Commento al Vangelo – III Domenica di
Avvento 2014 B (Gv 1,6-8.19-28)
Egli era in
principio presso Dio
Era
il Verbo, ma dove?
Risponde
profondamente l’evangelista: Era presso Dio, nel seno eterno del Padre,
nella sua immensità, ma distinto da Lui, e per questo dice: Era presso Dio.
Era sussistente, infinito, termine della sua
conoscenza e oggetto della sua compiacenza, indiviso dal Padre, sedente con Lui
sul trono eterno e spirante con Lui l’eterno Amore. Per noi che risaliamo dal
tempo ai confini eterni, è detto che Egli era, in principio, ma Egli è
sempre stato col Padre e lo Spirito Santo, sempre sarà, e nella sua
semplicissima eternità è, tutto presente, tutto infinitamente in
atto.
Quale
mistero sublime che dà le vertigini!
È
stata calcolata scientificamente l’età di circa diecimila anni per un piccolo
strato di torba; moltiplicando la cifra per le profondità abissali che la
raccolgono, si giunge ad un numero astronomico, quasi incalcolabile. Eppure è
appena il quadrante di una delle ultime ore della formazione della terra.
Se
ascendo dalla terra nella prima stazione del cielo, vi trovo la luna, il nostro
satellite che è morto già e ancora cammina intorno a noi, quasi specchio che
riflette sulle nostre notti la luce indiretta del sole. Quando cominciò il suo
etereo viaggio? Io non lo so. Passa da millenni e millenni sulle nostre
solitudini, guarda da millenni e millenni le nostre vicende; come un teschio
dalle orbite vuote guarda l’abisso del tempo che fu e del tempo che scorre.
I
suoi occhi vuoti sono crateri di spenti vulcani, l’ultima fase della vita
dell’astro, e quei vulcani suppongono i miliardi di miliardi di secoli che li
precedettero, suppongono forse la vita che passò, i cui avanzi sono forse negli
immobili magmi e nelle lave sospese nel vuoto; suppone la prima solidificazione
dell’astro, e poi la massa incandescente roteante tra rossi bagliori, e poi la
nebulosa incandescente, bianchissima, saettante sull’orbita sua e poi ancora –
chi sa? – il nucleo dal quale si staccò l’errante cometa, il bolide che
percorse miliardi di miliardi di chilometri, di miriametri di anni luce, e
sembrò quasi immobile sul quadrante del tempo, tanto esso era immenso!
Che cosa formidabile poter giungere, almeno
con la mente, ai confini del principio di tutto, e scorgervi quell’erat
eterno, sfolgorante nella luce attuale che nella sua immensità semplicissima
non conosce né il prima né il dopo!
Per
giungere a quei confini, dovrei tendere il mio fragile orecchio nello spazio
sterminato, per ascoltarvi, portata sulle onde dell’etere, la squilla lontana
della prima ora che scoccò con l’immane caos quando il Verbo parlò dalle
profondità della potenza di Dio e, diffondendo la divina bontà, disse: Fiat.
Fiat!…
Sorse prima la monade,
come fantastica l’uomo miope che non può scorgere nella profondità degli oscuri
misteri?
Fiat!…
Sorse l’atomo forse, un atomo solo che pieno di formidabili forze, portò nella
sua infinitesimale piccolezza il riflesso dell’Infinito generante, e cominciò a
moltiplicarsi, ad aggregarsi, a fondersi, a sovrapporsi, a splendere, a
saettare, a correre gioioso sull’orbita sua, lodando il Signore?
Io
non lo so; ma se l’atomo fu la prima creatura della materia che vedo o
intuisco, quanti trilioni di trilioni di secoli-luce ci vollero per formare un
primo piccolo corpo? Io mi stordisco e mi avvilisco, e non riesco a fissare
ancora la prima ora del quadrante del tempo!
Ma
come si formò per l’eterna Parola di Dio il primo essere materiale, come poté,
direi, condensarsi in materia la stilla di vita diffusa dall’infinita bontà?
Possibile!
Dall’eterno
Principio che è eterna Sapienza e infinito amore, poté scendere giù una massa
informe e vuota, disordinata e infeconda? Possibile!
La
prima voce dell’universo fu muta, e la bontà infinita, diffondendosi, formò
abissi di tenebre? Possibile!
