Commento
al Vangelo della XV Domenica TO 2014 A (Mt
13,1-23)
L’insegnamento
di
Gesù in parabole
Gesù
parlava quasi sempre per similitudini e paragoni presi dalla vita o
da particolari circostanze, per rendere più vivi i suoi
insegnamenti, e più penetranti nell’anima. La parabola e il
paragone, infatti, sono come una scena viva che attrae chi ascolta,
gli rende difficile il distrarsi, previene le sue difficoltà, e gli
fa accogliere più facilmente la Parola di Dio.
Nelle
parabole raccolte nel presente capitolo, Gesù volle mostrare lo
sviluppo del regno di Dio sulla terra, ossia della Chiesa, e parlò
velatamente affinché i malintenzionati che aspettavano un regno
temporale del Messia, non ne avessero preso occasione per
disorientare maggiormente il popolo. Con la parabola del seminatore
descrisse lo sviluppo del regno di Dio nel cuore degli uomini e
nell’apostolato; con quella del grano e della zizzania mostrò che
nello sviluppo esterno della Chiesa i buoni sono mescolati ai
cattivi; con quella del granello di senapa e del lievito mostrò la
rapida diffusione del regno di Dio con i mezzi più umili; con quella
del tesoro e della perla ne mostrò la preziosità, e con quella
della rete il riepilogo della fine dei tempi.
Siccome
poi, il regno di Dio è anche dentro di noi, così le parabole
possono avere una particolare applicazione all’anima. Gesù fece
Egli stesso l’applicazione della parabola del seminatore all’anima,
e quella del grano e della zizzania alla vita della Chiesa.
Uscì
dunque il Redentore dalla casa che l’ospitava, e sedette in riva al
mare. Egli che aveva detto ai suoi apostoli: Vi
farò pescatori di
uomini, s’era fermato sulla riva quasi per pescare le anime,
attraendole con la sua bontà. Si radunò, infatti, intorno a Lui,
una gran turba di popolo, ed Egli, per meglio parlare e farsi
ascoltare, prese posto in una barca e parlò così al popolo che
stava sulla riva. Non
era un gesto casuale, perché quella navicella rappresentava la
Chiesa, ed Egli che vi prese posto ne annunciava il Magistero
infallibile.
La
parabola del seminatore
La prima
parabola che propose al popolo era come uno sguardo che dava al cuore
e alle disposizioni del suo uditorio, poiché in quel momento Egli
gettava la semente della divina parola nelle anime e la gettava con
vario frutto. Un seminatore che lasciasse cadere la semente sulla
strada fra i sassi e fra le spine non sarebbe un seminatore accorto
ma, avendo sovrabbondanza di semi, la sua stessa ricchezza gliene
farebbe cadere una parte sulla strada, tra le pietre e tra le spine.
Gesù Cristo è venuto in terra per seminare la divina parola, è
venuto con una sovrabbondanza di misericordie per salvare tutti e per
dare a tutti i mezzi di salute; Egli, dunque, semina dovunque, anche
nei cuori duri, benché sappia che, in realtà, la sua semente andrà
perduta; benefica tutti, muore per tutti senza preferenza di persone,
e attende il frutto della corrispondenza umana.
È sempre
Gesù che fa la grande semina della divina parola, perché gli
apostoli e i loro successori lo rappresentano e agiscono in suo nome;
la semente che Egli dona è sempre buona e atta a germinare, perciò
non c’è caso nel quale l’uomo possa dire di aver ricevuto un
aiuto insufficiente; non è cattiva la semente, ma la terra dove essa
cade, quando non produce frutto, o lo produce imperfettamente.
Il
seminatore viene dalla strada col grembiule pieno di semi e,
logicamente, per entrare nella terra, percorre prima un tratto di
strada, poi attraversa le macerie del campo, poi la siepe irta di
spine e infine va nella terra buona e fino ai luoghi meglio esposti e
più ubertosi. È questa la ragione per cui, dal grembiule
sovraccaricato, sfugge parte della semente sulla strada, tra le
pietre e tra le spine. Anche il predicatore della divina parola, per
giungere alle anime capaci di fecondità, deve parlare a tutti, e
passa quasi per la strada del mondo tra le pietre delle anime
superficiali, e tra le spine di quelle assalite dalle passioni.
