Commento
al
Vangelo:
I
domenica
di
Quaresima
2014
A
(Mt
4,1-11)
Il
primo
scontro
tra
il
Redentore
e
satana
Gesù Cristo, venuto dal Cielo
per liberarci dalla schiavitù e dalle insidie di satana, e per
tracciarci il cammino della vita, volle affrontare il maligno per
smascherarlo innanzi alle anime, per confonderne la tracotanza, e
glorificare Dio con atti di dedizione e di amore che dovevano
riparare le nostre deficienze. La tentazione che Egli volle subire è
certamente un altissimo mistero, così ricco di verità e
d’insegnamenti che l’anima vi si smarrisce.
Prima di tutto è misteriosissimo
il fatto stesso della tentazione, perché il Redentore era
perfettissimamente ordinato in tutte le sue potenze ed era la stessa
Sapienza, l’Ordine, la Santità, l’Armonia; non poteva, dunque,
subire una tentazione che comporta, per necessità, o un turbamento
nelle potenze, o un’illusione di falsa luce. Anche noi, pur potendo
essere tentati in tanti modi, non potremmo essere tentati, per
esempio sull’inesistenza del sole, quando esso ci riscalda e ci
illumina.
La tentazione suppone nell’anima
o nella natura fisica una debolezza che satana sfrutta, perché, in
fondo, la tentazione è un’insidia che potremmo chiamare anche una
feroce irrisione. Ora, su quale debolezza del Redentore satana
avrebbe potuto edificare la sua tentazione? Fu Gesù stesso, nel suo
amore e nella sua carità, a mettersi nelle condizioni di avvertire
una debolezza e, non potendola sentire nell’anima perché
perfettissima, la sentì nel corpo, digiunando per quaranta giorni e
quaranta notti. Il novello Adamo aveva un contatto col primo, al
quale, innocente e santo, satana non poté procurare altra tentazione
che sfruttando la necessità naturale che egli aveva di cibarsi. Non
poteva penetrare l’anima, non poteva agitarne le potenze
armonizzate e sottomesse alla ragione, e tentò penetrarvi attraverso
la necessità del cibo, e turbarne così le aspirazioni.
Gesù Cristo, subito dopo il
battesimo di Giovanni, fu condotto dallo Spirito Santo, disceso in
forma di colomba su di Lui, fin nelle aspre regioni deserte che si
stendono ad ovest di Gerico, su di una squallida montagna alta 473
metri, chiamata anche oggi montagna della
Quarantena;
vi fu condotto
per esservi
tentato dal diavolo.
Il primo Adamo fu messo
nell’Eden, giardino delizioso, per subirvi la prova e meritarsi il
premio; il secondo Adamo che doveva riparare le colpe del primo, fu
condotto in un’orrida solitudine per subirvi una prova. Il primo
Adamo ebbe ogni abbondanza di frutti prelibati, e gliene fu proibito
uno solo; il novello Adamo digiunò completamente, e stette fra aride
e infeconde pietre. Digiunò nel corpo ed espanse nel Padre tutta
l’anima sua, con tale veemenza d’amore, da non avvertire la fame
che quando ritornò a quella vita normale di pellegrinaggio terreno
da Lui stesso accettata e abbracciata. Strettamente parlando,
potrebbe dirsi anche naturale il suo lungo digiuno, perché, quando
l’anima è quasi tratta fuori del corpo in un’estasi di pacifico
amore, le necessità fisiche sono minime, e il corpo potrebbe anche
conservarsi in vita, nutrendo i suoi organi a spese delle riserve
accumulate prima.
Era logico che il novello Adamo
opponesse al primo un pieno digiuno, e l’opponesse contemplando le
divine grandezze; Egli additò, così, all’uomo, la via per essere
simile a Dio nei riflessi della sua gloria e del suo amore, la via
maestra delle rinunce generose per le conquiste del divino.
Satana aveva detto che il segreto
per essere simile a Dio era il non rinunciare neppure all’unico
frutto proibito, ribellarsi, dare il sopravvento ai sensi; Gesù
Cristo additò la via opposta e, lungi dall’andare presso l’albero
della proibizione, come Adamo, andò in mezzo alle pietre.
