Commento
al
Vangelo:
II
domenica
di
Quaresima
2014
A
(Mt
17,1-9)
Un
saggio
della
divina
gloria
di
Gesù
Cristo
Il programma proposto da Gesù ai
suoi seguaci: rinnegarsi e prendere la croce, aveva dovuto abbattere
non poco gli apostoli, e perciò Egli, nella sua carità infinita,
volle sollevarne lo spirito, con una manifestazione gloriosa che
doveva imprimersi nella loro mente per i giorni tristi che sarebbero
venuti.
Partendo dai pressi di Cesarea di
Filippo, giunse alle falde di un monte che la tradizione individua
nel Tabor e, presi con sé i suoi apostoli prediletti, Pietro,
Giacomo e Giovanni, ascese alla sua cima, elevata a 780 metri sul
lago di Genesaret e a 400
sulla pianura di
Esdrelon. Non prese con sé tutti gli apostoli, perché avrebbero
fatto pubblicità inopportuna, ma volle solo tre testimoni affinché
avessero potuto sostenere la fede vacillante negli altri apostoli,
scossa dalla continua propaganda ostile degli scribi e farisei.
Dal modo come san Luca narra
l’avvenimento, si rileva che dovette avverarsi nella notte (cf Lc
9,28ss); Gesù era infatti salito sul monte per pregare, ciò che
faceva di notte, e ne discese il giorno dopo, passando la notte
sull’altura. Le tenebre e la solitudine diedero all’avvenimento
un maggiore risalto. Il Redentore si mise in orazione, e si raccolse
tutto nella gloria del Padre. L’anima sua, attratta dalla divinità,
si trovò in piena visione beatifica, e il Corpo fu reso glorioso
dalla luce divina. L’ineffabile purezza di quel Corpo divino non
offrì neppure il più piccolo ostacolo alla luce eterna che tutto
l’avvolgeva, lo penetrava e lo rischiarava, di modo che fu tutto
luce e splendore. Il volto divenne come sole, in un’ineffabile
espressione di gloria e le vesti per la gran luce che emanava dal
corpo, si fecero bianche come
la neve o, come
dice il testo greco, come
la luce. Era uno
spettacolo grandioso, ineffabile che rapiva l’anima, e la
trasfondeva tutta di pace, di godimento e d’amore.
I tre apostoli – come nota san
Luca –, prima aggravati dal sonno, si svegliarono certamente allo
splendore di quella luce divina, videro due personaggi che
discorrevano con Gesù e, per divina ispirazione, riconobbero in essi
Mosè ed Elia.
Furono presi da timore e subito
dopo da una gioia interiore così grande che non sapevano esprimerla.
Psicologicamente, nelle grandi
gioie che danno all’anima un senso di riposo e di raccoglimento, la
fantasia si accende e fa progetti per conservare o accrescere il
benessere che si prova. Gli apostoli si voltarono intorno, videro giù
le oscure valli e d’ogni parte le tenebre, ebbero orrore del mondo
nel quale vivevano e pensarono subito di voler rimanere sempre in
quella felicità.
Si scambiarono certamente delle
parole, perché nelle grandi sorprese, ognuno crede che chi gli sta
vicino non se ne renda abbastanza conto, e ci tiene a manifestare le
proprie impressioni, e a tener desta l’altrui attenzione.
Scambievolmente si additavano lo
splendore di quella gloria, e scambievolmente si dicevano di non
volere ad ogni costo staccarsene; perciò san Pietro, parlando a nome
di tutti, si avvicinò a Gesù e gli disse: Signore,
è buona cosa per noi stare qui; se vuoi, facciamo qui tre tende, una
per te, una per Mosè e una per Elia.
Egli non sapeva quello che diceva
– dice san Luca –, e difatti le sue parole erano povere e
inceppate, come lo sono sempre in una grande emozione di gioia, e
innanzi ad una grande maestà. San Pietro avrebbe voluto dire tante
cose e non sapeva quello che dovesse dire; voleva esprimere tanti
progetti di felicità stabile, e non seppe proporre che l’erezione
di tre tende. È profondamente psicologico, poiché, nelle grandi
emozioni, i progetti della fantasia, quando si esprimono, sfumano e
di tutta una ridda d’immagini che sembrano grandiose, non rimane
che l’espressione di un semplice desiderio rozzamente manifestato.
I progetti della fantasia sfumano come un sogno che si dilegua e la
parola diventa anche più povera, non sapendosi adeguare a ciò che è
già di per sé inafferrabile.
