Commento
al
Vangelo:
II
Domenica
di
Pasqua
2014
(Gv
20,19-31)
Domenica
della Divina Misericordia
Gesù
Cristo appare agli apostoli
Dopo
che Pietro e Giovanni tornarono dal sepolcro, e dopo il messaggio
delle pie donne e della Maddalena, cominciò a nascere negli apostoli
un po’ di fede. Non era la fede profonda e completa di chi crede a
Dio che rivela, riguardando come somma ragione la sua autorità, ma
era come l’alba di questa fede, era come il rinascere di una
speranza che sembrava già morta, era come il primo rinverdirsi d’un
ramo spezzato dalla tempesta. Questo poco di fede, più naturale che
soprannaturale in quel momento, fu la disposizione che rese loro
possibile la grazia della rivelazione del Signore.
Essi erano in buona fede, in
fondo, poiché non avevano capito i tratti della Scrittura che
parlavano della risurrezione e non ricordavano ciò che, in
proposito, aveva detto loro Gesù; non rifiutavano di credere alla
Parola di Dio positivamente, ma s’erano come smarriti nel labirinto
delle loro idee e delle loro aspirazioni.
Il timore poi dei Giudei aveva
fatto nascere in loro, quasi inconsciamente, il desiderio di
sottrarsi, se fosse stato possibile, all’incanto e al fascino di
ciò che in tre anni avevano visto e ascoltato.
La paura è sempre una pessima
consigliera e, quando diventa panico, cerca ogni scappatoia per
sottrarsi al pericolo; se non in tutti gli apostoli e discepoli,
almeno in alcuni, subentrò un desiderio occulto di non pensare più
al passato, di abbracciare un tenore comune di vita, e ritornare alle
loro occupazioni; ne abbiamo un esempio nell’episodio dei discepoli
di Emmaus, del quale parla san Luca (24,13-35). Il timore si accrebbe
negli apostoli per le stesse notizie che riguardavano la
risurrezione. Certamente il Corpo di Gesù non c’era più nel
sepolcro, e questo fece loro temere che le autorità li accusassero
di averlo essi sottratto, iniziando contro di loro una persecuzione;
perciò stavano guardinghi e tenevano ben chiuse le porte dove erano
congregati. Ora, mentre erano insieme, nella sera della stessa
domenica della risurrezione, Gesù Cristo, senza bisogno di farsi
aprire, entrò improvvisamente in mezzo a loro e, fermatosi, disse:
La pace sia con
voi.
Nella sua misericordia e nel suo
amore veniva per troncare la loro diffidenza, e per mostrare la
realtà della sua risurrezione. Perciò, passato il primo momento di
sbigottimento che si generò in loro a quella vista, li invitò ad
avvicinarsi a Lui, e mostrò loro le mani piagate e il costato
aperto, affinché avessero avuto un argomento sensibile della realtà
del suo Corpo, e avessero constatato che quello era proprio il Corpo
crocifisso tre giorni prima sul Calvario.
A
chi rimetterete i peccati,
saranno
rimessi…
Gioirono i discepoli, ma nella
gioia stessa provarono un senso di timore per le colpe che avevano
commesse, e per la sproporzione che sentivano col Signore glorioso;
per questo, Gesù, rassicurandoli, ripeté le dolci e vivificanti
parole: La pace
sia con voi e,
sollevandoli dalla loro profonda umiliazione interiore, soggiunse:
Come il Padre ha
mandato me così io mando voi.
Con delicatezza divina e con
divina signorilità non volle che avessero sentito il peso della loro
inferiorità innanzi a Lui glorioso; gli ripugnava quasi che avessero
potuto stabilire un paragone fra loro peregrinanti e Lui trionfante
e, anticipando le grazie della Pentecoste e il momento nel quale
diede loro la pienezza della missione per la quale li aveva scelti,
soffiò su di loro e disse: Ricevete
lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a
chi li riterrete saranno ritenuti. Gesù
Cristo non fece loro una promessa, ma diede loro veramente una
comunicazione attuale dello Spirito Santo, alla quale era annessa la
facoltà di rimettere i peccati. Pur ricevendosi una volta lo Spirito
Santo – perché la sua comunicazione sacramentale imprime il
carattere –, Gesù Cristo volle darlo più volte ai suoi
prediletti, riserbandone loro una nuova pienezza nel giorno della
Pentecoste. Si direbbe che sta nelle sue abitudini di misericordia e
di amore moltiplicare e rinnovare i suoi doni a quelle anime che gli
si danno con amore, ed hanno fiducia nella sua generosità.