Anche
questo è sublime! Le pietre, il deserto, lo squallore non potevano
avere attrattive per i sensi, spingevano l’anima al Cielo, l’anima
che cerca solo ciò che è grande. Il Redentore cercò l’arida
solitudine per insegnare alle nostre anime a non fermarsi alle
piccole cose della terra, e a tendere a Dio attraverso le stesse
privazioni delle quali la vita ci dà occasione.
«Se
tu
sei
il
Figlio
di
Dio,
di’
che
queste
pietre
diventino
pane»
Satana si
accostò a Gesù Cristo in forma sensibile, come di uomo, secondo
l’opinione dei Padri. Aveva sentito sulle rive del Giordano la voce
del Padre: Questo
è il mio Figlio diletto
e, volendo accertarsi se era veramente il Figlio di Dio, e nello
stesso tempo volendo applicare la potenza di Lui alla ricerca di ciò
che era terreno e staccarlo dalla fiducia nel Signore, disse: Se
tu sei Figlio di
Dio, di’ che queste pietre diventino pane.
Le
pietre del deserto, simbolo della desolazione della nostra vita,
richiamarono l’attenzione di satana; egli che si sforza d’attrarci
alla vita materiale, infiorandola con le sue funeste illusioni,
avrebbe voluto che quelle pietre diventassero pani per attrarre
l’umanità affamata del Redentore, e avrebbe voluto che Egli
stesso, con la sua potenza, avesse realizzato questo miracolo. In
fondo era quello che aveva fatto e fa col genere umano, il quale,
nelle sue attività assillanti che tutto l’assorbono, cerca di
mutare in pane le
pietre,
e di nutrire
l’anima di tutte le vanità della terra.
Dalla
risposta di Gesù Cristo, si rileva chiaramente che questa era
l’intenzione del tentatore: sostituire alla fiducia nella divina
provvidenza la fiducia nella propria attività, e dissipare nella
ricerca del proprio comodo le nobili attività dello spirito.
Gesù Cristo, a questa
tentazione, oppose le parole con le quali Dio, per mezzo di Mosè,
esortò il popolo alla piena fiducia nella sua provvidenza, in vista
dei prodigi operati da Lui nel deserto: Dio
ti afflisse con la fame –
disse Mosè alla
moltitudine –
e ti diede per
cibo la manna che né
tu né
i tuoi padri
conoscevate, per farti vedere che l’uomo non vive di
solo pane, ma
di ogni
parola che procede dalla bocca di
Dio (Dt
8,3). Di queste
parole di Mosè, Gesù citò solo le ultime, per dire al tentatore
che Egli era pienamente abbandonato a Dio, e per affermare la
necessità del cibo spirituale per l’uomo.
Era la condanna del materialismo
brutale per il quale satana riduce tutta la vita umana ad un problema
di stomaco.
Era la condanna anticipata di
tutte le sovversioni sociali, morali e religiose che satana avrebbe
provocato nel mondo, insinuando malignamente che l’uomo vive solo
di pane. Era velatamente l’affermazione solenne del cibo di vita,
del Pane eucaristico che avrebbe dovuto cibare l’uomo nel suo
pellegrinaggio.
«Se
sei
il
Figlio
di
Dio,
gettati
giù…»
Satana, confuso dalle parole del
Redentore, ricorse ad un altro espediente per vincerlo: lo trasportò
di un tratto in Gerusalemme, e lo pose sul pinnacolo del tempio,
ossia sulla parte più alta dell’edificio, probabilmente sulla più
alta cima del portico reale, incitandolo a gettarsi giù, per
mostrare la sua fiducia nel Signore che l’avrebbe salvato, secondo
ciò che stava scritto nel salmo 90. Il versetto citato dal demonio
era da lui falsamente interpretato, perché la custodia degli angeli,
promessa per liberarci dai pericoli, non poteva riguardare i pericoli
provocati da noi con orgogliosa presunzione. Vinto da una parola
divina citata da Gesù, satana cita, a sua volta, una parola della
Scrittura, per indurre Gesù Cristo alla presunzione.