Questo
è il mio Figlio diletto: ascoltatelo
Mosè ed Elia conversavano con
Gesù e – come dice san Luca –, parlavano della sua dipartita dal
mondo tra i dolori amarissimi della Passione. Essi rappresentavano la
Legge e i Profeti, e parlavano del compimento di ciò che avevano
predetto e figurato. Non è detto nel Vangelo se gli apostoli
ascoltarono questi discorsi; è possibile, e in questo caso può
credersi che san Pietro abbia proposto di rimanere stabilmente su
quel monte non solo per conservare quella felicità, ma anche per
sfuggire alle insidie di morte che si preparavano a Gesù Cristo.
Egli non sapeva quel che dicesse, non potendo penetrare nel disegno
del Signore. Avrebbe voluto dirigere gli eventi e prevenire quelli
futuri, senza capire che doveva farsi guidare dalla parola del
Redentore. Dio stesso, perciò, si degnò rispondere alle ansietà
degli apostoli; una nube luminosa avvolse Gesù, Mosè ed Elia, e
dalla nube, che era segno della presenza di Dio, si sentì la voce
placida, solenne e grandiosa del Padre che disse: Questi
è il mio Figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto: ascoltatelo.
Non si trattava
dunque di fare progetti, ma di seguire il Figlio divino e ascoltarlo.
Quelle parole furono piene di tanta maestà che i tre apostoli
caddero bocconi per terra e furono presi da un gran timore. La
sublime visione era terminata, e Gesù li scosse e li esortò a non
temere. Essi alzarono gli occhi e videro solo Gesù, ritornato come
prima, nelle sue umili apparenze.
Albeggiava e cominciarono a
scendere dal monte; sorse
anche il sole, ma
quella luce dovette sembrare loro un’ombra di fronte a quella che
avevano vista. Ferveva in loro il desiderio di raccontare l’accaduto
e può supporsi che facessero uno speciale progetto di confondere gli
scribi e farisei.
La loro fede, infatti, si era
accresciuta, ed essi, nel loro cuore, l’avevano ora ben salda; si
stupivano come gli scribi dicessero che prima del Messia doveva
venire Elia, e ne domandarono spiegazione. Gli scribi, per dimostrare
alle turbe che Gesù Cristo non era il Cristo, affermavano
recisamente che doveva essere preceduto da Elia, secondo le profezie.
Gli apostoli, certi ormai della verità, domandarono come gli scribi
avessero potuto fare quella affermazione. Gesù Cristo, leggendo nei
loro cuori l’ansia di parlare dell’avvenimento grandioso della
trasfigurazione, lo vietò loro fino a dopo la sua risurrezione. La
divulgazione di un fatto così importante, per il malanimo degli
scribi e farisei, sarebbe servita solo ad aumentarne l’ostilità e
li avrebbe resi maggiormente rei.
Ad essi, come a gran parte del
popolo, ignorante e prevenuto, sarebbe apparsa una fiaba, e si
sarebbe così svalutato un dono di Dio. La parte del popolo che ci
avrebbe creduto, si sarebbe abbandonata a dimostrazioni politiche,
rendendo vano, in tante anime, il disegno di Dio, e concentrandole in
una falsa aspirazione temporale. Gesù, dunque, volle che non se ne
parlasse se non quando la gloria inoppugnabile della risurrezione
l’avesse reso non solo credibile ma salutare per le anime.
Rispondendo poi alla domanda
degli apostoli riguardante Elia, Gesù Cristo distinse due venute del
profeta: una alla fine del mondo per restaurare tutto e vincere
l’anticristo, e una mistica e simbolica in un grande santo che
avrebbe preparato a Lui la strada nello spirito di Elia. Questa
seconda venuta s’era già realizzata in san Giovanni Battista,
austero e forte come Elia, e martire come lui. Il popolo non lo
riconobbe, e gli scribi e farisei lo ostacolarono in tutti i modi,
come ostacolavano Lui stesso, tendendogli insidie e desiderandone la
morte. Se non avevano riconosciuto il Battista, e non avevano
ascoltato la sua voce, pur avendo essa tanto prestigio, come
avrebbero potuto credere alla gloria della trasfigurazione?
In quel momento non c’era da
pensare che alla Passione e Morte, unica via scelta dalla Provvidenza
per la redenzione degli uomini.
Don Dolindo Ruotolo
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