Commento
al Vangelo: IV Domenica di Pasqua A 2014 (Gv 10,1-10)
Don
Dolindo Ruotolo
La
parabola
dell’ovile
e
della
pecorella
Gesù
Cristo, addoloratissimo perché i capi del sinedrio avevano cacciato
fuori della sinagoga il cieco nato da Lui guarito, volle mettere in
guardia il popolo contro quelli che si arrogavano il diritto di
guidarlo, non per nutrirlo spiritualmente, ma per sfruttarlo e
allontanarlo dalle fonti della grazia.
Era infatti terribile la
situazione delle anime proprio in quel tempo nel quale il Signore
compiva le promesse fatte nel corso di tanti secoli, e nel quale si
apprestavano loro i pascoli abbondanti della verità e della grazia.
Quelli che avrebbero dovuto condurle a questi pascoli, e che
avrebbero dovuto far loro riconoscere il Redentore alla luce delle
profezie, delle promesse e delle figure che in Lui si compivano, le
allontanavano da Lui con tutte le arti più scellerate, tradendo così
il mandato avuto da Dio. Essi attribuivano a fanatismo il movimento
del popolo verso Gesù, e credevano che Egli lo sobillasse;
rifiutavano qualunque luce e, lungi dal commuoversi di fronte a
miracoli strepitosi, ne prendevano occasione per invelenire di più
contro il Redentore, e per bistrattare quelli che lo seguivano.
Avrebbero dovuto per i primi accoglierlo, ricevere da Lui il mandato
di pascolare il gregge e condurlo nelle vie della salvezza ai pascoli
eterni; invece lo rinnegavano, e proprio per questo rappresentavano
degl’intrusi.
Essi non avevano più il mandato
da Dio di guidare le anime, dal momento che rifiutavano di ricevere
Colui del quale avrebbero dovuto essere come i precursori e i
rappresentanti e, poiché cercavano di conquistare le loro cariche
con intrighi, anche per questo erano degl’intrusi, e
rappresentavano per le anime un pericolo.
Gli scribi e i farisei avevano
cacciato il cieco guarito dalla sinagoga, solo perché non si era
prestato a svalutare il miracolo ricevuto, e aveva proclamato Gesù
un profeta, cercando di dimostrarlo proprio col miracolo ricevuto;
avevano preteso, con questo, di esercitare la loro autorità, senza
pensare che, dal momento che si erano compiute le promesse, le figure
e le profezie in Gesù, essi non avevano più il diritto di pascolare
le anime se non per suo mandato. Qualunque autorità che non faceva
capo a Lui, Pastore divino del popolo, era un’intrusione e si
riduceva ad un massacro di anime. Questa grande e scottante verità,
Gesù Cristo la espresse con una parabola, tratta dagli usi che i
pastori avevano nel custodire e pascolare le pecorelle.
In Oriente, gli ovili erano dei
vasti recinti chiusi o da palizzate o da mura rozzamente elevate che
servivano a difendere il gregge dagli animali feroci o dai ladri. Una
porta immetteva in questi recinti, dove la sera si radunavano le
pecorelle di vari pastori, i quali, andando a dormire, vi lasciavano
un vigilante custode per la notte. Al mattino, ciascuno ritornava a
prelevare le proprie pecorelle, ed esse, riconoscendo la voce del
proprio pastore, lo seguivano, e uscivano con lui per andare ai
pascoli. Un ladro che avesse voluto rubare una pecorella, non entrava
certo dalla porta, ma scavalcava il muro o la palizzata, e le
pecorelle, non riconoscendone la voce, lungi dal seguirlo se ne
spaventavano e lo fuggivano. Gesù, perciò, disse: Chi
non entra per la porta dell’ovile, ma vi sale per un’altra parte,
è ladro e assassino. Chi invece entra per la porta è il pastore
delle pecore. A lui apre il guardiano, le pecorelle ne ascoltano la
voce, ed egli chiama per nome le sue pecore e le conduce fuori.
Quando ha fatto uscire le proprie pecorelle cammina innanzi ad esse,
e le pecorelle lo seguono perché ne conoscono la voce; ma non vanno
dietro a uno straniero, anzi lo fuggono, perché non conoscono la
voce degli estranei.
