Commento
al
Vangelo
della
XVI
Domenica
TO
2014
A
(Mt
13,24-43)
La
parabola del seminatore
La prima parabola che propose al
popolo era come uno sguardo che dava al cuore e alle disposizioni del
suo uditorio, poiché in quel momento Egli gettava la semente della
divina parola nelle anime e la gettava con vario frutto. Un
seminatore che lasciasse cadere la semente sulla strada fra i sassi e
fra le spine non sarebbe un seminatore accorto ma, avendo
sovrabbondanza di semi, la sua stessa ricchezza gliene farebbe cadere
una parte sulla strada, tra le pietre e tra le spine. Gesù Cristo è
venuto in terra per seminare la divina parola, è venuto con una
sovrabbondanza di misericordie per salvare tutti e per dare a tutti i
mezzi di salute; Egli, dunque, semina dovunque, anche nei cuori duri,
benché sappia che, in realtà, la sua semente andrà perduta;
benefica tutti, muore per tutti senza preferenza di persone, e
attende il frutto della corrispondenza umana.
È sempre Gesù che fa la grande
semina della divina parola, perché gli apostoli e i loro successori
lo rappresentano e agiscono in suo nome; la semente che Egli dona è
sempre buona e atta a germinare, perciò non c’è caso nel quale
l’uomo possa dire di aver ricevuto un aiuto insufficiente; non è
cattiva la semente, ma la terra dove essa cade, quando non produce
frutto, o lo produce imperfettamente.
Il seminatore viene dalla strada
col grembiule pieno di semi e, logicamente, per entrare nella terra,
percorre prima un tratto di strada, poi attraversa le macerie del
campo, poi la siepe irta di spine e infine va nella terra buona e
fino ai luoghi meglio esposti e più ubertosi. È questa la ragione
per cui, dal grembiule sovraccaricato, sfugge parte della semente
sulla strada, tra le pietre e tra le spine. Anche il predicatore
della divina parola, per giungere alle anime capaci di fecondità,
deve parlare a tutti, e passa quasi per la strada del mondo tra le
pietre delle anime superficiali, e tra le spine di quelle assalite
dalle passioni.
Il popolo ebreo fu per Gesù come
la strada per giungere a tutte le anime e, in mezzo ad esso, la
parola fu come divorata dal maligno, senza portare frutto. Dagli
Ebrei la parola passò ai popoli circostanti e ai Greci, dove sembrò
germinare perché accolta con esultanza, ma poi non fruttificò
perché cadde tra le pietre della cultura umana e non pose radici.
Dal mondo greco passò a quello romano, irto di spine di passione, e
fu soffocata dalle sollecitudini del secolo presente e dalla
seduzione delle ricchezze. Essa, però, trovò la terra buona nelle
anime che sinceramente fecero parte della Chiesa, e fruttificò –
come dice sant’Agostino –, il cento per uno tra i martiri, il
sessanta tra i vergini, il trenta fra quelli che vivono santamente
nel mondo.
Nel campo particolare delle anime
avviene spesso che molti ascoltano la divina parola ma pochi ne
traggono frutto, secondo quello che dice Gesù Cristo stesso
spiegando la parabola.
Vi sono quelli che ascoltano più
per curiosità che per trarne profitto, e la parola viene loro rapita
dal maligno; ascoltano e poi dimenticano tutto, o non vi fanno più
caso e ritornano ai loro vani pensieri.
Vi sono quelli che ascoltano,
provano un diletto spirituale nell’evidenza della verità,
propongono anche di confessarsi e cambiar vita ma, alle prime
contraddizioni e persecuzioni, mutano pensiero e ritornano alla vita
di prima.
Vi sono, infine, quelli che
accolgono la divina parola, ma pretendono conciliarla con la
sollecitudine delle cose terrene e delle ricchezze, e la soffocano
nel loro cuore.
Per ricevere con frutto la parola
di Dio bisogna essere terra buona, cioè bisogna avere le
disposizioni interiori per meditarla, svilupparla e metterla in
pratica.
Il
grano e la zizzania
Dio semina nel cuore degli uomini
il buon seme della sua parola, ma il demonio non se ne sta inoperoso,
e cerca di seminare sul grano la zizzania, quando i coltivatori del
campo dormono. La zizzania o loglio, lolium
temulentum,
è una pianta
che non differisce molto dal grano, quando è ancora tenera; ma si
distingue bene, poi, dal frutto che produce perché le sue spighe
hanno granelli neri che, frammischiati alla farina di grano in
quantità notevole, la rendono nociva. Gesù non poteva scegliere una
similitudine più appropriata per designare gli errori, le eresie e
le illusioni di una falsa vita cristiana, con le quali il demonio
cerca rendere vana la semina fatta dal Signore.
Gli errori si diffondono quando i
sacerdoti dormono,
cioè quando non
hanno una vita di ardente zelo e non sanno vigilare nella preghiera;
allora subdolamente satana invade il campo del Signore e, per mezzo
degli eretici, getta il germe della dissensione con errori teorici e
pratici che sembrano aver l’apparenza della verità mentre sono
esiziali alla salvezza delle anime. È così che nel campo seminato
da Gesù Cristo si trovano i buoni e i cattivi, gl’illuminati dalla
verità e gli ottenebrati dagli errori. Il Signore, per provare gli
eletti, permette che i buoni siano accanto ai cattivi, e si riserva
di fare la cernita del suo gregge nel giorno del Giudizio. Gli
eretici e i cattivi, per quanto possano dissimularsi sotto apparenze
ingannatrici, si smascherano con la loro vita, proprio come la
zizzania si fa conoscere dal suo frutto.