Dicendo: A
chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi li riterrete
saranno ritenuti, Gesù
Cristo diede agli apostoli e ai loro successori la potestà
giudiziale di rimettere i peccati nel sacramento della Penitenza,
com’è chiarissimo dal Testo, e come dichiarò esplicitamente il
Concilio di Trento (Sess. XIV, can. 3). Tutti i peccati, anche i più
gravi, possono essere rimessi, ma debbono essere sottoposti al
giudizio del sacerdote con la confessione, perché il rimetterli o
ritenerli non è un atto di capriccio, ma è una sentenza ragionevole
che dipende da un giusto giudizio; tale giudizio non può farsi se il
peccatore non confessa i suoi peccati e se, confessandoli, non mostra
le disposizioni interiori che lo animano.
Con divina delicatezza Gesù
anticipò agli apostoli la facoltà di rimettere i peccati, proprio
nel momento nel quale essi si sentivano maggiormente peccatori,
rendendoli giudici quando essi si aspettavano di essere giudicati.
Egli volle rialzarli dall’umiliazione e, nel medesimo tempo, volle
dare loro i tesori della misericordia quando essi maggiormente si
sentivano poveri e peccatori, affinché avessero compatito le miserie
altrui. L’uomo ha
cercato tutelare l’ordine sociale con le leggi e i tribunali
penali, con le carceri e persino con la morte, ma non ha potuto far
nulla per mutare l’anima del delinquente, nonostante tutte le
assistenze sociali ai carcerati. Solo Dio poteva erigere un tribunale
di amorosa misericordia che rinnova il cuore, dona la pace, eleva in
alto il peccatore e lo muta in un giusto e persino in un santo.
Gesù
Cristo risana Tommaso dalla sua incredulità
Quando Gesù apparve agli
apostoli, Tommaso non era con loro. Di carattere più indipendente,
di volontà più ostinata, forse aveva creduto inutile starsene
rinchiuso nel Cenacolo, o forse anche era andato a sbrigare qualche
faccenda. Era colui che meno aveva creduto al messaggio delle pie
donne e di Maria Maddalena, e può darsi che, sentendone parlare e
discutere, si fosse così disorientato e urtato, da uscirsene. Per
lui ormai era certo che Gesù era morto che le speranze riposte in
Lui erano fallite, e che ostinarsi ad attendere ancora eventi che gli
sembravano ormai impossibili era lo stesso che esporsi alla derisione
e dar di volta al cervello. Il suo disorientamento si accrebbe
quando, al ritorno, seppe dagli altri apostoli dell’apparizione di
Gesù.
È evidente che gli dovettero
raccontare tutto minutamente, e che, al suo ostinarsi nel non
credere, dovettero ripetutamente fargli notare che essi avevano visto
proprio le ferite delle mani, dei piedi e del costato, e che non
c’era dubbio che fosse proprio Lui. Ma Tommaso credeva di scorgere
nella gioia, nell’entusiasmo e nella certezza dei compagni, i segni
di un’esaltazione fantastico, e perciò, alle loro insistenti
affermazioni, rispose: Se
non vedo nelle sue mani la ferita dei chiodi, e se non metto il mio
dito al posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non
credo.
La
psicologia di chi ascolta il racconto concitato
di
un fatto straordinario
San Tommaso, ritornato al
Cenacolo, aveva trovato l’ambiente per lui stranamente cambiato. I
suoi compagni gli sembravano esaltati, la loro gioia lo urtava, le
loro osservazioni lo turbavano. Sentiva, in fondo, il rammarico di
non essersi trovato, ma voleva persuadersi di essere stato lui un
privilegiato a non trovarsi ad una scena che gli sembrava fantastica.
