Commento
al Vangelo – V Domenica del T.O. 2014 A (Mt
5,13-16)
La
missione
degli
apostoli
e
dei
sacerdoti
Gesù
Cristo, promulgando le basi fondamentali del suo regno, si rivolse
principalmente ai suoi apostoli e per essi ai sacerdoti. Le
beatitudini sono il programma della loro vita, consacrata tutta al
Signore, nella piena rinuncia a tutto quello che è falsa gioia
terrena: essi debbono essere poveri
di spirito,
distaccati
da tutto e contenti del poco, per conservare nel cuore solo
aspirazioni celesti, ed evitare le schiavitù dell’interesse
economico che distruggerebbe qualunque opera di apostolato. La loro
felicità deve consistere tutta nell'abbandonarsi a Dio e nel
confidare in Lui, unico sostegno. Più dei leviti che non avevano una
proprietà fissa, essi hanno Dio per loro porzione ed eredità, e
debbono alienare il cuore da ogni attaccamento materiale.
L’apostolato
che debbono svolgere non può essere mai irruente, perché essi
debbono conquistare le anime, e perciò debbono avere, come forza, la
mansuetudine. Generano le anime a Dio col sudore delle fatiche
apostoliche e col sacrificio continuo; piangono, ma sono consolati
dalla messe che raccolgono, e debbono percorrere il mondo con una
fame e sete ardente di giustizia, per diffondere la perfezione, e di
misericordia per sollevare i poveri peccatori. Casti e puri di cuore
si beano delle bellezze di Dio, ed hanno la sua gloria come meta
della vita; propugnatori di pace nelle coscienze, nelle famiglie e
nella società, sono i continuatori dell’opera del Figlio di Dio
fatto uomo, e sono chiamati anch'essi figli prediletti di Dio. In
tutto simili al loro Maestro, affrontano ogni persecuzione, ogni
ingiustizia, ogni ingiuria, e continuano il loro santo ministero da
eroi, fissi con lo sguardo alla ricompensa eterna.
Dopo
questa esposizione sintetica del programma sacerdotale di tutti i
tempi, Gesù Cristo dà la ragione della perfezione che inculca ai
suoi apostoli, ed induce in loro il senso della responsabilità,
dicendo: Voi
siete il sale della terra e la luce del mondo;
dovete,
con la vostra virtù, quasi sale nel cibo, rendere accessibile e
assimilabile la verità, e dovete splendere come lampade sul
candelabro, non potendovi celare allo sguardo degli altri uomini
dall’altezza cui vi eleva la vostra dignità. Da voi l’umanità
dev’essere guidata, e se voi vi rendete insulsi o vi ottenebrate,
vi renderete ludibrio di tutti e sarete rigettati dal Signore.
Parole
divine, queste, che ogni sacerdote deve stampare nel proprio cuore,
essendo esse confermate dall’esperienza della storia.
Un
sacerdote infedele al suo dovere, o anche semplicemente insipido,
cioè
rilassato nella pietà, è oggetto di disprezzo, e rende vana la sua
missione. Il mondo è conquiso dalla virtù sacerdotale quando questa
è piena, e quando splende sul candelabro della Chiesa; non s’importa
né sa che farne dei sacerdoti umanamente e laicamente scienziati,
artisti, statisti, ecc. Va trovando i santi, perché sacerdozio e
santità sono due concetti inseparabili.
Il
sacerdote che non è santo, è sale infatuato che non solo non
condisce, ma è incapace di essere condito, rimanendo ostinato nella
sua estrema miseria. Si può dire che in questo non ci sono mezzi
termini, e che un sacerdote che non è santo è già cattivo, è già
infatuato. Se è santo, è povero, mansueto, mortificato, zelante,
misericordioso, puro, pacifico, paziente, è beato nel suo cuore e
comunica la beatitudine; se non è santo e cerca la beatitudine nella
terra, è avido di guadagni, è impetuoso, egoista, ozioso,
scorretto, mormoratore, duro, rozzo, intollerante, e dissemina solo
il male intorno a sé, perché discredita il regno di Dio.
Il mondo
si deve specchiare nel sacerdote, e deve sentirlo tanto superiore da
vederlo come lampada sul candelabro.
Se lo
vede sotto
il moggio di
grano, accumulato agli altri quasi granello nella massa, giacente per
terra, quasi lampada spenta, non lo riguarda più con onore né è
capace di gustare le grandezze della fede, e di glorificarne Dio.
Il
sacerdote non è un uomo come gli altri!
Il
sacerdote non può in nessun modo dire di essere anch’egli uomo
come gli altri e di aver bisogno di uno svago; la sua beatitudine gli
è tracciata da Gesù Cristo, ed è beatitudine che lo eleva nelle
pure gioie dello spirito, di fronte alle quali tutte le gioie umane
sono tormenti. Fuori della via della beatitudine, il sacerdote non
trova che infelicità somma di spirito; è come un pesce fuor
d’acqua, è come un uomo affogato nella tempesta; è schiavo di se
stesso ed è tormentato dai rimorsi, è indebolito negli slanci della
sua anima, e giace come paralitico nella sua miseria, dalla quale non
sa sollevarsi. È scontento del suo stato perché non ne gusta le
ineffabili dolcezze; aspira al mondo con la veemenza della
disperazione senza poterlo raggiungere in pieno; crede di essere un
perseguitato dalla cattiva sorte; invidia persino quelli del mondo, e
finisce quasi sempre riprovato da Dio.
O Gesù,
dona ai tuoi sacerdoti l’apprezzamento della loro immensa e
profonda felicità nell’essere santi; raccoglili intorno al tuo
Cuore eucaristico; fa’ gustare loro la bellezza dei divini Misteri,
e rendili veramente sale delle anime e luce smagliante del mondo.
Padre Dolindo Ruotolo
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