Satana voleva provocare un
prodigio innanzi alla moltitudine che stava nel tempio, e suscitare
un movimento popolare intorno al Redentore? Noi non lo crediamo,
perché, anzi, tendeva di fargli fare del male; prima l’aveva
tentato ad aver fiducia nella propria potenza, ora lo tenta ad aver
fiducia nella propria virtù, per condurlo, poi, ad aver fiducia in
lui solo e a darsi a lui, vista l’inanità della sua fiducia in
Dio. Dal contesto, è chiaro che satana credeva che Gesù Cristo non
sarebbe riuscito né a mutare le pietre in pani né a rimanere
incolume in una caduta; voleva fargli toccare con mano l’impotenza
della preghiera e della fiducia in Dio, e spingerlo all’apostasia
piena dal Signore. Gesù Cristo rispose con un’altra parola
ispirata: Non
tenterai il Signore Dio tuo. La
fiducia, infatti, è abbandono nelle mani del Signore, non è
presunzione d’imporgli la propria volontà; l’anima che confida
non può presumere di avere dei miracoli senza strettissima necessità
né di esporsi temerariamente ai pericoli spirituali e corporali;
dandosi al Signore è soccorsa dagli angeli e, offrendosi a Lui come
figlia, è provveduta da Lui come Padre.
Nelle parole del Redentore è
tracciato tutto un programma delle vie dello spirito, fondato su
un’illimitata fiducia in Dio e, nel medesimo tempo, su di un grande
equilibrio di sapienza e di umiltà nelle aspirazioni del cuore che
impedisca di passare dal campo della realtà a quello della fantasia.
Dio non fa opere superflue proprio perché è infinita Sapienza né
trascura, senza necessità, le leggi naturali da Lui stesso poste nel
mondo; bisogna dunque attendere tutto dalla
sua parola,
ossia
dalla sua volontà, e non tentarlo, presumendo di ottenere effetti
clamorosi dove non è necessario.
«Tutto
questo
io
ti
darò
se,
prostrato,
mi
adorerai»
Satana, confuso ancor più dalla
risposta di Gesù Cristo, volle dargli un ultimo assalto che s’illuse
potesse essere decisivo. Aveva sospettato che fosse il Messia, e
credeva che dovesse avere un regno terreno, come lo credevano gli
Ebrei; pensò di poter attrarre, nell’orbita del suo tenebroso
potere, quel regno che sapeva dover essere universale; non pensava al
regno spirituale o, se ci pensava, voleva tramutarlo in un regno
temporale, a base di orgogliosa gloria; avrebbe voluto anticipare gli
eventi della storia, e coronare egli il Re universale, per renderlo
suo vassallo.
Tutta la stolta impudenza di
satana emerge nell’ultima sua tentazione, ed egli si smaschera da
sé nelle sue tenebrose mire. Sapeva che il Messia doveva conquistare
il suo regno con aspri dolori e umiliazioni inaudite, e pensò di
porlo su di un’altra via, su quella della gloria terrena, per
rendere vano il suo regno nelle anime; lo trasportò perciò su
di un alto monte,
non
materialmente, perché da nessun monte potrebbero vedersi i regni
della terra; lo elevò al di sopra delle grandezze umane,
mostrandogliele in una sintesi viva, quasi le vedesse da un monte.
Non poteva disordinare la
fantasia del Redentore, facendogli avere impressioni di gloria e di
grandezza, e perciò formò fuori di Lui quello che avrebbe fatto
dentro di Lui attraverso la fantasia: lo sollevò in alto, e fece
passare sotto i suoi occhi la gloria dei regni del mondo, esclamando:
Tutto questo ti
darò se prostrato mi adorerai. Era
il sommo dell’impudenza e della stoltezza, e Gesù non tollerò
oltre che satana avesse insistito, ma lo ricacciò negli abissi con
una parola che dovette fulminarlo: Vattene
satana, poiché sta scritto: Adora il Signore Dio tuo, e servi a Lui
solo.
Satana aveva tentato travolgere
la vita del Redentore, voce di gloria infinita in Dio Uno e Trino, in
una voce di orgogliosa gloria umana.
Tre tentazioni opposte a Dio Uno
e Trino: una Potenza divina ridotta a servire alle necessità
corporali; una Sapienza divina ridotta quasi ad un gioco di
prestigio; un Amore divino ridotto ad adorare lo stesso satana.
Aveva visto, sulle rive del
Giordano, la luce della Santissima Trinità nel Redentore e voleva
cancellarla per odio; voleva che la voce della potenza servisse al
compiacimento orgoglioso di se stesso che la sapienza deviasse nella
stoltezza, e che l’amore deviasse nell’idolatria.
Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo
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