Gesù
beatitudiniCommento
al
Vangelo:
VII
Domenica
del
TO
2014 A
(Mt
5,38-48)
Il
dominio dell’anima su se stessa
L’uomo
crede facilmente al dominio della forza brutale, e all’efficacia
della reazione per imporre agli altri il rispetto, senza sottostare a
prepotenze o a
violenze. La forza, però, non conquide lo spirito, anzi lo
inasprisce, e perciò, praticamente, chi crede di dominare è
dominato, e chi crede di aver vinto è sconfitto. La reazione
violenta non annienta la reazione ma la ingigantisce e, anche
umanamente parlando, fa trovare l’aggredito in condizioni peggiori.
Il cristiano è sempre un
aviatore dello spirito; non sta nella carlinga per rimanere a terra
ma per volare: è sempre un conquistatore di ricchezze eterne, e non
si cura troppo di ciò che è materiale; cammina come pellegrino e
come apostolo, aspirando a conquistare il Cielo e a farlo conquistare
agli altri; è membro vivo del Corpo mistico di Gesù
Cristo e partecipa
al suo Corpo e al suo Sangue eucaristico desiderando, a somiglianza
del suo Maestro, d’immolarsi per gli altri e di abbracciare tutti
nella carità. Tutto questo lo rende talmente superiore alle beghe
meschine della vita presente che vi passa sopra come trionfatore.
Gl’insegnamenti di Gesù
Cristo mirano a
questo scopo altissimo e, lungi dall’essere paradossali, guardano
la vita per quel che è, senza illusioni irreali. Chi reagisce alla
malvagità altrui per vincerla con la forza può essere sopraffatto,
e si trova in condizioni più gravi; chi la disarma con la dolcezza e
con la carità, la riduce all’impotenza non con le armi ma con lo
spirito, e chi prega per i cattivi attira su di loro quelle grazie
celesti che li migliorano. Gesù
Cristo non parla
della reazione della Legge né di quelle forze legali che debbono
ristabilire l’ordine per mandato divino: parla delle relazioni
private tra gli uomini, e del modo migliore per eliminare i contrasti
e le dissensioni.
È spontaneo, nel nostro cuore,
voler rendere male per male, perché ci urta l’ingiustizia e ci
soddisfa la giustizia. La legge penale antica, sostituendosi alla
reazione privata, aveva stabilito la cosiddetta pena del taglione,
condannando il
colpevole alla stessa sofferenza causata agli altri: Occhio
per
occhio, dente per
dente (cf
Es
21,24; Lv
24,20; Dt
19,21); con questo dava soddisfazione al colpito ingiustamente, senza
pericolo di eccessi personali. Più tardi, per le false
interpretazioni dei dottori Giudei, la Legge aveva dato luogo a vere
vendette private, a danno della quiete pubblica. Gesù Cristo taglia
il male nella radice, inculca la pazienza e la bontà che disarmano
l’anima e riconducono la pace.
Non resistere al
malvagio,
cioè non venire
con lui a contrasto, perché non lo vinci così e non ti rendi
superiore a lui. Il contrasto è una diminuzione della propria
dignità ed è una moltiplicazione delle ingiurie; tu, invece, passa
sopra alle insolenze, e se
uno ti
percuote
sulla
guancia destra, presentagli anche
l’altra.
Presentala non
tanto per essere percosso di nuovo, ma presentala nell’amorevolezza
del compatimento e del perdono. Si schiaffeggia un volto che appare
antipatico e provocante, e tu mostra subito l’altra faccia,
quella che
realmente sta in te: la bontà e la compassione. Se mostri questa
guancia, cioè questo tuo aspetto benevolo, insospettato dal nemico,
lo hai vinto e lo hai messo nella necessità di riflettere al suo
atto brutale e di vergognarsene. Gesù Cristo non comanda
letteralmente di farsi percuotere nell’altra guancia, come non
comanda letteralmente di cavarsi l’occhio o recidersi la mano, ma
comanda di
mostrare l’altra guancia,
dimostrando
l’opposto di quello che appare al nemico e lo spinge a farsi
violenza.
Questo è tanto vero che Egli
stesso, nella Passione, percosso nella guancia, interrogò il
malvagio servo per mostrargli che non aveva parlato male al sommo
sacerdote, gli mostrò quindi l’altro aspetto della sua risposta,
l’altra faccia della risposta che aveva provocato lo schiaffo.