La
prima ora del tempo, il principio fu segnato da un oscuro quadrante e da
un indice buio? Termina il tempo proprio in questi confini, e l’orizzonte suo è
fosco come l’abisso di caverne profonde?
Non
ti smarrire anima mia, ascolta la voce di Dio nel primo libro della sua Parola:
In principio Dio creò il cielo e la terra, e la terra era informe e vuota (Gn 1,2). La terra, la materia, questa
era ancora informe e vuota, troppo distante da Dio, quasi che Dio nel
crearla la disdegnasse, quasi fosse già il rifiuto di una cosa più bella, il
sedimento di una fiumana splendente.
Il tempo non ha qui il suo primo quadrante,
l’ha più in alto, più in alto, poiché, col mondo sensibile, Dio creò quello
spirituale, e su di esso segnò la prima ora del mondo.
Fu
simultanea la sua creazione, ma il suo dito divino segnò la prima ora del tempo
su di un oceano sfavillante di luce sui cori dei suoi angeli, puri spiriti,
completi, sue immagini vive, intelletto e amore che, per raggiungerlo, dovevano
solo donargli liberamente per sempre l’intelletto e l’amore, affinché Egli li
avesse potuti beatificare, colmandoli della luce del suo Verbo e della fiamma
del suo Amore. Qui si scorge luminosamente il principio del tempo, qui l’occhio,
oltre questo principio, contempla il Verbo che già era, era presso Dio, era
Dio.
La testimonianza di san Giovanni
Battista
San Giovanni, dopo aver detto che il Verbo si
è fatto carne, conferma la sua testimonianza con quella del Battista, prima di
spiegare quale pienezza ha il Verbo Incarnato, e quale grazia e verità ci
comunica. Il versetto 15 è come un inciso, una parentesi, una conferma
dell’Incarnazione del Verbo, per la testimonianza di san Giovanni Battista,
come i versetti 16, 17 e 18 sono la spiegazione della pienezza di grazia e di
verità che il Verbo Incarnato ebbe e ci comunicò. San Giovanni Battista rese
questa testimonianza solennemente, gridando alle turbe nell’additare
Gesù Cristo: Questi è Colui del quale io dissi: Quegli che verrà dopo di me
a predicare è più di me per dignità e per dottrina, perché era prima
di me, essendo vero Dio.
Nella generazione secondo la carne, san
Giovanni era prima di Gesù, perché concepito e nato sei mesi prima di Lui; con
quelle solenni parole non poteva, dunque, alludere che alla preesistenza del
Verbo nell’eternità, ossia alla sua divinità. Per quelli che ancora
riguardavano il Battista come un prodigio di santità la testimonianza era di
grandissimo valore. Gesù Cristo era stato come presentato al mondo da un grande
profeta, e presentato come Dio; non era, dunque, un ignoto, come dicevano i
farisei: non sappiamo da dove venga, ma era glorificato dalla testimonianza
di uno, certamente mandato da Dio. Se era Dio, evidentemente noi abbiamo
ricevuto e riceviamo dalla sua pienezza di grazia, grazia su grazia, e
dalla sua pienezza di verità la grazia e la verità, cioè l’annuncio
pieno della verità e la grazia per accoglierla e metterla in pratica.
A Mosè fu data la Legge, ed egli è il
fondamento dell’Antico Testamento; ma la Legge era piena di ombre e di figure,
e non aveva valore che per il suo riferimento al Redentore che doveva venire né
giustificava che in vista di Lui. Era grazia divina e diffondeva grazia, ma non
ne era pienezza né poteva dirsi completa luce di verità, dato che annunciava la
Luce vera che doveva un giorno illuminare ogni uomo.
Nessuno, infatti –
soggiunge san Giovanni –, ha mai visto Dio nella sua essenza, e nessuno
ha potuto rivelarcene il mistero profondo; solo il Figlio Unigenito che è nel
seno del Padre, cioè a Lui consustanziale, e infinita conoscenza di Lui, ha
potuto rivelarcelo, annunciandoci la Santissima Trinità, e svelandoci il
mistero della sua generazione eterna dal Padre e dell’eterna spirazione dello
Spirito Santo.
Con queste parole, l’evangelista indica la
fonte dalla quale egli ha attinto la verità che forma lo scopo del suo Vangelo:
la divinità di Gesù Cristo. Egli non fa supposizioni, non esprime un’opinione,
non propugna fantasie, attinge la sua dottrina dalla stessa rivelazione fattane
da Gesù Cristo, Verbo di Dio fatto uomo, e confermata dai suoi miracoli e dalla
sua vita.