Lo zelo del bene ci fa desiderare
che i cattivi non ci siano nel mondo, e vorremmo che la giustizia di
Dio li recidesse con castighi improvvisi e terribili. È questa
l’aspirazione di tante anime, specialmente quando vedono la
tracotanza e l’apparente trionfo dei cattivi. Ma il Signore ha dato
all’uomo il tempo della vita come prova, e non interviene per non
interrompere questa prova e per dare a tutti tempo di penitenza. Se
la giustizia rigorosa dovesse colpire i cattivi, essa finirebbe per
colpire anche i buoni, perché nessuno è senza colpa al cospetto del
Signore; è dunque necessario che la misericordia si effonda su
tutti, buoni e cattivi, affinché quelli, crescendo fino alla
maturità, abbiano il tempo e la grazia di poter produrre almeno quel
minimo frutto che li renda capaci della ricompensa eterna.
Questa bellissima parabola la
spiegò Gesù Cristo stesso agli apostoli dopo che, congedate le
turbe, si ritirò nella casa che l’ospitava. La sua parola
divinamente semplice risolveva uno dei problemi più assillanti e
tormentosi della vita della Chiesa nel mondo. La sua parola era
verità, non lasciava adito a inutili discussioni, non poteva forse
neppure meditarsi con ragionamenti personali: poteva solo
contemplarsi. Quello infatti che Gesù dice è,
e l’anima non può
che assentire, adorare, sperare e attendere l’ora di Dio. Si può
solo approfondire, con la sua luce e la sua grazia, quello che Egli
dice, poiché ogni sua affermazione suppone e indica l’esistenza di
un problema.
Il
mistero dei buoni e dei cattivi nel mondo: oggi particolarmente
attuale
In questa parabola è prospettato
uno dei problemi più gravi nella vita della Chiesa, come si è
detto: nel campo del mondo c’è la buona semente, seminata dal
Signore, cioè ci sono i buoni, i figli del regno, quelli che
crescono per dare un frutto di bene, e per godere poi l’eterna
ricompensa, e c’è la zizzania seminata dal diavolo, la quale
rappresenta i cattivi, i figli del maligno. Quelli che traviano dalla
Legge del Signore, benché chiamati anch’essi all’eterna gloria
come tutti gli uomini, si rendono figli di satana comunicando alla
sua vita e alla sua malizia. Come Gesù Cristo forma i figli del
regno, comunicando loro la sua vita attraverso i Sacramenti e
l’Eucaristia, così satana forma i figli delle tenebre, invasandoli
con le sue suggestioni interne e con le sue tentazioni esterne.
Il mondo, con le sue illusioni, e
la carne con le sue prepotenze sono le vie per le quali satana
raggiunge le anime e, sotto quella specie di morte, comunica loro la
propria malignità, e le lancia poi nella Chiesa come elemento di
dissensione e di scandalo. Il peccato è proprio della fragilità
umana, ma certe forme di delinquenza non sono semplicemente dei
malanni dello spirito: sono delle vere possessioni diaboliche che
mutano il buon seme in zizzania, e poi lo gettano nel campo di Dio
per turbarne lo sviluppo.
Il
granello di senapa
Il mondo affascina le anime
perché ostenta una grandezza che, in realtà, non ha; esso si
sviluppa come pianta cattiva che subito cresce e dà frutti di morte.
La Chiesa, invece, appare come una piccola cosa, e diremmo quasi come
un’utopia innanzi a quelli che la rinnegano. Ma questa piccolezza
apparente ha, in realtà, in sé, una forza di vita che nessuno
sospetta, e costituisce il riposo delle creature che cercano Dio.
Gesù Cristo espresse questa vitalità con la parabola del granello
di senapa. Questa è una pianta annuale, con numerosi rami e larghe
foglie che appartiene alla famiglia delle crocifere. Cresce
abbondantemente in Palestina e raggiunge l’altezza di tre o quattro
metri, in modo che veramente gli uccelli vi possono nidificare. La
semente di questa pianta è piccolissima di fronte al suo sviluppo, e
per questo Gesù la chiama una delle più piccole. Ora, la Chiesa ha
nella sua apparente piccolezza una vita meravigliosa e, come granello
di senapa, cresce, si espande, fruttifica e raccoglie nelle sue
braccia le anime.
Il
lievito
Il Vangelo, agli occhi del mondo,
sembra una cosa piccola e spregevole, senza lo splendore di quella
orgogliosa e gonfia sapienza umana che cerca il suo successo nei
paroloni; eppure le sue parole semplici sono come il lievito che, in
piccola proporzione, messo in tre staia di farina, cioè in circa 39
litri, la fermenta tutta e lievita la pasta dalla quale si fa poi il
pane. La parabola del seminatore, con tutta la semente inutilmente
caduta sulla strada, fra le pietre e tra le spine, avrebbe potuto far
credere quasi inefficace la predicazione della divina parola, e per
questo Gesù soggiunge che essa ha una grande forza di germinazione e
di espansione là dove cade, e che riempie la terra come fermento di
vita nuova che muta le anime, elevandole ad una vita soprannaturale
altissima.
Quanti santi si sono formati alla
santità e sono ascesi nelle vie della perfezione con una sola parola
del Vangelo! San Francesco d’Assisi ascoltò solo quella che
esortava alla povertà, e in lui essa fu veramente come fermento che
gli fece concepire un grande amore alla vita umile e spregiata, e lo
unì tutto a Gesù Cristo.
Chi annuncia la divina parola non
deve scoraggiarsi, vedendo l’insensibilità di quelli che
l’ascoltano: deve rendere lievito quella parola nel proprio cuore,
pregando e infiammandosi d’amore, con la certezza che, così
fecondata, non penetra mai invano in un cuore e lo trasforma a poco a
poco.
Padre Dolindo Ruotolo
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