Commento al Vangelo – IV Domenica di Avvento 2014 B (Lc 1,26-38)
Don Dolindo
Ruotolo
Il
momento dell’Incarnazione
In un’umile borgata, celebre non per grandezza ma per il disprezzo
proverbiale nel quale era tenuta, viveva un’umile verginella, sposata ad un
umile falegname. Quando si voleva dare un appellativo di disprezzo, si diceva: È stolto come uno di Nazaret, e quella borgata era così
umiliata che non si credeva potesse dare i natali a qualche cosa di buono. Il
Signore, che deride le vedute umane e che si compiace dell’umiltà, volle
scegliere proprio questa borgata come luogo per incarnarsi. Come Egli adagia la
fava nel morbido baccello e manda la rugiada fecondante nella notte, così volle
riposare nell’umiltà, e discendere in un luogo di sommo nascondimento agli uomini.
L’umiltà
L’umiltà,
l’umiltà è il fascino di Dio, perché è il foco nel quale la sua luce può
riflettersi e la sua grandezza può manifestarsi. Egli che, conoscendo se stesso
genera il Verbo, non trova altro luogo dove riporre il Verbo fatto Fiore di
Iesse che nell’umiltà, conoscenza di se stessi nella piccolezza. La creatura,
conoscendo se stessa e umiliandosi, attira il Creatore; nel soave vuoto
dell’umiltà, Egli rifulge, poiché il disprezzo amoroso nel quale la creatura si
sprofonda è apprezzamento di Dio, ed ha qualcosa di quell’eterna conoscenza
feconda del Verbo eterno. È un mistero d’amore che il mondo non conosce.
La Verginella di Nazaret
L’umiltà
attrasse Dio sulla terra, poiché la Verginella da Lui scelta come suo tabernacolo vivente
era la più umile di tutte le creature. Maria, della discendenza di Davide, di
stirpe regale; era, in realtà, sconosciuta a tutti, e viveva come umile persona
del popolo nelle modeste condizioni di una vita di lavoro. Si era tutta
consacrata al Signore, fin dalla piccola età, nel tempio, e gli aveva offerto
la sua verginità immacolata; ma chi aveva cura di Lei l’aveva voluta sposare ad
un uomo della stessa casa di Davide, Giuseppe e, come si usava in quei tempi,
aveva contrattato il matrimonio a sua insaputa. Ella aveva obbedito, fiduciosa
di conservare intatto il suo giglio poiché, l’uomo al quale era stata legata,
era di straordinaria virtù. Può supporsi che gliene avesse parlato; ma forse,
con maggiore probabilità, si era interamente affidata al Signore, aspettando da
Lui la guida nel suo misterioso cammino. Nella sua profonda intuizione della
divina volontà, aveva capito che Dio aveva un fine in quel casto connubio, e si
era acquietata, confidando in Lui. Questo non è una pia supposizione, ma può
dedursi dal suo atteggiamento verso san Giuseppe, dopo l’Incarnazione del
Verbo, poiché, come vedremo, Ella non gli svelò il mistero, ma attese che Dio
glielo avesse svelato.
Quand’ecco giunse un angelo di Dio
Quand’ecco
una gran luce invase la stanzetta e la fece trasalire. In quella luce splendeva
più fulgido un angelo di Dio.
Maria
non si turbò e non temette, perché era abituata alla compagnia degli angeli; ma
si accorse che quel celeste messaggero non era come gli altri, in quel momento.
Non aveva un aspetto di maestà, ma sembrava prostrato in riverente ossequio;
rifulgeva di luce più grande, poiché portava il più grande messaggio che sia
stato mai portato dal Cielo in terra; ma la sua grandezza era velata
dall’umiltà.
Sostò
per un momento, si curvò e, ammirando il capolavoro di Dio, esclamò: Ti
saluto, o piena di grazia, il Signore è con te; benedetta tu fra le donne. E
si fermò adorando Dio che l’aveva fatta così bella, poiché in Lei vedeva i
riflessi più luminosi dell’infinita santità.
Maria,
l’umilissima Maria si sentiva salutata con parole grandi che per Lei erano incomprensibili;
allora si turbò perché quelle parole non avevano eco nel suo Cuore, abituato ad
impiccolirsi; erano come un linguaggio sconosciuto per Lei, e pensò che cosa
potessero significare. Non sospettò che fossero un elogio, ma temette che
fossero un rimprovero, un segno dello scontento di Dio. Si rileva chiaramente
da ciò che l’angelo soggiunse: Non temere, perché hai trovato grazia innanzi
a Dio.
Si direbbe: è la psicologia delle anime veramente umili; esse si
turbano negli elogi, perché sembrano loro un assurdo, e li riguardano come un
traviamento del loro cuore, perché ad esse sembrano che manomettano la gloria
di Dio.
Maria
non si turbò nella visione dell’angelo, come suppongono alcuni, ma nelle sue
parole – come dice
esplicitamente il Sacro Testo – e, non sapendone intendere il significato, come
chi ascolta una lingua sconosciuta, mostrò fino a qual punto giungeva la sua
umiltà! Fu in quel momento di abbassamento interiore che l’angelo la preconizzò
Madre di Dio: Ecco, concepirai nel tuo seno un figlio e lo chiamerai Gesù.