Aveva un incosciente rimorso della sua incredulità, ma tentava
soffocarlo nei raggiri di un ragionamento; perciò, all’argomento
di prova che gli davano i compagni della realtà dell’apparizione,
cioè le piaghe delle mani, dei piedi e del costato, risponde con un
fare altero che rivela la lotta interna del suo spirito: Se
non vedo nelle sue mani la ferita dei chiodi, e se non metto il mio
dito al posto dei chiodi, e non metto la mia mano nel suo costato,
non credo.
Gli apostoli non poterono
opporgli altro; si mostrarono dispiaciuti, disgustati, afflitti ma,
di fronte all’ostinazione di una ragione sconvolta, c’è poco da
fare. Non la si può conquidere col ragionamento.
Gesù
appare di nuovo, presente Tommaso,
che
è guarito dalla sua incredulità
Otto giorni dopo, i discepoli
erano di nuovo tutti raccolti nella casa, e Tommaso era con loro.
Forse pregavano; certo erano in un momento di raccoglimento nel quale
era più facile la mozione della grazia.
Crediamo che Maria si trovasse
con gli apostoli, e che fu proprio Lei ad implorare la grazia della
conversione per Tommaso. Come Madre amorosa che prendeva cura attiva
dei figli affidatile da Gesù, conobbe o fu addirittura presente al
disorientamento di Tommaso, e supplicò il Figlio suo divino a
sanarlo. A Lei dovette suscitare tanto dolore l’incredulità di un
apostolo, e vide in essa la rappresentanza dell’incredulità dei
diffidenti e presuntuosi nella fede.
Tommaso soprannominato
Didimo –
dice il Sacro
Testo –, ossia gemello,
era veramente
come il fratello gemello dei miscredenti futuri, dei razionalisti che
non ragionano, e soprattutto di quelli che non credono al
soprannaturale, pretendendo toccarlo con mano. Maria ne era
addoloratissima, poiché Ella sapeva, per esperienza, che non si
compiono mai i disegni di Dio se non si crede, e santa Elisabetta
aveva riconosciuto in questo il segreto della sua grandezza: Beata
te che hai creduto, poiché così si compirà in te quello che ti è
stato detto dal Signore (Lc
1,45). Maria,
dunque, che vedeva Tommaso privo allora del dono dello Spirito Santo,
della potestà che Gesù aveva data agli apostoli soffiando su di
loro, Maria che lo vedeva immeschinito nella incredulità, sterpo
sterilissimo e infecondo che dà solo spine, pregò Gesù che lo
sanasse, e Gesù comparve di nuovo a porte chiuse.
Quale gioia per gli apostoli e
quale sorpresa per Tommaso! Egli si voltò, lo vide, lo riconobbe:
era Lui! Allibì per un momento, temette, si turbò, ma Gesù gli
effuse subito nel cuore la serena tranquillità, dicendo: La
pace sia con voi. La
tracotanza di Tommaso fu in un momento fiaccata, e nel suo cuore
cominciò a sorgere un tumulto d’amore e di umiliazione. Gesù lo
chiamò a sé, e lo invitò a mettere il dito nelle sue piaghe e la
mano nel suo costato, dicendogli con infinito amore: Non
voler essere incredulo ma fedele.
Il Sacro Testo non dice se
Tommaso abbia messo il dito e la mano nelle piaghe di Gesù, ma noi
crediamo che il Redentore ve l’abbia costretto. A quella vista, a
quel contatto, Tommaso si prostrò e, adorandolo, disse: Signor
mio e Dio mio. Non
poté dire altro: il
cuore gli
scoppiava dal dolore e dall’amore, la fede divampava in lui,
l’abbandono era pieno nel suo Redentore e nel suo Dio. Ma Gesù
soavemente lo rimproverò, per completare la grande lezione che
voleva dare ai secoli futuri, dicendo: Perché
hai visto, o
Tommaso, hai
creduto; beati coloro che non hanno visto e hanno creduto.
Padre Dolindo Ruotolo
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