Commento
al
Vangelo
della
XX
Domenica
TO
2014
A
(Mt
15,21-28)
La
Cananea
Gli
scribi e farisei, nelle loro opposizion
i al Redentore, non si
contentavano solo di parole, ma tentavano passare ai fatti e ordivano
congiure contro di Lui, per liberarsene. Gesù Cristo, per impedire
una recrudescenza del loro odio, si allontanò dalla pianura di
Genesaret, dove si trovava, e passò nelle parti di Tiro e Sidone,
cioè tra gente cananea. Egli annunciava così, con i fatti, che la
parola della verità, rigettata dal popolo ebreo, sarebbe passata ai
pagani; non andò in quei luoghi per evangelizzarvi il popolo, ma per
indicare quello che sarebbe avvenuto in futuro e, conoscendo tutto,
vi andò per mostrare con un esempio pratico agli apostoli,
disorientati dalla propaganda farisaica che cosa significasse aver
fede. È evidente dal contesto che Egli stesso attrasse a sé la
povera Cananea che andò a supplicarlo per la figlia indemoniata;
anzi può dirsi che sia andato esclusivamente per lei in quelle
contrade, non avendovi operato altro.
La
fama dei suoi miracoli si era sparsa in ogni luogo, e forse la
Cananea aveva tante volte desiderato incontrarsi con Lui, per
supplicarlo in favore della figlia. Forse aveva pregato con viva
fede, credendolo il Messia; di fatto avvenne che, appena saputo della
sua presenza, gli corse incontro, chiamandolo Figlio
di Davide e Signore,
e
rivelandolo come Colui che doveva venire.
La
sua preghiera fu semplicissima: ella espose il suo caso doloroso, e
lasciò a Lui la cura di pensarci.
Pregò
con fede nel chiamarlo Figlio di Davide, con umiltà nell’implorarne
pietà e con fiducia, esponendogli il suo caso doloroso tra grida di
suppliche. Gesù non le rispose nulla: sembrò insensibile a
quell’angoscia materna, Egli che aveva un Cuore infinitamente
tenero.
La
donna non si scoraggiò ma continuò a gridare e gli apostoli, presi
dalla compassione, lo supplicarono di accontentarla. Egli rispose che
non era stato mandato che alle pecore perdute della casa d’Israele.
Con
queste parole non intese dire di non voler esaudire la preghiera di
quella donna, ma volle mostrare agli apostoli, con una durezza che li
addolorava, quanto era contrario alla carità la crudeltà di chi
s’irrigidiva in una legge esteriore, senza tener conto del suo
spirito.
Dal
suo Cuore, però, partivano raggi di carità invisibili che colpirono
la donna, la resero più ardita e la fecero avvicinare a Lui,
implorando aiuto. Gesù rispose che non
era bene prendere il pane dei figli per darlo ai cani. Chiamò
cani
i pagani, non perché il suo amore li stimasse tali, ma perché così
li riguardavano gli scribi e i farisei.
Intenzionalmente
volle far sentire agli apostoli, in un contrasto con una madre
supplicante, quanto fosse ingiusto il disprezzo che gli Ebrei avevano
dei pagani. Essi, vedendo quel disprezzo in confronto con Lui, Carità
per essenza, ne distinguevano di più l’orrore. Egli, poi, dicendo
una parola così dura alla povera Cananea, le fece sentire,
contemporaneamente, con quale carità la riguardava; il suo Cuore
divino la provava e le dava la grazia per resistere alla prova. La
Cananea, infatti, rispose con maggiore fede che anche i cagnolini
mangiavano le briciole che cadevano dalle mense dei loro padroni. Era
indegna del pane dei figli, e come cagnolina voleva raccogliere solo
una briciola di quella potenza taumaturga con la quale Egli colmava
di benefici tanti poveri infelici. Questa era la più grande
espressione di una fede umile e sincera, e Gesù, mutando d’un
tratto atteggiamento, ed elogiando tanta fede, la esaudì e, a
distanza, con una parola d’onnipotenza, le sanò la figlia.
La
lezione era tutta rivolta agli apostoli titubanti; essi dovettero
riconoscere che non avevano quella fede profonda che sa resistere
alle prove; dovettero capire quanto superiore agli scribi e farisei
era quell’umile donna che aveva nel cuore un tesoro di fede sul
Messia, e si sentirono rinfrancati nello spirito. Gesù, poi, partito
di là, e andato verso il mare di Galilea, cioè sulla riva orientale
del lago di Genesaret, vi operò moltissimi strepitosi miracoli,
confermando così la fede dei suoi apostoli.
Muti,
ciechi, zoppi, storpi e molti altri infermi sperimentarono la sua
potenza e ne furono consolati spiritualmente e corporalmente.
Quante
volte, pregando, ci sembra che Gesù Cristo, la Madonna e i santi non
ci ascoltino, e l’anima si disorienta, a volte, fino a sentir venir
meno la fede! Quante volte, in questi momenti di tenebre, satana ci
suggerisce che è vano pregare e ci getta in una cupa disperazione
che è forse il tormento maggiore della vita! Eppure, in quei momenti
di oscurità, proprio allora, dobbiamo intensificare la preghiera,
perché la fede esca ingigantita dalla prova e ottenga grazie
maggiori di quelle che ha richieste. Si può dire, con assoluta
certezza, che nessuna preghiera è vana, e che quando non ci vediamo
esauditi ci si prepara una consolazione più grande, temporale ed
eterna. Non siamo degli abbandonati nel mondo, non siamo dei reietti:
siamo figli del Padre celeste, ed Egli ci riserba il suo pane, cioè
la ricchezza delle sue misericordie.
Padre Dolindo Ruotolo
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