Commento
al Vangelo: IV Domenica del TO 2015 B (Mc
1,21-28)
La
dottrina di Gesù. L’indemoniato
Dopo
la chiamata dei primi quattro apostoli, Gesù andò in loro compagnia
a Cafarnao, ed essendo giorno di sabato, entrò nella sinagoga e
cominciò ad insegnare. Tutti rimanevano stupiti della sua dottrina –
dice il Sacro Testo –, perché Egli insegnava come uno che ne aveva
l’autorità, a differenza degli scribi che si rimettevano a ciò
che insegnava la Sacra Scrittura, appoggiandosi alla sua autorità.
Gesù Cristo annunciava un nuovo patto fra Dio e l’uomo, e spingeva
le anime alla ricerca della Verità eterna, parlando come uno che
agiva per una precisa missione divina, mentre gli scribi si
limitavano a citare Mosè, e si trattenevano a parlare minutamente
solo di usi e di prescrizioni esterne che attanagliavano lo spirito,
anziché spingerlo al Signore.
Gesù Cristo parlava con
autorità, e la sua parola si appoggiava a Lui stesso, Verbo eterno
di Dio ed eterna Verità, suscitando nelle anime una grande pace e un
immenso desiderio di Dio, ciò che non producevano gl’insegnamenti
degli scribi. Lo stupore che provavano quelli che lo ascoltavano non
era poi una sterile ammirazione, ma proveniva da una grande vita
interiore che sbocciava sotto il calore della sua grazia e nei raggi
della sua bontà.
La parola di Gesù era luce a se
stessa, perché veniva dalla sfolgorante fonte della sua infinita
sapienza.
Satana tentò di oscurare questa
luce, e finse di volerla glorificare, sostituendo la propria
testimonianza tenebrosa a quella della Verità per essenza. C’era,
nella sinagoga, un uomo posseduto dal demonio, il quale, ascoltando
Gesù che predicava, gridò: Che
abbiamo noi a che fare con te, Gesù Nazareno? Sei venuto a perderci?
Io so chi sei tu, il Santo di Dio.
Satana voleva sostituire alla
fede che la divina Parola suscitava nei cuori, la fede nella propria
parola; voleva che avessero riconosciuto Gesù per Messia non per la
testimonianza della divina verità, ma per la propria tenebrosa
testimonianza, perciò non ebbe ritegno di dichiararsi estraneo al
Signore, di mostrarsi terrorizzato di Lui, e di proclamarlo il Santo
di Dio,
cioè il Messia.
Se il popolo l’avesse ascoltato, avrebbe creduto non per la divina
autorità che si svelava, ma perché l’aveva detto satana. Per
questo Gesù gl’impose di tacere e gli comandò di lasciare
l’infelice che tormentava.
A primo aspetto sembra strano che
il Signore abbia imposto silenzio a satana che lo proclamava Santo di
Dio; ma la fede, come tale, non può appoggiarsi che sull’autorità
di Dio che rivela, perché è assenso della ragione e dedizione della
volontà a Lui per amore; qualunque altra testimonianza della verità
non fa sorgere in noi la fede, ma tutt’al più uno sterile consenso
a quello che sembra autorevole e sorprendente.
Satana ripete il suo triste gioco
nello spiritismo, quando dai tavoli parlanti mostra di avere terrore
della divina maestà e conferma la verità della fede; gli spiritisti
vanno in giolito a quelle affermazioni, sembrando loro un argomento
irrefutabile della bontà delle loro pratiche superstiziose, e non si
accorgono che partono dal tavolino, credendo a satana più che a Dio,
e che credono con un senso di sterile spavento che spegne in loro
ogni scintilla d’amore.
Satana si mostrò per quello che
era quando abbandonò il poveretto che ossessionava; egli, infatti,
lo straziò, e
uscendo da lui urlò forte
come belva
ferita; non poteva dare che tormenti, essendo spirito infelicissimo,
e non poteva che urlare, non portando mai pace. Gesù Cristo,
cacciandolo con piena autorità negli abissi con una sola parola, si
manifestò Re potentissimo, tanto che le turbe rimasero stupefatte e,
piene di gioiosa ammirazione, divulgarono in breve il fatto per tutta
la Galilea
Servo di Dio Don Dolindo Ruotolo
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