Gli scribi e farisei che lo
ascoltavano non compresero di che cosa parlasse loro, perché erano
tanto lontani dal considerarsi come pastori delle anime, e ancora più
lontani dall’intendere che da allora nessuno poteva più pascolare
le anime senza riceverne da Gesù il mandato. Perciò Gesù
soggiunse: In
verità, in verità vi dico che io sono la porta delle pecorelle.
Quanti sono venuti prima di me sono tutti ladri e assassini e le
pecorelle non li hanno ascoltati.
E voleva dire: Io sono la porta che introduce le pecorelle nell’ovile
eterno, e che per introdurvele le conduco ai pascoli salutari; tutti
quelli che sono venuti a reggere le anime senza guardare a me,
promesso da Dio come salvezza o a me venuto in terra come Redentore,
non sono stati pastori, ma ladri e assassini di anime. Quanti
sono venuti –
e il testo greco
aggiunge: prima
di me,
cioè senza
sospirare a me o credere in me –, hanno strappato alle anime la
fede, hanno fatto loro sognare un regno temporale, e perciò le hanno
uccise eternamente, allontanandole dai pascoli della vita. Per
insistere sul suo concetto e per estenderlo agli uomini di tutti i
tempi, Gesù Cristo soggiunse: Io
sono la porta. Chi entrerà per me sarà salvo; entrerà e uscirà e
troverà pascoli. Entrerà nel
mio ovile, trovandovi il riposo, uscirà
ai pascoli nella
mia Chiesa, e li troverà abbondanti; entrerà
nel regno
eterno, e si dilaterà nella felicità eterna, trovando ogni diletto.
Ritornando ai pastori che entrano
nell’ovile non per condurre al pascolo le pecorelle ma per
sfruttarle, Gesù soggiunse che essi sono ladri e vengono per rubare,
uccidere e disperdere il gregge. Rubano loro la fede, ne uccidono
l’anima, e le disperdono nella via della rovina eterna. Egli,
invece, è porta delle pecorelle e porta per la quale entrano i veri
pastori, perché unico supremo Pastore delle anime, è venuto in
terra perché esse abbiano
la vita e l’abbiano abbondantemente.
La
Chiesa Cattolica è la porta,
l’unica,
per la quale entra Cristo
Gesù Cristo è la porta
dell’ovile per la Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana; non entra
nell’ovile per la porta chi prescinde dall’autorità della
Chiesa, dalla sua dottrina e dal tesoro che il Signore le ha dato.
Gli eretici presumono di guidare il gregge ma, non entrandovi per la
porta, sono ladri e assassini di anime ed invece di condurle al
pascolo, le conducono alla perdizione eterna. Chi entra per la porta
può influire sulle anime, perché ha i grandi mezzi della grazia a
propria disposizione, va avanti alle pecorelle con una vita santa, e
le pecorelle ascoltano la sua voce traendo profitto dal suo
ministero.
I poveri protestanti – i soli
che hanno la presunzione di chiamarsi pastori di anime, in
opposizione ai veri pastori dell’ovile di Gesù Cristo –, debbono
tremare, pensando alla terribile parola con la quale Gesù li
designa: ladri e
assassini di anime! Possono
illudersi quanto vogliono, possono mascherarsi, quanto possono, ma
non potranno mai distruggere il fatto che non entrano per la porta
dell’ovile, e sono ladri e assassini di anime. Essi, poi, negano il
Sacramento della vita e, negandolo, privano le anime della vita che
Gesù è venuto a dare e la abbandonano alla morte eterna. Il triste
epilogo del protestantesimo in quelle nazioni che hanno apostatato
dalla Chiesa, e la loro spaventosa caduta nel razionalismo e
nell’idolatria, è troppo eloquente per dirci come i famosi
novatori sono stati e sono ladri e assassini delle anime. È Gesù
Cristo che li ha definiti così, e nessuno può osare di infirmare la
sua divina parola!
Il
buon Pastore e il mercenario
Dal modo com’Egli parlò,
traspare tutta la sua tenerezza verso le anime e, dal contrapposto
che fece tra il buon pastore e il mercenario, tutto il dolore che
provava non solo per i falsi pastori del popolo ebreo, ma per i
pastori falsi e mercenari di tutti i secoli. Io
sono il buon pastore
– esclamò
–; era venuto per dare la vita e per darla abbondantemente, e la
dava alle sue pecorelle non solo pascolandole, ma immolandosi per
loro; perciò soggiunse: Il
buon pastore dà la vita per le sue pecorelle e,
secondo l’espressione del testo greco, dà
la vita in prezzo di redenzione.
