Commento
al Vangelo: II domenica del TO B 2015 (Gv
1,35-42)
La
vocazione dei primi discepoli
San
Giovanni, stando con due dei suoi discepoli nel luogo stesso dove
aveva additato Gesù quale Agnello di Dio, cercava sempre occasione
per eclissarsi, e per orientare le anime verso il Redentore.
Quand’ecco
lo vide passare e, mirandolo, disse nuovamente: Ecco
l’Agnello di Dio;
lo disse per invitare i due discepoli a seguirlo. Essi, infatti, gli
andarono dietro da lontano, per raggiungerlo a casa e parlargli con
maggiore intimità. Gesù Cristo, però, conoscendo già i loro
desideri, si voltò e disse loro: Che
cercate voi?
Essi risposero chiamandolo col nome affettuoso di Maestro
mio,
Rabbì, e gli domandarono dove abitasse, per potergli parlare. Gesù
li invitò a seguirlo dove era ospite, perché non aveva abitazione
propria. Stettero con Lui tutto quel giorno, e parlarono certamente
del regno di Dio.
Fu un
momento d’immensa gioia per il loro spirito, e san Giovanni che
certamente era uno dei due discepoli, nota l’ora di quella santa
chiamata, l’ora decima, cioè circa le quattro di sera che fu per
la sua vita di decisiva importanza.
Andrea,
l’altro discepolo che seguì Gesù, s’incontrò col proprio
fratello Simone, e gli disse: Abbiamo
trovato il Messia,
e lo condusse da Gesù. Questi, fissandolo in volto e considerando la
missione che voleva dargli di pietra fondamentale della Chiesa, gli
disse: Tu
sei Simone, figlio di Giona; tu sarai chiamato Cefa,
ossia Pietro.
La
nostra vocazione
e sulla
vocazione in genere
Le
circostanze nelle quali furono chiamati i primi apostoli sembrano
accidentali, eppure erano particolari disposizioni di Dio che ci
fanno intendere come siamo chiamati anche noi nelle vie del Signore.
Andrea e
Giovanni, sentendo chiamare Gesù Agnello
di Dio,
lo seguirono per parlargli nella casa dove abitava; quella visita fu
il primo anello dell’incomparabile grazia dell’apostolato. Andrea
s’incontrò col fratello Simone, e gli annunciò di aver trovato il
Messia, conducendolo egli medesimo da Gesù. Filippo fu chiamato
direttamente da Gesù con una parola energicamente precisa: Seguimi,
ed egli lo seguì senz’altro. Natanaele fu chiamato da Filippo, e
seguì l’invito a stento e con un senso di prevenzione che si
dileguò, poi, innanzi alla luce che gli venne dalle parole stesse di
Gesù Cristo.
Tutto era
disposto dalla Provvidenza, e tutto sembrava naturale e normale.
Così
sono chiamate le anime ad una particolare missione o vocazione: una
parola di fede ascoltata da un’anima buona e accettata con umiltà,
una visita a Gesù Sacramentato fatta con vero amore può determinare
nell’anima un indirizzo nuovo di grazia. Il Signore si può servire
dell’amore fraterno per indurre un’anima a seguirlo, può
servirsi di una parola di amicizia, come fece Andrea con Simone e con
Natanaele, e può chiamare con un’ispirazione diretta, come fece
con Filippo.
Tacciare
di fantasia una vocazione religiosa determinata dall’esempio o
dall’invito di un fratello o di una sorella, tacciare di
superficialità una vocazione determinata da una parola amica, e
credere segni di nessuna vocazione le prime difficoltà che l’anima
oppone alla grazia, è completamente falso.
La
vocazione sacerdotale o religiosa a volte è come una di quelle
sementi campestri che vengono portate dal vento sui ruderi di un
edificio e, alle prime piogge, si schiudono e danno il loro fiore.
Pretendere che tutte le vocazioni siano frutto di calcolo spirituale
o di ponderazione umana e naturale significa ridurre una delicata
funzione di grazia soprannaturale alla scelta di un mestiere o di una
professione di proprio gradimento.
La
vocazione è un dono di Dio, e si possono benissimo invitare i
giovanetti e le giovanette a dissodare le loro anime e vedere se vi
alligna, poi, il germe di una vocazione vera mandata da Dio.
Non è
una sopraffazione e tanto meno un tradimento preparare le anime con
una vita cristiana e perfetta a maggiori altezze spirituali. La
sopraffazione e il tradimento, semmai, hanno luogo quando si curano
poco i virgulti novelli, e si riducono i seminari o i noviziati a
miseri collegi laici, col pretesto di evitare le esagerazioni della
pietà e della devozione.
Non siamo
tutti chiamati alla perfezione? E non è un vantaggio incamminarsi
per la via del Cielo? E se anche per errore – come dice
sant’Alfonso de’ Liguori –, si abbracciasse una vocazione
perfetta, e si fosse costretti così ad una vita distaccata dal
mondo, potrebbe questo chiamarsi un danno? Il danno sta proprio nell'opposto, quando si conduce una vita mondana, avida di beni
terreni e di piaceri fugaci e traditori.
La vita
passa, e tutto ciò che ne forma l’attrattiva passa in un baleno;
trovarsi al suo termine senza avervi raccolto quello che passa, e
constatare di avervi, anche con stento o a malgrado, raccolto beni
imperituri, è un grandissimo dono di Dio e un’immensa
consolazione.
Sevo di Dio Don Dolindo Ruotolo
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