Questi sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo. Il Signore gli darà
la sede di Davide, suo padre, e regnerà in eterno nella casa di Giacobbe, e il suo
regno non avrà mai fine. L’angelo disse: Concepirai nel tuo seno e
partorirai; dunque, doveva diventare veramente madre; doveva dare nome al
suo Figlio Gesù, Salvatore; dunque
si compivano i vaticini che annunciarono la salvezza d’Israele e del mondo; il
Figlio sarebbe chiamato Figlio dell’Altissimo; e quindi Ella sarebbe stata la Madre di Dio. Avrebbe avuto
il regno di Davide in eterno, il vero regno promesso al santo re, il regno
della grazia e dell’amore che sarebbe durato in eterno.
Maria
rimase pensosa. Ella era sposata a san Giuseppe; aveva promesso a Dio il fiore
verginale, e sapeva che l’aveva promesso anche Giuseppe; che cosa doveva fare?
Desiderosa solo di compiere la divina volontà voleva sapere come doveva compierla.
Maria, in quel momento, fece un atto di virtù più grande di quello di Abramo e,
invece di mostrarsi pronta a immolare il proprio figlio, si mostrò pronta anche
a rinunciare alla sua verginale integrità, se così a Dio fosse piaciuto. Non è
esatto supporre e dire che Maria avrebbe rinunciato alla divina Maternità per
non rinunciare alla verginità; questo non sembrerebbe consono alla piena sottomissione di Maria al volere di Dio. La Vergine espose solo la sua
particolare condizione, e implicitamente quella di san Giuseppe: Ella non conosceva
uomo e, dato il suo voto,
non poteva conoscerlo se Dio l’avesse voluto, Ella aveva uno sposo vergine che
per la sua consacrazione apparteneva a Dio solo; come sarebbe avvenuta la
concezione? Ella non poteva rompere il legame che san Giuseppe aveva stretto
con Dio, e domandava come sarebbe potuto avvenire il concepimento. Ma l’angelo
subito la rassicurò; Ella avrebbe concepito per opera dello Spirito Santo, e la
sua verginità, come quella di san Giuseppe, sarebbe rimasta integra.
Le
parole dell’angelo non furono una semplice affermazione, furono una gran luce,
poiché egli parlava in nome di Dio. Nessuno può capire con quale amoroso
rispetto un angelo pronuncia il Nome di Dio, dal quale tutto riceve e nel quale
si bea. Gabriele, nel nominare lo Spirito Santo, rifulse d’amore, fruendo
dell’eterno Amore e, nell’accennare alla virtù dell’Altissimo, mostrò nel suo
volto il suo riverente timore per l’onnipotenza divina. Era fulgido d’amore e
prono in adorazione talmente profonda, da far apprezzare l’infinita distanza
che sussiste tra la potenza della creatura e quella del Creatore. Maria in quel
momento contemplò la potenza di Dio e vi si abbandonò con un atto di fede
illimitata. Non aveva bisogno di sapere altro, non aveva bisogno di scrutare,
non volle pensare alle conseguenze esterne di una sua concezione miracolosa;
curvò l’intelletto e credé, piegò la volontà e si donò, aprì il cuore e amò
d’intenso amore Dio.
L’angelo
soggiunse che anche Elisabetta, benché sterile, aveva miracolosamente concepito
un figlio, e stava già al sesto mese, perché niente era impossibile a Dio. Era
questa la prova umana che dava alla ragione di Maria, perché Dio, nelle sue
grandi opere e nelle sue rivelazioni, ha sempre un riguardo delicato per la
ragione umana. La fede piena in Lui è in tal modo sostenuta, ed ha una maggiore
facilità nel suo slancio. La luce, nella ragione, è come la spinta della
catapulta all’aeroplano che deve spingersi al volo senza motore, e lo lancia
d’un colpo nell’azzurro del cielo.
Maria credé: «Ecco la serva del Signore...»
Maria
credé al grande mistero che le si annunciò e credé all’effusione dello Spirito
Santo in Lei. Curvò la fronte con immensa umiltà, aprì il cuore con piena
dedizione, e pronunciò quelle ammirabili parole che dovevano far compiere il
grande mistero dell’Incarnazione del Verbo: Ecco la serva del Signore, sia
fatto di me secondo la tua parola. Fu un momento solenne che la povera
penna non sa rendere; fu il momento delle nozze d’una creatura con l’eterno
Amore, e della discesa del Verbo nel suo immacolato seno. Si direbbe che questa
discesa d’amore fu come l’immenso peso che fece traboccare la bilancia della
misericordia, e sollevò Maria fin là dove il Verbo era disceso, fino alle
altezze eterne. Maria si raccolse in silenzio, s’inabissò in Dio, si donò a Lui
interamente, umiliandosi fino alla polvere del proprio nulla. Sparì quasi in
questo atto di profondissima umiltà, e pregò ardentemente. Avvertì una grande
pace, e sentì rifluire nella sua vita una corrente di purezza sterminata.
