Commento
al Vangelo – III Domenica del T. O. 2014 A (Mt
4,12-23)
L’elezione
dei primi apostoli
Dopo
aver subito la prova nel deserto, Gesù Cristo cominciò la sua vita
di apostolato. Giovanni era stato messo in prigione da Erode Antipa,
a causa di Erodiade, e per questo vi era nella Giudea un grande
fermento, data la stima che il popolo aveva del Battista. Il Testo
dice che Gesù aveva
udito che Giovanni era stato messo in carcere,
proprio per
indicare il fermento popolare che spargeva la notizia in ogni parte.
Non volendo, per delicatezza di carità verso san Giovanni, prendere
il suo posto in luoghi che risuonavano ancora della predicazione di
lui, si ritirò nella Galilea e, licenziatosi da Maria Santissima che
abitava ancora a Nazaret, andò ad abitare a Cafarnao, città a quei
tempi abbastanza importante per il commercio, situata sulla riva
occidentale del lago di Genesaret. L’apostolato che vi esercitò
dovette essere così grande da far ricordare la profezia di Isaia
(9,1-2) nella quale era annunciata la voce del Messia, risonante ai
confini della terra di Zabulon e di Néftali, sulla strada del mare
di Genesaret, ad oriente del Giordano, cioè nella Perea, e fino alla
parte della Galilea confinante con la Siria e con la Fenicia,
chiamata Galilea delle genti perché abitata da molti pagani.
Quei
popoli giacevano nelle tenebre dell’errore e del peccato, e la voce
di Gesù era per loro una grande luce, perché annunciava il regno di
Dio e il vicino compimento della redenzione, esortandoli a far
penitenza dei loro peccati.
Gesù
Cristo era ancora solo, ma l’affluenza medesima del popolo che a
Lui accorreva, attratto dalla sua parola e dai suoi prodigi, esigeva
che Egli fosse aiutato nel suo ministero, e perciò cominciò a
chiamare i primi apostoli.
Non
si rivolse ai grandi della terra, non scelse uomini di scienza e di
prestigio, ma poveri e ignoranti pescatori, semplici e schietti, come
sono quelli che esercitano questo mestiere. Li chiamò non solo con
la voce ma con la grazia interiore, ed essi, benché intenti al loro
mestiere, lasciarono tutto e lo seguirono. Gesù Cristo scelse il
momento opportuno per chiamarli, utilizzando le loro disposizioni
interne naturali. Erano due coppie di fratelli: Simone, chiamato poi
Pietro, e Andrea suo fratello, Giacomo e Giovanni figli di Zebedeo;
tutti e quattro avevano seguito il Battista (cf Gv
1,35ss) ed erano stati presenti al battesimo del Redentore, imparando
dal loro Maestro a riconoscerlo Messia. Imprigionato Giovanni, erano
ritornati al loro mestiere, certamente scoraggiati, e l’invito di
Gesù li trovò perciò più disposti a seguirlo.
Il
Sacro Testo sintetizza l’apostolato di Gesù Cristo, dicendo che
Egli andava per tutta la Galilea, insegnando nelle sinagoghe che
erano edifici rettangolari dove il popolo si riuniva per pregare e
per leggere i Libri Santi; andava predicando la nuova Legge e sanava
le malattie di quanti venivano a Lui presentati; scacciava satana
dagli ossessi; curava i
lunatici,
ossia gli
epilettici, chiamati così per l’influenza che, secondo la comune
credenza, esercitavano sui loro eccessi le fasi lunari, e risanava i
paralitici. La fama di questi prodigi si sparse fin nella Siria, e
gran turba di popolo cominciò a seguirlo dalla Galilea, dalle dieci
città poste al di là del Giordano, chiamate perciò Decapoli, da
Gerusalemme, dalla Giudea, e dalla Perea, all’oriente del Giordano.
Giovanni
fu messo in prigione, e sembrò una sventura, poiché si soffocava
una voce potente di rinnovazione in mezzo al popolo. Eppure, proprio
allora, Gesù intensificò il suo apostolato di verità e di carità.
Il sacrificio non è mai infecondo nelle vie di Dio, e
dall’immolazione nasce sempre un maggior bene in mezzo alle anime.
Dalla
regione più nobile, Gesù si ritirò in quella più umile della
Galilea, per ricercare le anime semplici, perché è più facile che
le parole veramente grandi siano ricevute dagli umili: i cosiddetti
grandi del mondo, in realtà, sono materiati di miserie, e sono sordi
alle voci della verità.
