che è infinita economia e non compie
opere superflue, fece eclissare il segno straordinario dove era possibile
essere guidati dai lumi naturali di chi stava al pubblico potere. Potrebbe
anche supporsi che le nubi avessero eclissato la meteora e che essa rimanesse
solo occultata nell’atmosfera. Comunque sia, i Magi, non sapendo dove andare,
si rivolsero al re Erode, come a colui che avrebbe dovuto essere informato
della nascita dell’atteso Messia. Con la semplicità che caratterizzava i popoli
orientali, essi domandarono dove fosse nato il re dei Giudei, avendo visto la
sua stella in oriente. Erode che aveva consumato tanti delitti per avere e
conservare il regno, fu costernato a questa notizia, perché sapeva benissimo
che gli Ebrei aspettavano un liberatore, e che da tutti si diceva prossimo
l’evento. Dissimulò, pertanto, il suo turbamento e, nel suo crudele animo, fece
già il piano di sbarazzarsi del nato Re, uccidendolo. Chiamò i capi delle
classi sacerdotali e i dottori della Legge, e domandò loro con insistenza dove
sarebbe dovuto nascere il Cristo. La sua domanda suscitò un turbamento in tutta
Gerusalemme, perché la carovana degli stranieri che vi erano giunti, l’annuncio
del compimento delle promesse, e forse soprattutto il timore della crudeltà del
tiranno, sconvolto dall’annuncio della nascita del re aspettato, faceva temere
al popolo qualche brutta sorpresa. L’ingratitudine umana, poi, non ha limiti,
dolorosamente; il popolo si era adattato al regime di oppressione e, come tutti
i popoli decaduti, preferiva rimanere supinamente oppresso, anziché venire in
urto con chi lo dominava.
Il Vangelo dice espressamente che Erode
si turbò e con lui tutta Gerusalemme;
non fu dunque un moto di commozione per l’annuncio del nato Re, ma
un timore grande di nuove oppressioni da parte del tiranno, e di complicazioni
penose che rese il popolo solidale col perfido monarca.
Il prestigio dei Magi non doveva essere
indifferente, se Erode prese in tanta considerazione la loro domanda, e la
stimò così vera, da radunare il consiglio dei sacerdoti e degli scribi, per
sapere da loro la risposta che avrebbe dovuto dare. Si sapeva che le profezie
riguardanti il Redentore erano determinate, e questo non poteva ignorarlo lo
stesso Erode; non era dunque difficile rispondere ai Magi, facendo capo alle
Scritture. Il consiglio dei sacerdoti e degli scribi, infatti, fu unanime
nell’affermare che il Redentore doveva nascere a Betlemme di Giuda, secondo la
profezia di Michea.
L’evangelista non cita letteralmente la
profezia, ma il senso che dà è preciso. Michea dice che Betlemme è piccola
fra le mille città di Giuda ma,
nascendo da essa il Redentore, è grande; san Matteo dice nel medesimo senso che
essa non è la minima tra le città principali di Giuda, perché da essa esce il
condottiero che deve reggere il popolo d’Israele.
Avuta la risposta, Erode chiamò segretamente
a sé i Magi, perché volle evitare che il popolo li accompagnasse e andasse dal
nato Messia, e s’informò minutamente del tempo nel quale era loro comparsa la
stella. La risposta dei sacerdoti lo aveva anche di più insospettito e
preoccupato, perché essa aveva un grande valore innanzi al popolo, e avrebbe
potuto provocare una sommossa contro la sua usurpata autorità. Astuto com’era,
finse di volersi recare anch’egli ad adorare il nato Re, e mandò i Magi a
Betlemme perché l’avessero ricercato, e gli avessero riferito minutamente
intorno al luogo dove si trovava. Voleva saperlo per poi farlo uccidere, e
s’informò del tempo della comparsa della stella perché, al suo animo crudele,
abituato alle stragi, già balenava l’idea di non ucciderlo direttamente attirandosi
l’odiosità popolare, ma di coinvolgerlo in una strage comune.
Appena udita la risposta del re, i Magi
partirono, ed ecco che la stella, visto nell’oriente ed eclissata ai loro
sguardi, riapparve nel cielo, con immensa gioia del loro animo, indicò la via
da percorrere e si fermò sulla grotta dov’era ricoverato Gesù; è probabile,
infatti, che la Vergine Santissima fosse stata costretta a rimanere in quella
grotta, continuando l’affluenza dei forestieri a Betlemme per il censimento.
Forse la dolcissima Mamma si fermò perché Gerusalemme era poco distante da
Betlemme, ed attese il compimento dei giorni legali per presentare al tempio il
Bambino; forse fu disposizione di Dio che il Verbo Incarnato rimanesse ancora
in quella povertà estrema, per manifestarsi così ai pagani. Il fatto certo è
che Maria stava ancora a Betlemme all’arrivo dei Magi, e si trovò sola col
Bambinello, essendo andato san Giuseppe o a lavorare o a disbrigare faccende.
I Magi non videro nulla di
straordinario, ma videro ciò che era immensamente straordinario da ferire
l’anima d’amore: videro Maria col suo Bambino divino e furono talmente colpiti
dalla santità della Madre e dalla maestà del Figlio che si prostrarono e lo
adorarono, non a mo’ di saluto, perché non avrebbero potuto salutare un
infante, ma lo adorarono come Re e come Dio, e gli offrirono doni, come soleva
farsi ai re, e doni particolari che si addicevano al Redentore: l’oro,
l’incenso e la mirra. Con l’oro lo riconobbero Re, con l’incenso lo
confessarono Dio, con la mirra riconobbero la sua condizione di Vittima.
Innanzi a Gesù Cristo e a Maria Santissima si sentirono
infiammati d’amore, provarono una felicità mai sentita nella loro vita e,
avvertiti in sogno di non ritornare da Erode, temendo di essere vigilati dal
tiranno, se ne ritornarono per un’altra strada, segretamente, al loro paese. Padre Dolindo Ruotolo
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