Nella Passione, Gesù che ci diede esempi ineffabili di pazienza e
offrì le sue membra ai flagelli e alla croce, ci avrebbe dato
certamente l’esempio di mostrare l’altra guancia se l’avesse
inteso letteralmente. Gesù vuole che certe questioni si
chiarifichino e che, invece di reagire con la forza e con le grida,
si reagisca con l’evidenza della ragione in modo da troncare il
dissidio nella radice. È un primo modo per conservare la pace.
Un altro modo è quello di
accondiscendere per carità, mostrando la propria superiorità
d’animo; così, a chi vuole chiamarti in giudizio e vuol litigare
per toglierti la tunica, ossia l’abito aderente al corpo, cedigli
anche il mantello.
Con questo parlare figurato, Gesù
vuol insegnarci ad evitare le liti giudiziarie che conducono sempre a
rovine e a perdite maggiori, anche quando si vincono. È più nobile
cedere non per la forza, ma per carità e generosità; perciò Gesù
Cristo non dice: Fatti
togliere anche il mantello,
ma: Cedigli
anche il mantello,
cioè mostrati
generoso di tua volontà, e mostrati superiore ad una povera cosa
terrena che non vale quanto la conservazione della pace e l’evitare
le noie e i fastidi del giudizio.
Gesù
non deprime ma eleva la dignità umana
Se
uno volesse angariarti, per esempio forzandoti a camminare con lui
mille passi, tu, invece di reagire, accondiscendi e vacci per altri
due, mostrando così di non subire una violenza, ma di agire di tua
volontà. Come si vede, Gesù Cristo non deprime ma eleva la dignità
umana, perché sostituisce alla forza brutale quella dello spirito;
alla reazione violenta la carità; all’asservimento del malvagio
volere altrui, la libertà del proprio volere benefico. Chi
accondiscende per carità e per amore di pace vola più in alto,
sfugge alle strette della prepotenza, e rimane soprattutto nella sua
pace interna che è preziosissimo tesoro. Questa nobile benevolenza
che non lascia il tempo alla malvagità di sopraffare, dev’essere
per tutti generosità di carità, specialmente nelle relazioni di
vicinato: Da’ a
chi ti domanda, e non rivolgere la faccia a chi vuole chiederti
qualcosa in prestito.
Se si deve conservare, infatti,
l’armonia con chi vorrebbe sopraffarci, prevenendo la prepotenza
con la nobiltà d’animo, è molto più logico e conveniente
conservarla con chi non ci vuol sopraffare ma ci domanda qualcosa o
in dono o in prestito. Tutto questo che Gesù Cristo insegna è legge
d’armonia tra le anime, e quindi riguarda prima quelle che ci sono
più vicine, perché la carità è ordinata; inoltre, essendo legge
d’armonia, non può obbligare dove produrrebbe la disarmonia.
Sarebbe stolto venire ad un contrasto o ad una lite giudiziaria per
non subire una sopraffazione, perché se ne subirebbe una maggiore,
ma sarebbe ugualmente stolto farsi sfruttare dai malvagi, e dare in
prestito senza criterio e ordine. È la stessa natura del dare e del
prestare che ci dichiara il senso genuino delle parole di Gesù
Cristo, poiché chi ti domanda per sfruttarti, non ti domanda, ma ti
ruba, e chi ti chiede in prestito per non restituirti, non ti chiede
in prestito ma in dono forzato, perché sta nella natura stessa del
prestito la restituzione.
Del resto, l’interpretazione
autentica del valore delle parole di Gesù Cristo la fa la Chiesa
nella sua morale, ed è a questa che bisogna appellarsi, e da questa
che bisogna farsi condurre. Se uno volesse interpretare le divine
parole a modo proprio, e credersi obbligato a dare tutto ciò che si
chiede, dilapidando magari la casa propria o venendo meno ai doveri
che si hanno verso i più prossimi, errerebbe. La Chiesa determina,
nelle sue leggi, quello che deve farsi praticamente, quello che è di
consiglio e quello che è di precetto nelle parole del Signore e,
seguendola, non c’è pericolo di errare.
Padre Dolindo Ruotolo