Commento al Vangelo
– II Domenica del T. O. 2014 A (Gv
1,29-34)
Anche noi siamo testimoni di Cristo
Giovanni
sulle rive del Giordano, dava il battesimo della penitenza per rendere
testimonianza a Gesù Cristo e preparare le anime al suo regno. È necessario
approfondire questo tratto provvidenziale della sua vita e ricavarne le
conseguenze.
L’anima peccatrice ha un
fitto velo innanzi alla mente che le impedisce di vedere la verità, e il velo
le è tirato dall’orgoglio. Sembrerebbe incredibile, eppure è vero: più l’anima
si degrada e più s’inorgoglisce, presume di sé, reagisce al bene e rifiuta la
verità. È un fatto che può controllarsi ogni momento, e che ci fa vedere di
quale natura è il nostro orgoglio maledetto. I superuomini da strapazzo sono
tutti avviliti da particolari miserie che tolgono loro la vista interiore, e li
rendono ripugnantemente presuntuosi.
L’anima non può vedere se
non si umilia; è come il miope che, per affissare lontano, deve impiccolire e
socchiudere gli occhi, affinché i raggi giungano a fuoco sulla rètina. Il
battesimo di san Giovanni era un atto di umiliazione, e produceva, nell’anima,
uno stato salutare di impiccolimento che le rendeva meno difficile l’ascolto
dell’annuncio dell’imminente redenzione, e più facile seguire, un giorno, il
Redentore riconosciuto.
L’anima andava a
sottomettersi al messaggero di Dio, si riconosceva peccatrice, anelava alla
giustificazione, riceveva il battesimo d’acqua, e capiva che ci voleva ben
altro per ottenere la pace completa della giustizia. Si suscitava in lei il
desiderio della rinascita, sentiva ripugnanza al peccato, se ne voleva
liberare, ed era disposta a correre a Colui che Giovanni di proposito, e con
profonda ragione, chiamò Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo.
Il fiume stesso al quale accorrevano le turbe aveva qualche cosa di mistico,
nel nome e nei ricordi storici che orientavano l’anima verso Dio in una
salutare umiliazione, e in una piena fiducia.
Giordano, fiume del
giudizio che mostra o ricaccia il giudizio, discesa, ricordava il giudizio
di Dio che mostra la verità e ricaccia il falso giudizio della
nostra mente, facendo discendere l’anima nelle profondità della
coscienza per giudicarsi ed umiliarsi.
Le sue acque avevano
qualcosa che ricordava il fluire del tempo, poiché passavano, passavano senza
posa.
Esse si arrestarono solo
quando il popolo pellegrino dovette attraversare il letto del fiume, e il
ricordo di questo grande miracolo risuscitava nell’anima il concetto della
potenza e della misericordia di Dio. Le promesse fatte dal Signore ai
patriarchi rivivevano in quel ricordo e in quel concetto, e il popolo sentiva
più vivo il desiderio del Redentore.
Giovanni rendeva
testimonianza principalmente con la sua vita al Redentore. La sua parola
sarebbe stata vana senza la vita santa e penitente che conduceva. Battezzando,
egli faceva quasi fluire con l’acqua il fascino del suo esempio e l’unzione
della sua virtù, e suscitava nelle anime il desiderio del bene, umiliandone
salutarmente l’orgoglio.
Anche noi dobbiamo rendere
testimonianza a Gesù, ed essere, in certo modo, precursori della grazia di Dio
nelle anime. Situati sulle rive vertiginose del tempo, discendiamo nelle
profondità della nostra coscienza, giudicandoci per quello che siamo, e ricacciando
da noi i falsi giudizi del mondo.
Il giudizio della coscienza
che si umilia e si pente dei suoi peccati è come il battesimo d’acqua della
penitenza interiore che prepara al Battesimo di Spirito Santo della grazia
sacramentale. L’anima prima si esamina e si giudica, poi corre dal
Redentore, Agnello di Dio e, fatta pura dalla sua misericordia, diventa sua
testimonianza innanzi agli altri, ai quali dona la prima luce riflessa di
verità, perché discernano lo stato della loro coscienza ed anelino a Dio.
Dobbiamo riconoscere
umilmente che spesso noi siamo falsi testimoni del Signore con la nostra vita
senza luce di verità e senza calore salutare di bene. Non mostriamo né fede
viva né amore vero al Signore e, con tanti stolti giudizi sulla sua provvidenza
e sulla sua giustizia, lo riguardiamo e lo facciamo riguardare in una luce
falsa.