Il suo
corpo sembrava fosse diventato spirito, tanto era luminoso e diafano in quella
gran luce che l’adombrava. Fu tutta come un cantico vivente d’amore: cantavano
le sue potenze nell’armonia dei doni dello Spirito Santo, rifulgeva
l’intelletto di sapienza divina, rifulgeva la volontà tutta unita a quella di
Dio, l’inondava una luce immensa di scienza celeste per la quale conversava nei
cieli, anzi nella pace amorosa della Santissima Trinità, poiché da quel momento
Dio la chiamava quasi nel divino consesso: era infatti la Figlia, la Sposa, la
Madre di Dio, aveva in sé l’immagine più grande della Santissima Trinità, era
principio generante del Verbo Incarnato, l’aveva nel suo seno, congiunto a sé
per l’eterno Amore, e poteva rispondere, come eco, alle eterne parole: Ex utero ante luciferum genui te, dette da Dio Padre, con le parole del suo amore
materno: Dal mio seno, nella luce di Dio ti ho generato. È mirabile! Dio
parlando della generazione eterna del Figlio paragonò il suo eterno seno
all’utero verginale, perché non fosse sembrato strano che da una Vergine un
giorno potesse essere concepito il Verbo Incarnato, e Maria poteva paragonare
il suo utero al seno eterno di Dio Padre!
E il Verbo si fece Carne
L’angelo
fu testimone delle nozze di Maria con lo Spirito Santo e dell’Incarnazione del
Verbo; fu quello un momento di grande gioia per il suo spirito ardente, e sostò
in adorazione. L’eterno Amore che congiunge il Figlio al Padre, congiunse il
Figlio alla Madre divina. Attivò in Lei un amore immenso e l’avvolse con la sua
fiamma; l’adombrò, cioè
la fece quasi sparire in quella fiamma, rendendola quasi incandescente in Lui.
Quell’amore era Lui stesso fatto fiamma del Cuore di Maria, di modo che Maria
visse tutta di Lui e per Lui in quel momento. Egli ardeva come la fiamma del
Sinai, e non la consumava, ma la vivificava. Maria era come assorbita da Lui,
pur conservando la propria personalità; un germe vitale del suo seno fu
penetrato dalla vita che lo Spirito Santo attivava e cominciò il suo sviluppo.
Era un germe incontaminato, verginale, penetrato senza alcuna lesione non da un
germe umano ma creato dalla virtù di Dio, e la vita che lo attivò era quella
dell’eterno Amore. Maria poté dirgli con verità più grande di quello che non lo
dicano le creature alle creature: Sposo d’amore sei tu per me.
La
grazia dello Spirito Santo s’irradia nelle creature e le arricchisce di doni
perché possano essere lode di Dio; in Maria lo Spirito Santo non s’irradiò ma
la vivificò, rendendola feconda del Verbo Incarnato Lode sostanziale di Dio;
Maria si sentì doppiamente come divinizzata, e la gratitudine che aveva per Dio
le fece sentire in una tenerezza ineffabile la divina Paternità. Chiuse gli
occhi, glorificò il Signore esultando, nel silenzio del suo Cuore, rimase prona
in adorazione, più bella di tutti gli angeli del cielo. Gabriele la guardò
stupefatto; vide trasparire da Lei la luce stessa di Dio, poiché in quel
momento si era realizzato il grandioso miracolo: La donna aveva circondato e
avvolto l’uomo Dio nella propria vita, lo faceva vivere di sé e viveva di
Lui, di modo che la sua vita per Lui aveva qualche cosa di divino. Il sangue
che fluiva nel Figlio era suo, ed in Lui diventava Sangue divino per l’unione
ipostatica; rifluiva poi dal Figlio in Lei come Sangue divino, comunicandola di
sé. La grande e piccola circolazione passava nel Cuore Immacolato della Madre,
ma rifluiva nel Cuore divino del Figlio, e ritornava a quello della Madre. Si
saturava naturalmente di ossigeno nei polmoni della Madre e di vita divina nel Figlio,
di modo che la vita materna era continuamente vivificata dal Figlio divino.
È
questa la più grande meraviglia dell’Incarnazione del Verbo in Maria, ed è la Comunione che la elevò
alla più grande santità in ciascuno di quei 20 o 30 secondi nei quali il sangue
compiva tutto il suo giro nel sistema arterioso e venoso. Tutto il corpo di
Maria ne era santificato, e fin nelle più piccole fibre dove i vasi capillari
raggiungono un diametro di cinque millesimi di millimetro, fin negli organi più
lontani dalla vita razionale, fluiva la vita divina, e santificava tutte le
attività, rendendole lode di Dio.
Era
logico che dove viveva la Lode sostanziale di Dio tutto dovesse essere lode, e
che il corpo che aveva dato la vita temporale al Verbo Incarnato fosse un corpo
tutto voci di amorosa lode a Dio.
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