Il popolo
ebreo fu per Gesù come la strada per giungere a tutte le anime e, in
mezzo ad esso, la parola fu come divorata dal maligno, senza portare
frutto. Dagli Ebrei la parola passò ai popoli circostanti e ai
Greci, dove sembrò germinare perché accolta con esultanza, ma poi
non fruttificò perché cadde tra le pietre della cultura umana e non
pose radici. Dal mondo greco passò a quello romano, irto di spine di
passione, e fu soffocata dalle sollecitudini del secolo presente e
dalla seduzione delle ricchezze. Essa, però, trovò la terra buona
nelle anime che sinceramente fecero parte della Chiesa, e fruttificò
– come dice sant’Agostino –, il cento per uno tra i martiri, il
sessanta tra i vergini, il trenta fra quelli che vivono santamente
nel mondo.
Nel campo
particolare delle anime avviene spesso che molti ascoltano la divina
parola ma pochi ne traggono frutto, secondo quello che dice Gesù
Cristo stesso spiegando la parabola.
Vi sono
quelli che ascoltano più per curiosità che per trarne profitto, e
la parola viene loro rapita dal maligno; ascoltano e poi dimenticano
tutto, o non vi fanno più caso e ritornano ai loro vani pensieri.
Vi sono
quelli che ascoltano, provano un diletto spirituale nell’evidenza
della verità, propongono anche di confessarsi e cambiar vita ma,
alle prime contraddizioni e persecuzioni, mutano pensiero e ritornano
alla vita di prima.
Vi sono,
infine, quelli che accolgono la divina parola, ma pretendono
conciliarla con la sollecitudine delle cose terrene e delle
ricchezze, e la soffocano nel loro cuore.
Per
ricevere con frutto la parola di Dio bisogna essere terra buona, cioè
bisogna avere le disposizioni interiori per meditarla, svilupparla e
metterla in pratica.
Perché
Gesù parla in parabole?
Gli
apostoli si meravigliarono che Gesù parlasse in parabole, perché
non capirono che cosa Egli avesse voluto dire con quella del
seminatore. Dopo il semplice e chiaro discorso delle beatitudini,
sembrava ad essi enigmatico parlare con parabole delle quali non
riuscivano a capire l’applicazione. Perciò vollero interrogarlo;
ma, ricordando le severe parole che Egli aveva detto agli scribi e
farisei (vedi capitolo precedente), non ebbero il coraggio di
domandare un’esatta spiegazione a Gesù, temendo forse di averne un
rimprovero, e perciò si limitarono solo a chiedergli perché avesse
parlato in quel modo. Questo si rileva chiaramente dalla risposta del
Signore. Egli, infatti, rispondendo al loro desiderio nascosto,
disse: Perché
a voi è stato concesso di intendere i misteri del regno dei cieli ad
essi invece non è stato concesso. Cominciò
col promettere loro la spiegazione di ciò che aveva detto, perché
essi ascoltavano la divina parola con semplicità, e protestò con
rammarico di non poter fare la stessa spiegazione agli scribi e
farisei perché, con la loro opposizione maligna alla verità,
avevano perso la stessa possibilità d’intenderla e di farla
fruttificare in loro. Erano stati chiamati alla fede, ma avevano
rifiutato la verità, e avevano perso anche ciò
che avevano, rendendosi
incapaci d’intenderla.
Chi ha la
grazia e vi corrisponde sta nell’abbondanza spirituale, ma chi di
proposito non corrisponde perde anche la grazia che aveva. Gesù
espresse questa grande verità con un proverbio comune, dicendo: A
chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza, ma a chi non ha
sarà tolto anche quello che ha;
il
ricco acquista facilmente nuove ricchezze, e il povero, non avendo
proventi, perde facilmente quel poco che ha; così avviene nel campo
della grazia. Gli scribi e i farisei saranno privati anche del poco
che hanno, e Gesù, applicando loro un passo difficile di Isaia
(6,9-10), giustifica meglio perché parla loro in parabole: Egli
vuole renderli meno rei, e ritardare in essi la perdita definitiva di
ciò che hanno, per concedere loro altro tempo di penitenza. Essi
infatti, vedendo
evidentemente
i prodigi che Egli compie, non
vedono perché
li attribuiscono a satana e, udendo
la
divina parola, non
l’ascoltano perché
ne travisano il senso; questa grande ingratitudine fu annunciata già
da Isaia come una causa prossima dell’accecamento del loro cuore, e
Gesù, per renderli meno responsabili, parla in parabole e annuncia
velatamente le grandi verità del regno di Dio che essi
traviserebbero innanzi alle turbe. L’ingratitudine degli scribi e
farisei è tanto più grave, in quanto essi vedono e ascoltano quello
che gli antichi desiderarono vedere e ascoltare, e che i posteri
invidieranno loro, rendendo così vano, in loro, un beneficio divino
unico e singolare.
Padre Dolindo Ruotolo
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