Chi verrà dopo di me
– diceva san Giovanni –, è più di me perché era prima di me; noi
praticamente riguardiamo Dio come inferiore a noi, e osiamo giudicarlo col
nostro inetto e falsissimo giudizio, invece di adorarlo profondamente, e
curvare gli altri alla sua adorazione col nostro esempio. Eppure se pensassimo
che dalla sua pienezza noi riceviamo grazia su grazia, e se pensassimo alla
grazia e alla verità che ci vengono per Gesù Cristo, dovremmo essere in
ogni tempo e in ogni circostanza come inni viventi della sua magnificenza e
della sua gloria! Noi, anzi, dolorosamente, rendiamo orgogliosa testimonianza
di noi stessi a scapito di Dio, proprio all’opposto di quello che fece san Giovanni.
Quando i sacerdoti e i
leviti, mostrando di averlo in grande considerazione, gli domandarono: Tu
chi sei?, Egli, lungi dal rispondere con parole che potevano conciliargli
la stima, rispose recisamente che non era né il Cristo né Elia né il profeta.
Rispose negando, tanto era profonda la sua umiltà e la sua familiarità col
proprio nulla. Non sono –
ecco la risposta spontanea del suo cuore –, non sono, sono un
nulla di fronte al Redentore, e sono solo una voce che grida per la sua gloria.
Noi, all’opposto, abbiamo
sul labbro sempre il nostro io, e ci crediamo sapienti, profeti, infallibili,
forti, invincibili, esaltati sugli altri.
Dovremmo dire:
io non sono il Cristo,
non ho unzione di
grazia, sono un povero peccatore;
non sono Elia, cioè non sono
né signore né forte, perché sono fragile e vile nelle mie
potenze;
non sono il profeta, ossia
uno spirito superiore;
sono un povero stolto senza
luce di sapienza e senza fiamma di vera carità.
San Giovanni, strettamente
parlando, non fece un atto di umiltà nel confessare che non era il Cristo; se
avesse voluto profittare dell’interrogazione dei sacerdoti e dei leviti per
usurpare un titolo che non gli competeva, sarebbe stato un mentitore; la
prontezza, però, con la quale proclamò la verità, e l’orrore che aveva di poter
essere scambiato per il Cristo rivelano la sua profonda umiltà.
Noi non facciamo nulla di
eccezionale nel proclamarci miserabili innanzi a Dio, ma facciamo un atto di
giustizia che non deve farci insuperbire, e che deve farci riconoscere per
quello che siamo e dobbiamo essere: voci di glorificazione sua in ogni atto
della nostra vita e nel deserto del mondo. Questo nostro dovere deve
comprenderci tutti, e deve farci temere di disonorare il Signore innanzi al
mondo scellerato che lo rinnega e l’offende. Il maledetto rispetto umano
potrebbe farci tergiversare innanzi agli altri che ci interrogano con gli
sguardi maligni, con parole pungenti o con indegni inviti al male:
Chi sei tu? Sei tu
cristiano?
Allora dobbiamo
confessare e non negare che siamo di Dio che gli crediamo, lo onoriamo, lo
amiamo, e che a nessun costo vogliamo offenderlo. E, se si ha l’ardire di
parlar male di Dio, invece di mostrarci titubanti, dobbiamo proclamare la
sapienza e la gloria, confessando che non siamo degni neppure di nominarlo, ad
imitazione di san Giovanni che si proclamò indegno di sciogliere il legaccio
dei calzari di Gesù.
San Giovanni rese direttamente testimonianza a Gesù Cristo,
additandolo alle turbe come Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, ossia additandolo come Redentore,
riconoscendolo vero Dio, e confermando la sua testimonianza con quella dello
Spirito Santo. Non basta a noi rendere testimonianza a Dio; dobbiamo renderla
anche al Redentore, all’Agnello di Dio, partecipando ai grandi doni che
Egli ci fa nella Chiesa, con i santi Sacramenti e specialmente col Sacrificio e
col Pane eucaristico. La Chiesa stessa ci invita a rendergli questa
testimonianza, poiché dispensando il cibo celeste ripete le parole del
Precursore alle turbe: Ecce Agnus Dei, ecce qui tollis peccata mundi.
Essere cristiani e non partecipare alla vita di Gesù Cristo che giova? Quale
testimonianza può rendere al Redentore un’anima senza redenzione che si mostra
nuovamente pagana e si degrada miseramente nel male? Siamo dunque voci che
gridano nel deserto del mondo, voci di fede, di amore e di vita soprannaturale
che invitino le genti al trono di Gesù Cristo, e le facciano vivere del suo dolcissimo
amore.
Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo
Nessun commento:
Posta un commento