Commento
al Vangelo: III Domenica del TO 2015 B (Mc
1,14-20)
Gesù
annuncia il regno di Dio
San Marco
sintetizza i discorsi di Gesù Cristo in poche parole: È
compiuto il tempo e
si
avvicina il regno di Dio; fate penitenza e
credete
al Vangelo.
Egli
mostrava che, secondo le profezie, era proprio quello il tempo nel
quale doveva venire il Messia, e che, quindi, si avvicinava il
regno di Dio, cioè
la glorificazione di Dio nel cuore degli uomini e sulla terra. Con
questo, risuscitava, nei cuori, la fede e la speranza nelle divine
promesse, il desiderio di una vita migliore, condizione
indispensabile per accogliere la grazia di Dio. Per questo
soggiungeva: Fate
penitenza, e
credete
al Vangelo. La
penitenza era il rinnovamento interiore, nel rammarico di aver
peccato, nel desiderio di riparare le proprie colpe, e
nell’imposizione e nell’accettazione, liberamente fatta, di opere
penose, in riparazione dei peccati.
La
penitenza era il nuovo orientamento dell’anima al Signore, nel
riconoscimento della divina Maestà, nell’umiliazione profonda al
suo cospetto, nel desiderio di amarlo con tutto il cuore e sopra
tutte le cose.
Lo spirito di vera penitenza
Gesù
Cristo non predicava una penitenza esteriore, come quella dei
farisei, ma voleva che l’anima si pentisse, si umiliasse,
riparasse, e si presentasse al cospetto di Dio pura, fiduciosa, umile
e confidente, vivendo una vita nuova. La penitenza corporale, del
resto, non è tale se non in quanto produce o aiuta a produrre gli
atti interni. Un rigore tutto materiale è fachirismo, non è amore;
l’anima non punisce il corpo per mostrare in esso una forza di
resistenza fisica, ma per contenerlo nei limiti, e aprire libero il
varco allo spirito; non lo priva di un cibo per severità, ma perché
sia minore il frastuono dei sensi, non lo percuote per sadismo, ma
per scuotere attraverso la pena il torpore spirituale, e per unirsi
alla Passione di Gesù Cristo; non gli inibisce la comunicazione col
mondo per mancanza di gentilezza, ma proprio per non rendersi
scortese col suo Signore. La penitenza è purificazione, ordine,
disciplina dello spirito che produce nell’anima e nel medesimo
tratto esterno una soavità gentilissima, facendo, per così dire,
affiorare sul corpo stesso la luminosità interiore.
Era
questa la penitenza che Gesù predicava, e perciò non impose ai suoi
apostoli alcun rigore di vita, volendo che il loro cuore si formasse
a mano a mano e si orientasse a Dio in una vita totalmente nuova.
Egli esortava, pertanto, tutti a credere
al Vangelo,
cioè
a prestare attenzione alla sua predicazione, e metterla in pratica,
poiché, dalla sua parola, doveva venire l’indirizzo ad una vita
nuova, e i suoi insegnamenti dovevano demolire tutto quello che di
falso o di arbitrario gli scribi e i farisei avevano preteso
aggiungere alla divina Parola.
Gesù chiama i primi apostoli
Quando
Gesù predicava, la gente gli si affollava intorno, lo ascoltava, ne
rimaneva più o meno commossa, secondo le proprie disposizioni; ma,
presa dal vortice delle occupazioni terrene, difficilmente conservava
nel cuore i suoi insegnamenti. Egli, perciò, credé necessario
eleggere alcuni uomini, i quali, liberati dalle preoccupazioni
temporali, avessero potuto seguirlo dovunque, raccogliere i suoi
insegnamenti e trasmetterli agli altri. Egli non volse gli occhi ai
sapienti, ai forti e ai grandi del mondo, ma a poveri pescatori, cioè
a gente semplice, schietta, abituata ai pensieri del Cielo, perché
dimorante nei pericoli del mare.
Dalle
statistiche giudiziarie risulta che la classe dove è minore o quasi
nullo il numero dei delitti, è proprio quella dei pescatori; Gesù,
dunque, si rivolse a cuori sani per quanto ancora rozzi e difettosi,
a cuori lontani dallo spirito del mondo, abituati alle silenziose
solitudini marine, agli orizzonti vasti che dilatano l’anima in
orizzonti più vasti. D’altra parte i pescatori erano abituati alle
pazienti attese nel cercare il frutto della pesca, alle prudenti
mosse nel difendersi dalle tempeste, alla costanza forte nel
pericolo, ed Egli volle che queste belle qualità diventassero il
carattere dei suoi apostoli; volle portare nel campo dello spirito le
doti che un pescatore ha nel campo della vita naturale ed elesse,
come pietre fondamentali dell’edificio che incominciava ad elevare,
quattro pescatori.
