Commento
al Vangelo secondo S. Matteo (Mt
28,1-10)
Don
Dolindo Ruotolo
La
risurrezione di Gesù
Le
pie donne che avevano seguito Gesù non avevano potuto rendergli gli
onori funebri, perché la sepoltura era stata affrettata
nell’imminenza del sabato.
Appena
passato il giorno di festa, perciò, si avviarono al sepolcro per
imbalsamare il Corpo. San Matteo nomina soltanto Maria
Maddalena e l’altra Maria,
cioè Maria, moglie di Cleofa e madre di Giacomo e di Giuseppe,
perché la prima precedé le altre e andò sola, e la seconda fu
quella che accompagnò il gruppo delle pie donne. È evidente che
esse non sapevano che al sepolcro era stata posta una guardia, e si
preoccupavano solo della difficoltà di rimuovere dal sepolcro la
pietra che lo chiudeva.
All’alba
del terzo giorno Gesù era risorto dalla morte! La Persona divina,
terminandone l’Anima e il Corpo, aveva richiamato l’Anima nel
Corpo, dotandola di una vitalità intensa e di una straordinaria
potenza vivificatrice. Si direbbe che, come il calore ridesta la vita
nelle assonnate fibre di una pianta, così la divina Persona del
Verbo ridestò, col suo calore divino, la vita nel Corpo ucciso,
attraendo in esso l’Anima come raggio vivificante. L’Anima
richiamò a sé tutto quello che essa aveva vivificato e riassunse il
Sangue sparso e tutto quello che la ferocia dei carnefici aveva tolto
al Corpo, rendendolo, così, nuovamente atto alla vita.
Fu un
momento solenne, del quale furono testimoni solo gli angeli, attoniti
innanzi al virgulto di Iesse che rifioriva. Il Sangue riassunto,
attratto da una misteriosa forza e rivivificato dal calore divino
della vita, s’immise nelle vene e le vene si riaprirono, rifatte
nei loro tessuti e nella loro compagine. Un fiotto di vita rifluì
nel Cuore, e il Cuore si ridestò e fece rifluire il Sangue in tutte
le membra, ricomponendone i muscoli e ridonandole alla vita.
Sparirono ad una ad una le piaghe, come spariscono le ombre innanzi
alla luce del sole, o come vengono divorate dalla fiamma le macchie
dell’umidità.
Rimasero
solo le cinque piaghe principali, perché l’amore le volle
conservare come monumento d’amore.
Il
Sangue, nel rifluire, circolò intorno ad esse e vi lasciò uno
splendore divino; non le chiuse ma le aprì come boccioli tinti di
rosa, e la vita vi si manifestò come raggio che saettava amore dal
luogo dove la morte era passata prima vittoriosa e poi vinta. Era il
trionfo della vita che manteneva aperta la breccia che aveva fatta la
morte, e l’arrestava trionfante sugli abissi da dove era uscita. La
trasformazione del Corpo fu istantanea, e la carne non fu più
mortale ma gloriosa, quasi aggregato di luci, di splendori, di
profumi e di raggi di calore purificante. Le bende che l’avvolgevano,
la caverna che la rinchiudeva e la pietra sigillata non potevano
impedirle il passo, non era un fantasma né uno spirito, perché più
tardi si fece toccare, era un Corpo trasfuso di gloria e di potenza,
era la vita che aveva vinto la morte! Uscì dalle bende che invano
l’avvincevano, e non le infranse neppure, tanto erano impotenti ad
avvincerlo. Riaprì gli occhi splendenti d’amore, e non li fissò
sulle anguste pareti della caverna perché essi guardavano il Padre.
Il Cuore quasi affiorò sulle labbra, tanta era la vita d’amore che
saettava, e sorrise, ringraziando il Padre. L’attrasse lo sguardo
divino che si compiaceva di Lui e, nel bacio dell’amore, la sua
divina Persona rifulse attraverso il Corpo come conoscenza e
compiacenza del Padre, proprio come rifulgeva immutabilmente nel seno
del Padre dai secoli eterni. Quel bacio d’amore attrasse il Corpo
fuori della tomba, fuori della terra, e si trovò come sospeso in
alto, in un’estasi d’amore. Nessuno lo vide, poiché nessuno
aveva lo sguardo proporzionato a tanta magnificenza; lo circondarono
quasi le stelle mattutine cantando, e discesero gli angeli osannando;
discesero quasi come li vide Giacobbe per la scala misteriosa! Quale
momento d’amore!
Le
pie donne e l’angelo che annuncia la risurrezione
Giù
sulla terra l’orizzonte s’imbiancava, e l’acre odore della
notte che si diffondeva fra gli alberi ricordava che essa era terra
d’esilio. Le piccole strade erano come nastri annebbiati, e v’era
ancora soffusa la melanconia dell’immolazione del Golgota! Ecco la
via dolorosa… Ecco la porta giudiziaria, ecco il Calvario… Che
cosa illumina questi luoghi di lacrime che ancora par che risuonino
delle grida efferate del venerdì? Non è l’alba che le profuma di
pace: è il Redentore glorioso che illumina il cammino del dolore con
la sua luce e lo rende cammino della vita. Alleluia! Alleluia! Questo
canto risuonò su ogni zolla che fu bagnata dal Sangue della vita, e
la via dolorosa divenne la via della gloria!
