Commento al Vangelo
Solennità dell’Immacolata Concezione
della Beata Vergine Maria (Lc
1,26-38)
Il grande momento dell’Incarnazione
del Verbo
In un’umile borgata, celebre non per
grandezza ma per il disprezzo proverbiale nel quale era tenuta, viveva un’umile
verginella, sposata ad un umile falegname. Quando si voleva dare un appellativo
di disprezzo, si diceva: È stolto
come uno di Nazaret, e
quella borgata era così umiliata che non si credeva potesse dare i natali a
qualche cosa di buono. Il Signore, che deride le vedute umane e che si compiace
dell’umiltà, volle scegliere proprio questa borgata come luogo per incarnarsi.
Come Egli adagia la fava nel morbido baccello e manda la rugiada fecondante
nella notte, così volle riposare nell’umiltà, e discendere in un luogo di sommo
nascondimento agli uomini.
La Verginella di Nazaret
L’umiltà attrasse Dio sulla terra,
poiché la Verginella
da Lui scelta come suo tabernacolo vivente era la più umile di tutte le
creature. Maria, della discendenza di Davide, di stirpe regale; era, in realtà,
sconosciuta a tutti, e viveva come umile persona del popolo nelle modeste
condizioni di una vita di lavoro. Si era tutta consacrata al Signore, fin dalla
piccola età, nel tempio, e gli aveva offerto la sua verginità immacolata; ma
chi aveva cura di Lei l’aveva voluta sposare ad un uomo della stessa casa di
Davide, Giuseppe e, come si usava in quei tempi, aveva contrattato il
matrimonio a sua insaputa. Ella aveva obbedito, fiduciosa di conservare intatto
il suo giglio poiché, l’uomo al quale era stata legata, era di straordinaria
virtù. Può supporsi che gliene avesse parlato; ma forse, con maggiore
probabilità, si era interamente affidata al Signore, aspettando da Lui la guida
nel suo misterioso cammino. Nella sua profonda intuizione della divina volontà,
aveva capito che Dio aveva un fine in quel casto connubio, e si era acquietata,
confidando in Lui. Questo non è una pia supposizione, ma può dedursi dal suo
atteggiamento verso san Giuseppe, dopo l’Incarnazione del Verbo, poiché, come
vedremo, Ella non gli svelò il mistero, ma attese che Dio glielo avesse
svelato.
La purezza dell’umile Verginella era
ineffabile. Nessuno ha potuto scrutarne a fondo il mistero, poiché era una
purezza completa.
La preghiera di Maria
Maria pregava. Noi non conosciamo il
mistero di quelle preghiere che attrassero in terra il Verbo di Dio, ma
possiamo arguirlo dal contesto del Vangelo: l’angelo la salutò piena di
grazia: fu questa la
sua sorpresa, per così dire, nel vederla, perché la grazia rifulgeva in Lei più
splendida; dunque, era inabissata in profonda umiltà, poiché sta scritto che
Dio dà la grazia agli umili. L’angelo disse: Il Signore è con te; dunque, era in tanta unione
di contemplazione da essere in familiarità intima col Signore, e da ospitarlo
in pieno nel santuario del proprio Cuore. L’angelo la chiamò con un superlativo
ebraico benedetta fra le donne,
ossia più benedetta di tutte le donne; dunque, Ella implorava dal
Signore la grande benedizione per l’umanità, e sospirava alla Benedetta che
avrebbe dovuto generare il Messia; in quel momento era proprio Lei la
Benedetta, e rifulgeva fra le donne per la verginale fecondità che stava per
renderla Madre di Dio. Donna, presso
gli Ebrei, era quasi sinonimo di maternità, e Maria doveva elevarsi come donna
fra tutte le creature, mirabile miracolo di fecondità vergine.
Quand’ecco giunse un angelo di Dio
Quand’ecco una gran luce invase la
stanzetta e la fece trasalire. In quella luce splendeva più fulgido un angelo
di Dio.
Maria non si turbò e non temette,
perché era abituata alla compagnia degli angeli; ma si accorse che quel celeste
messaggero non era come gli altri, in quel momento. Non aveva un aspetto di
maestà, ma sembrava prostrato in riverente ossequio; rifulgeva di luce più
grande, poiché portava il più grande messaggio che sia stato mai portato dal
Cielo in terra; ma la sua grandezza era velata dall’umiltà.
Sostò per un momento, si curvò e,
ammirando il capolavoro di Dio, esclamò: Ti saluto, o piena di grazia, il
Signore è con te; benedetta tu fra le donne. E si fermò adorando Dio che
l’aveva fatta così bella, poiché in Lei vedeva i riflessi più luminosi
dell’infinita santità.