I nemici di Gesù Cristo avrebbero potuto
opporre a Lui il Battista che con la sua austerità rispondeva di più alle idee
che essi avevano del futuro Messia, ma san Giovanni, prevenendo l’obiezione, la
sfata con la stessa testimonianza del Battista.
L’ambasceria dei farisei
Ad ogni modo, i capi del sinedrio scelsero una
rappresentanza di sacerdoti e di leviti, cioè di persone
competenti in materia religiosa, e la mandarono dove Giovanni battezzava, per domandargli:
Tu chi sei?
Appena lo interrogarono: Tu chi sei?, egli capì subito lo scopo della domanda e, inorridendo
al pensiero che potesse essere scambiato per il Messia, rispose con ansiosa
insistenza, pari all’amore che portava al Redentore e alla disistima che aveva
di se stesso: Non sono io il Cristo. L’evangelista esprime quest’ansia con
l’insistente espressione: Ed egli confessò e non negò, e confessò: Non sono
io il Cristo.
I sacerdoti e i leviti dovettero rimanere
impressionati dall’aspetto e dalle parole del Battista. Secondo le profezie i
tempi erano maturi per la venuta del Messia, ed essi lo sapevano bene; ora i
Giudei credevano che Elia dovesse ritornare sulla terra per annunciarlo, ed
essi, notando in Giovanni qualche cosa di straordinario, dato che aveva detto
precisamente di non essere il Messia, sospettarono che fosse Elia o il profeta
predetto da Mosè (cf Dt 18,15) che da
alcuni si credeva dovesse essere il Messia e da altri che dovesse essere
Geremia; perciò lo interrogarono di nuovo: Sei tu Elia? Ed egli rispose
di no. Sei tu il profeta? Ed egli rispose ancora di no. Soggiunsero
allora: Chi sei tu, affinché possiamo dare una risposta a quelli che ci
hanno mandati? Che dici di te stesso?.
Giovanni determinò qual era la sua missione,
spiegando implicitamente chi era l’Elia, il profeta o il Geremia che il popolo
attendeva, e ricordando la profezia di Isaia che riguardava lui, Precursore del
Messia (40,3). Io sono –
egli disse –, la voce di
colui che grida nel deserto: raddrizzate la via del Signore. L’Elia che
aspettavano era proprio lui, ma non era Elia ritornato in terra, era una voce
di preparazione che gridava alle anime deserte di grazia che si preparassero
alla manifestazione del Redentore, e raddrizzassero le vie del loro cuore,
perché vi potesse passare Dio con la sua misericordia.
La disistima dei messaggeri del
sinedrio verso san Giovanni si accrebbe quando egli si dichiarò una voce che
gridava. Egli, magro e quasi diafano, poteva dire di essere una voce,
poiché sembrava che in lui non vi fosse rimasta che la voce; ma la sua
espressione aveva un senso di profonda umiltà, incompresa dagli orgogliosi
farisei; essi crederono di trovarsi di fronte ad un fanatico qualunque, a un
illuso che si arrogava una missione che non aveva, e perciò, rivestendosi di
autorità, soggiunsero in tono reciso: Come tu dunque battezzi se non sei il
Cristo né Elia né il profeta?
Giovanni non affrontò la questione
direttamente, perché non poteva provare la sua missione innanzi al sinedrio. San Giovanni, però, prospettò all’autorità
costituita che la sua missione non rappresentava un pericolo né era
un’innovazione contro la Legge di Dio; egli battezzava con acqua, dandola come
un segno di penitenza, e simbolo della grazia che doveva poi inondare le anime
per il Redentore. Non valeva la pena di dare troppa importanza al suo
battesimo, e preoccuparsi di lui; era invece molto importante che essi avessero
ricercato Colui che doveva salvarli, da essi ancora sconosciuto, benché fosse
in mezzo a loro. Questi si sarebbe manifestato dopo di lui, ma era prima di lui
perché Dio eterno, ed egli non era degno neppure di sciogliergli il legaccio
dei sandali.
Con un
atto di profonda umiltà, dichiarandosi solo Precursore del Messia, Giovanni
chiuse la questione, e gl’inviati del sinedrio si ritirano senza potergli
obiettare nulla.
Don Dolindo Ruotolo
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