Per
la nostra vita spirituale
La
predicazione di Gesù Cristo, come quella di san Giovanni, cominciò
con un’esortazione alla penitenza e un annuncio del regno di Dio, i
due fondamenti dell’ascensione di un’anima: purificarsi,
umiliandosi innanzi a Dio, e aspirare a Lui solo, facendolo regnare
nel cuore e nella vita.
Il
Redentore chiama i suoi primi apostoli, e sceglie quattro pescatori.
Oh, come Dio deride l’orgoglio umano, e come ferma i suoi occhi
sugli umili! Doveva rinnovare il mondo orgoglioso e sceglie pochi
rozzi pescatori! Chi non avrebbe creduto che avesse dovuto far
appello ai grandi e ai potenti?
I
poveri pescatori ascoltarono immediatamente la sua voce e lasciarono
tutto; lezione grande per noi quando siamo chiamati dalla grazia ad
una vita più perfetta. Non basta rispondere fiaccamente all’invito
di Dio, bisogna troncare ogni vincolo che ci unisce al mondo, e
incamminarsi risolutamente per la nuova via. Bisogna abbandonare le
reti cioè tutto
quello che ci stringe nelle maglie della natura e degli attacchi
terreni, bisogna uscire dalla mobilità della vita mondana, come da
un mare in tempesta, e prendere terra con ferme risoluzioni nelle vie
di Dio che sono agli antipodi di quelle del mondo. Il distacco
generoso da tutto ciò che è terreno ci fa fare voli nelle vie di
Dio e ci fa seguire Gesù, liberandoci dal languore dell’anima,
dalle insidie di satana e dalle nostre infermità spirituali.
Molti
chiamano gli uomini alla loro sequela, specialmente oggi che
abbondano i falsi profeti; ascoltiamo solo l’invito di Gesù
Cristo, e siamogli fedeli sino alla morte, rinnegando per suo amore
noi stessi.
Potrebbe
sembrare quasi un’anormalità rinnegarci, dato che certi doni di
natura ce li ha dati Dio stesso; ma, rinnegandoci, non perdiamo quei
doni: li trasformiamo e li eleviamo in una sfera immensamente più
grande.
Dio
mi ha dato l’intelletto perché io gliene facessi un olocausto
nella fede; quando rinuncio alla mia povera ragione e credo,
l’intelletto non rimane vuoto, ma ripieno della luce e della verità
divina.
Dio
mi ha dato la volontà perché io gliene facessi un olocausto nella
Legge; la mia rinuncia la rende liberamente attiva nelle grandi e
sapienti disposizioni della divina volontà.
Dio
mi ha dato le forze fisiche ed ha formato il mio corpo di fragile
carne, perché io gliene facessi un olocausto nella mortificazione;
la mia rinuncia non diminuisce la carne, la trasumana e la rende
angelicata, elevandola fino ai confini dello spirito.
Dio
mi ha dato la vita perché io gliene facessi un’offerta nella
medesima morte corporale, nella quale la vita si consuma per
trasformarsi in vita eterna e in risurrezione gloriosa.
Dio
mi chiama alla sua sequela e io lascio le reti che stringono la mia
povera e limitata natura, lascio la mia fragilità, e mi slancio
verso di Lui per trovare la vita.
Non
è una perdita, è un guadagno, e se i pescatori di pesci,
rinunciando alle reti e alle barche, divennero pescatori di uomini,
noi, rinunciando a noi stessi, diventiamo ricercatori di tesori
eterni, e ci eleviamo ad una perfezione arcana. Gesù Cristo medesimo
ci mostra che cosa valga una rinuncia e quali frutti produca; Egli
non volle servirsi della sua potenza per provvedersi miracolosamente
di cibo, come avrebbe preteso satana: volle abbandonarsi al Padre, e
il Padre gli mandò gli angeli per servirlo; più tardi immolò
completamente se stesso nella più profonda umiliazione, e fu
costituito Re dell’universo.
La
rinuncia è guadagno; è la liberazione di ciò che impaccia l’anima;
è lo slancio pieno della libertà, della ragione e della volontà
nelle altezze cui tendono; è il pieno respiro del nostro essere nell'atmosfera celeste; è vuotarsi per essere riempiti,
l’impoverirsi per essere arricchiti, morire per vivere.
Don Dolindo Ruotolo
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