Maria, l’umilissima Maria si sentiva
salutata con parole grandi che per Lei erano incomprensibili; allora si turbò
perché quelle parole non avevano eco nel suo Cuore, abituato ad impiccolirsi;
erano come un linguaggio sconosciuto per Lei, e pensò che cosa potessero
significare. Non sospettò che fossero un elogio, ma temette che fossero un
rimprovero, un segno dello scontento di Dio. Si rileva chiaramente da ciò che
l’angelo soggiunse: Non temere, perché hai trovato grazia innanzi a Dio.
Si direbbe: è la psicologia delle
anime veramente umili; esse si turbano negli elogi, perché sembrano loro un
assurdo, e li riguardano come un traviamento del loro cuore, perché ad esse sembrano
che manomettano la gloria di Dio.
Maria non si turbò nella visione
dell’angelo, come suppongono alcuni, ma nelle sue parole – come dice esplicitamente il
Sacro Testo – e, non sapendone intendere il significato, come chi ascolta una
lingua sconosciuta, mostrò fino a qual punto giungeva la sua umiltà! Fu in quel
momento di abbassamento interiore che l’angelo la preconizzò Madre di Dio: Ecco,
concepirai nel tuo seno un figlio e lo chiamerai Gesù. Questi sarà grande e
sarà chiamato Figlio dell’Altissimo. Il Signore gli darà la sede di Davide, suo
padre, e regnerà in eterno nella casa di Giacobbe, e il suo regno non avrà mai
fine. L’angelo disse: Concepirai nel tuo seno e partorirai; dunque,
doveva diventare veramente madre; doveva dare nome al suo Figlio Gesù,
Salvatore; dunque si
compivano i vaticini che annunciarono la salvezza d’Israele e del mondo; il
Figlio sarebbe chiamato Figlio dell’Altissimo; e quindi Ella sarebbe stata la Madre di Dio. Avrebbe avuto
il regno di Davide in eterno, il vero regno promesso al santo re, il regno
della grazia e dell’amore che sarebbe durato in eterno.
Maria rimase pensosa. Ella era sposata
a san Giuseppe; aveva promesso a Dio il fiore verginale, e sapeva che l’aveva
promesso anche Giuseppe; che cosa doveva fare? Desiderosa solo di compiere la
divina volontà voleva sapere come doveva compierla. Maria, in quel momento, fece
un atto di virtù più grande di quello di Abramo e, invece di mostrarsi pronta a
immolare il proprio figlio, si mostrò pronta anche a rinunciare alla sua
verginale integrità, se così a Dio fosse piaciuto. Non è esatto supporre e dire
che Maria avrebbe rinunciato alla divina Maternità per non rinunciare alla
verginità; questo non sembrerebbe consono alla piena sottomissione di Maria al
volere di Dio. La Vergine
espose solo la sua particolare condizione, e implicitamente quella di san
Giuseppe: Ella non conosceva uomo
e, dato il suo voto, non poteva conoscerlo se Dio l’avesse voluto, Ella
aveva uno sposo vergine che per la sua consacrazione apparteneva a Dio solo;
come sarebbe avvenuta la concezione? Ella non poteva rompere il legame che san
Giuseppe aveva stretto con Dio, e domandava come sarebbe potuto avvenire il
concepimento. Ma l’angelo subito la rassicurò; Ella avrebbe concepito per opera
dello Spirito Santo, e la sua verginità, come quella di san Giuseppe, sarebbe
rimasta integra.
Le parole dell’angelo non furono una
semplice affermazione, furono una gran luce, poiché egli parlava in nome di
Dio. Nessuno può capire con quale amoroso rispetto un angelo pronuncia il Nome
di Dio, dal quale tutto riceve e nel quale si bea. Gabriele, nel nominare lo
Spirito Santo, rifulse d’amore, fruendo dell’eterno Amore e, nell’accennare
alla virtù dell’Altissimo, mostrò nel suo volto il suo riverente timore per
l’onnipotenza divina. Era fulgido d’amore e prono in adorazione talmente
profonda, da far apprezzare l’infinita distanza che sussiste tra la potenza
della creatura e quella del Creatore. Maria in quel momento contemplò la
potenza di Dio e vi si abbandonò con un atto di fede illimitata. Non aveva
bisogno di sapere altro, non aveva bisogno di scrutare, non volle pensare alle
conseguenze esterne di una sua concezione miracolosa; curvò l’intelletto e
credé, piegò la volontà e si donò, aprì il cuore e amò d’intenso amore Dio.
L’angelo soggiunse che anche
Elisabetta, benché sterile, aveva miracolosamente concepito un figlio, e stava
già al sesto mese, perché niente era impossibile a Dio. Era questa la prova
umana che dava alla ragione di Maria, perché Dio, nelle sue grandi opere e
nelle sue rivelazioni, ha sempre un riguardo delicato per la ragione umana. La
fede piena in Lui è in tal modo sostenuta, ed ha una maggiore facilità nel suo
slancio. La luce, nella ragione, è come la spinta della catapulta all’aeroplano
che deve spingersi al volo senza motore, e lo lancia d’un colpo nell’azzurro
del cielo.
Don dolindo Ruotolo
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