La vocazione al sacerdozio o alla vita religiosa
La
vocazione di Dio è un mistero altissimo di grazia, è l’attrazione
che Egli esercita personalmente su di un’anima, inducendola
soavemente a seguirlo e a dargli la libera volontà e il libero
consenso nei disegni che vuole sviluppare su di essa. È una luce
interna che le fa vedere il cammino che deve percorrere, non solo
come una via facile, ma anche come la propria via, la propria gioia,
il proprio centro di vita.
Dio,
chiamando, dà all’anima le disposizioni fondamentali della
vocazione cui la elegge, e l’anima si sente disposta a quello che
Egli le domanda, sebbene preveda asprezze o difficoltà nel suo
cammino; non si sente solo affascinata, ma si sente convinta
e persuasa,
il
che è sommamente importante; non obbedisce quasi ad un istinto
cieco, ma segue una scia luminosa tracciatale da Dio, nella quale la
ragione è profondamente illuminata; la vocazione, quindi, è tale
placida luce interna che induce prontamente la volontà ad assentire
alla divina volontà, e ad abbracciare i sacrifici che comporta il
suo compimento.
Da
questo, si capisce facilmente la natura delle false vocazioni a
qualsiasi stato, determinate dall’insinuazione altrui,
dall’illusione di trovare il proprio comodo, da calcoli
d’interesse, o da fantasie fanciullesche, frutto più di volubilità
di carattere che di mozioni interne. L’attrazione verso la forma
particolare di vita, o di abito o di attività di un particolare
stato può essere anche un segno della chiamata di Dio, o
un’attrattiva che orienta l’anima verso la divina volontà, e la
dispone alla sua chiamata.
«Venite:
vi farò pescatori di uomini»
Gesù
Cristo, passando lungo il lago di Genesaret, chiamato anche Mare di
Galilea, vide Simone e suo fratello Andrea che gettavano le reti e,
poco più avanti vide Giacomo e Giovanni che, insieme col padre e con
i garzoni, rassettavano
le reti. Questa
circostanza c’induce a credere che, in quel giorno, avessero
trovato difficoltà a pescare. Mentre, infatti, Simone e Andrea, di
condizione meno agiata, gettavano le reti per tentare di nuovo di
pescare qualche cosa, Giacomo, Giovanni e il loro padre Zebedeo, i
quali, avendo dei garzoni con loro, dovevano essere più agiati,
rassettavano le reti, avendo perso la speranza di prendere qualche
pesce e non avendo bisogno d’insistere nel gettare le reti.
Gesù
Cristo scelse questo momento di delusione, nel quale,
psicologicamente, doveva sembrare più penosa la loro arte, e nel
quale, quindi, era per essi più facile rinunciarvi. È naturale,
infatti che, dopo una delusione sofferta in una speciale professione,
si desideri abbandonarla, e che, offrendosi l’occasione di mutare
stato, la si accolga come una liberazione.
I quattro
apostoli avevano già sentito parlare di Gesù Cristo e lo avevano
ascoltato; quando lo videro sulla riva con quella sua dolcissima
maestà che li attraeva, illuminandoli, dopo aver visto poco proficua
la loro professione che sarebbe stata, se remunerativa, l’unico
vero ostacolo a seguirlo, non esitarono un momento e, abbandonato
tutto, andarono dietro a Lui.
È
evidente, dal contesto, che essi abbandonarono tutto non
inconsideratamente, ma dovettero affidare a qualcuno la barca e le
reti; Giacomo e Giovanni rimisero ogni arnese al padre che era con
loro e ai garzoni, e Simone e Andrea forse affidarono tutto a loro;
certo, san Pietro conservò poi la barca per uso del Maestro divino
e, prima di darsi interamente all’apostolato, continuò, di quando
in quando, a tratti, il suo mestiere; ma, nel momento della chiamata,
tutti sentirono tale attrazione verso il Redentore che pensarono solo
a seguirlo. Probabilmente non capirono il significato di quelle
parole: Vi
farò pescatori di uomini; ma
capirono che era per loro una grazia e un onore grande seguire il
Nazareno, la cui notorietà cresceva sempre più in mezzo al popolo.
Vi
farò pescatori di uomini: essi
che pescavano i pesci dando loro la morte, sottraendoli dal loro
elemento di vita e spacciandoli poi come merce, dovevano pescare gli
uomini, sottraendoli alla morte e donandoli a Dio come frutti
d’amore. Dovevano allettarli con l’esca delle promesse
soprannaturali, e far sì che, di loro libera volontà, fossero
andati dal Signore; dovevano tirarli fuori dal mare del peccato e
farli morire alla vecchia natura per rivivere nella grazia.
Vi
farò pescatori di uomini: parola
arcana che è stata il programma della vita della Chiesa in tutti i
tempi, e lo sarà fino al termine dei secoli; essa getta sempre le
sue reti con la predicazione, con l’apostolato e con la carità, e
trae alla riva della vita eterna le anime; come il pescatore
raccoglie nella rete i pesci buoni e cattivi, così anche la Chiesa
raccoglie, nel suo seno, buoni e cattivi, e attende che il suo Re
faccia poi la cernita nell'ultimo giorno.
Padre Dolindo Ruotolo
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