Egli era l’unico pastore che
pascolando si offriva, e salvando dalla morte le sue pecorelle
s’immolava per esse. Nell’Eucaristia donò se stesso, offrendosi
al Padre e immolandosi incruentamente, e sulla croce s’immolò
cruentamente. Per confermare e rendere vivo questo grande pensiero,
Gesù Cristo ritornò alla similitudine dell’ovile e delle
pecorelle, e disse: Il
buon pastore dà la vita per le sue pecorelle; il mercenario, invece,
è chi non è pastore, e al quale non appartengono le pecorelle;
egli, quando vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il
lupo rapisce e le disperde. Il mercenario poi scappa perché è
mercenario e non gl’importa delle pecorelle.
Dopo aver detto che Egli è il
buon pastore perché dà la vita per le pecorelle, Gesù Cristo
soggiunge che Egli ha tanta premura per le sue pecorelle che le
conosce ad una ad una, si comunica loro, ed esse lo conoscono. Come
il Padre, conoscendo se stesso, genera il Figlio e gli comunica la
vita infinita, e come il Figlio conosce il Padre, dandogli una lode
infinita, così Gesù Cristo conosce le sue pecorelle, vivificandole
ad una ad una, come se fosse tutto e solo per ciascuna, e dà la vita
per loro, ad una ad una, di modo che ogni sua pecorella ottiene in
pieno il frutto e i benefici della redenzione. Le pecorelle, poi,
vivificate da Lui, lo amano perché lo conoscono e lo glorificano.
C’è dunque, tra Gesù buon pastore e le sue pecorelle, un’unione
d’amore che Gesù stesso paragona all’unione del Padre con Lui
Verbo eterno. Egli dona loro la vita, ed esse lo glorificano e lo
amano; Egli le cura singolarmente, una ad una, ed esse lo amano
d’amore singolare.
Gesù parlava agli Ebrei, ed essi
avrebbero potuto capire che essi solo erano i privilegiati, eletti
per essere il suo ovile, e per averlo come Pastore; Egli, invece,
doveva chiamare al suo Cuore tutte le genti della terra, e perciò
soggiunse: Ho
altre pecorelle
che non sono di quest’ovile; anche quelle bisogna che io conduca;
esse ascolteranno la mia voce, e si farà un solo ovile e un solo
pastore. Egli
chiamò i pagani alla fede, e alla fine dei tempi chiamerà alla
Chiesa gli Ebrei dispersi, formando così di tutte le nazioni un solo
ovile sotto un solo pastore, il Papa. Dopo un periodo di apostasia
generale, Gesù, con l’effusione di nuove grazie, chiamerà tutti i
popoli al suo Cuore, e Israele finalmente conoscerà la sua voce, lo
crederà come Messia e Redentore, si unirà alla Chiesa Cattolica, e
si formerà così un solo ovile di tutte le genti, in una grande
glorificazione di Dio su tutti i cuori. Questa glorificazione sarà
frutto del Sacrificio della croce, e del rinnovarsi di questo
Sacrificio nell’Eucaristia, e il Sacrificio si realizzerà perché
Gesù si offrirà completamente alla divina volontà, dando la vita
sulla croce, riprendendola nella risurrezione, e rinnovandone, poi,
l’offerta sugli altari. Per questo Gesù soggiunse: Il
Padre mi ama perché io do la vita per
riprenderla di nuovo. Nessuno
me la toglie, ma io la dono da me stesso, e ho il potere di darla e
il potere di prenderla di nuovo. Questo comandamento ho avuto dal
Padre mio.
Ai pastori d’Israele che lo
perseguitavano in nome della loro autorità, Gesù, dunque, annuncerà
che Egli solo era il buon pastore, e che la loro autorità era
tramontata. Ad essi, che avevano congiurato di ucciderlo, dichiarò
che sarebbe morto solo per propria elezione, e che questo era
conforme al piano della divina volontà. Annunciò la costituzione
del nuovo suo ovile, formato dalle genti tutte della terra, e abbatté
così, per sempre, le barriere che avevano separato Israele dagli
altri popoli. Egli, prendendo la croce, avrebbe preso in mano lo
scettro della sua regalità e il vincastro del suo pastorale
ministero d’amore, portando al pascolo le sue pecorelle.