Le pie
donne si trovarono innanzi al sepolcro un momento dopo la
risurrezione e, proprio nell’atto nel quale un angelo discese dal
cielo in compagnia di un altro, ruppe i suggelli, rovesciò la pietra
pesante e vi si assise sopra. Le guardie sbigottite caddero a terra
come morte per lo spavento, e le donne rimasero atterrite, non
sapendo che cosa avvenisse.
Il
terremoto che scosse la collina alla discesa dell’angelo le aveva
già spaventate, e la presenza di esseri sovrumani le sbigottì, come
suol avvenire in tutte le visioni soprannaturali; ma non ci voleva di
meno per scuotere la loro morta fede, e per far riconoscere loro la
verità delle parole dell’angelo. Esse erano venute per imbalsamare
un morto, e avevano dimenticato la solenne promessa del Crocifisso.
Se avessero avuto un annuncio pacifico, avrebbero più facilmente
temuto d’ingannarsi; quei cuori avevano bisogno del maglio per
essere scossi. L’angelo
parlò loro:
erano due angeli – come dice san Luca (24,4) –, ma uno solo
parlò, esortandole ad annunciare ai discepoli la risurrezione, e a
dir loro che avrebbero visto il Maestro nella Galilea. Al terrore era
subentrato, nel loro cuore, un gaudio ineffabile, e corsero, per la
premura di dare agli apostoli la lieta novella, quand’esse videro
proprio Gesù che le fermò e le salutò. Non era un fantasma: era
Lui, bellissimo, luminoso, trasfigurato, spirante dolcezza e
misericordia. Esse gli si gettarono ai piedi, glieli strinsero, lo
adorarono, e non sapevano più staccarsi da Lui. Gesù le trattenne
per poco tempo; poi le esortò ad andare ad avvertire gli apostoli
che Egli chiamò fratelli
per ineffabile tenerezza, rinnovando loro il convegno nella Galilea.
Non potevano bearsi della sua presenza quando dovevano riparare la
loro mancanza di fede, richiamando gli apostoli alla fede nel Maestro
divino. Esse avevano ancora nelle mani le bende e gli aromi che
avevano portati per imbalsamare un cadavere, e dovevano portare, agli
smarriti discepoli, l’annuncio glorioso che confermava la verità
nei loro cuori. Era questa la testimonianza più bella d’amore che
potevano dargli.
Gesù è
risorto, primizia dei dormienti – come dice san Paolo –, perché
anche noi risorgiamo un giorno nella gloria. Tutti passiamo sulla
terra, e tutti ci dissolviamo nel sepolcro, ma la risurrezione di
Gesù è la promessa che muta la morte in un sonno, e il sepolcro in
un giaciglio. La Chiesa, con bellissima espressione, chiama
precisamente dormitori, cœmeterii,
i suoi camposanti. Pensiamo che risorgeremo così come ci saremo
addormentati, e che la morte del peccatore non è promessa di
risurrezione gloriosa, ma doloroso sintomo del Giudizio che lo
ricoprirà d’obbrobrio.
Viviamo
santamente, immolandoci con Gesù Cristo, perché, solo se soffriremo
con Lui, saremo glorificati con Lui. Se potessimo vedere di quante
macchie siamo coperti a causa del peccato, e se potessimo valutare le
infezioni della nostra miseria, non ci stupiremmo di soffrire. Il
dolore pone in noi il germe della trasfigurazione finale, poiché ci
segna quasi delle piaghe di Gesù Cristo. Ogni pena lascia nel corpo
una promessa di vita, come ogni falsa gioia e ogni degradazione di
senso vi lascia un germe di vituperio e di condanna. I cattivi
appaiono gaudenti, ma la loro prosperità è come la virulenza
patogena che, prosperando, consuma la vita. Guarda il polmone di un
tisico, e non troverai forse un vivaio simile di germi: si
moltiplicano, si agglomerano; divorano tutto, e sembrano vittoriosi.
Se guardi così il polmone, chiamerai prosperità quella
germinazione; ma se guardi la faccia dell’infermo, e se lo
consideri nelle sue pene, la chiamerai rovina. Tale è la prosperità
temporale dei cattivi: moltiplicazione dei germi che consumano la
vita! È più bello il dolore, è più bella la croce, poiché nel
dolore si purifica l’anima e si vivifica di spirito la stessa carne
che così viene preparata all’eterno trionfo.
Se Dio ci
donasse la prosperità materiale come noi la desidereremmo, essa
diventerebbe per noi come le spine che soffocano la vita della buona
semente. Abbracciamoci la croce esultando, poiché essa è promessa
di prosperità e di vita eterna; abbracciamoci alla croce
abbandonandoci alla bontà di Dio, perdonando, beneficando, amando,
come fece Gesù sul Calvario. Se non rifuggiamo dall’amarezza e
dallo spasimo per la salute del corpo, perché dovremmo rifuggire dal
dolore per la salvezza dell’anima? Cerchiamo solo la vita eterna, e
non disdegniamo di rinunciare alle misere gioie della terra per
ottenerne il possesso!
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