Commento
al Vangelo:
V Domenica
di
Quaresima
2015 B (Gv
12,20-33)
I
pagani
vogliono
vedere
Gesù
Molti pagani, presi dal fascino della verità,
si univano come proseliti al popolo ebreo: alcuni osservavano solo
pochi precetti della Legge, ed erano chiamati proseliti
della porta, quasi rimanessero solo
innanzi all’ingresso del regno di Dio; altri, invece, si
sottomettevano a tutte le prescrizioni della Legge, compresa la
circoncisione, ed erano chiamati proseliti
della giustizia. In occasione delle
feste di Pasqua, perciò, molti pagani accorrevano a Gerusalemme, per
adorare Dio nell’atrio che loro era riservato. Vi concorrevano
anche quelli che non erano proseliti per un senso di curiosità, in
maggioranza uomini d’affari o commercianti che si trovavano a
passare per la Palestina per il disbrigo delle loro faccende.
Il grido di entusiasmo che suscitò nel popolo
di Gerusalemme il racconto della risurrezione di Lazzaro, e il
movimento verificatosi nell’ingresso trionfale di Gesù nella
città, suscitò la curiosità di alcuni pagani proseliti che erano
venuti per adorare Dio, e fece loro nascere il desiderio di conoscere
da vicino Gesù. Essi lo dissero a Filippo che
era di Betsaida di Galilea –
nota il Sacro Testo –, forse
perché venivano proprio da quei luoghi, e conoscevano o lui o la sua
famiglia. Filippo, poi, doveva avere anche la premura o l’impegno
di regolare l’afflusso della folla, come può rilevarsi dal fatto
che Gesù, quando moltiplicò i pani e i pesci, si rivolse a lui per
sapere come si poteva dar da mangiare al popolo che lo seguiva.
Filippo, alla domanda dei pagani, non osò rispondere subito, ma si
consultò con Andrea che era il più anziano tra gli apostoli, per
sapere se Gesù era disposto a riceverli. Si ricordò che il
Redentore aveva proibito di predicare ai pagani, e temette di averne
un rifiuto o un rimprovero. Andrea dovette incoraggiarlo a parlarne
al Signore, e tutti e due infatti gli si avvicinarono e glielo
dissero. Il Sacro Testo non fa capire esplicitamente che Gesù avesse
ricevuto i pagani, ma dal contesto può dedursi di sì, perché Egli
vide in quegli uomini come la rappresentanza dei popoli pagani che un
giorno si sarebbero uniti alla Chiesa, e nel suo amore esultò,
pensando che la sua Passione e Morte avrebbe fruttato la salvezza
degli uomini. Egli inoltre parlò del valore della vita dello spirito
in opposizione a quella del corpo, ed esortò tutti a seguirlo senza
restrizioni, pienamente, per il raggiungimento dell’eterna gloria.
Ora, questi avvertimenti erano proporzionati ai pagani che volevano
vederlo, ed Egli dovette rivolgerli loro.
Parole di morte e di risurrezione
Li vide, li raccolse, scrutò col suo sguardo
divino l’ansia e il desiderio di quei cuori, arse dal desiderio di
dar la vita per loro e per quelli dei quali erano rappresentanza, ed
esclamò: È
venuta l’ora nella quale il Figlio
dell’uomo sarà glorificato. La
sua Passione era per Lui l’ora della glorificazione, cioè della
fecondità dell’opera che Egli era venuto a compiere.
La sua morte non era la fine di tutto, come
speravano quelli che congiurarono contro di Lui, ma era il principio
dello sviluppo della sua opera, e doveva produrre nel mondo la
fioritura meravigliosa delle anime, nate a vita nuova dal suo Sangue
prezioso. Le anime, poi, potevano rinascere in Lui e per Lui solo se
si rinnegavano e se, lungi dal riporre la felicità nella carne e
nella vita presente, come facevano i pagani, la riponevano
nell’abnegazione di sé. Perciò soggiunse: In
verità, in verità vi dico che se il granello di frumento caduto in
terra non muore, resta solo, se invece muore fruttifica
abbondantemente. Chi ama la propria vita la perderà, e chi odia la
propria vita in questo mondo la salverà per la vita eterna. Chi mi
serve mi segua, e dove sono io sarà ancora chi mi serve, e chi
servirà me sarà glorificato dal Padre mio.
Una caligine di tristezza opprime Gesù
Alludendo alle pene che dovevano avere i suoi
veri seguaci e alla piena abnegazione della vita materiale, Gesù
Cristo guardò la ripugnanza che gli uomini avrebbero avuto al patire
e, unendosi alla loro debolezza, volle sostenerla col suo esempio. La
ripugnanza al patire non doveva essere una ragione per credere
impossibile ai pagani la vita cristiana, fatta di rinunce, ma doveva
essere un’occasione per abbandonarsi maggiormente alla divina
volontà. Ecco, questa ripugnanza la volle sentire Egli stesso, e la
manifestò in quel momento, dando libero varco alla tristezza e al
timore, e mostrando così di essere veramente uomo, com’era
veramente Dio. Egli perciò esclamò: Adesso
l’anima mia è turbata, e che cosa dirò io? Padre, liberami da
quest’ora?
Un’improvvisa caligine di tristezza gli
oppresse il Cuore, permettendolo Lui stesso; la sua umanità si trovò
di fronte alla morte che doveva subire, ne sentì ripugnanza, ne
desiderò la liberazione, ed Egli pregò come vero uomo per
ottenerla; ma poi subito considerò il fine della sua missione in
terra che era proprio l’immolazione di se stesso, e supplicò il
Padre di glorificarsi nel
suo sacrificio, accettato pienamente per unirsi alla sua volontà;
perciò disse, con accento d’immenso amore: Ma
io sono venuto proprio per quest’ora. Padre glorifica il tuo Nome.
Nel manifestare la ripugnanza che
aveva per la morte che l’attendeva, si mostrava vero uomo;
nell’invocare il Padre perché si fosse glorificato in Lui si
mostrava vero Figlio di Dio, Verbo suo eterno, glorificazione sua
infinita; e il Padre volle confermare questa sua asserzione con una
testimonianza solenne, facendo udire da tutti una voce del cielo che
gridò: L’ho
glorificato e ancora lo glorificherò.
La voce fu potentissima, e risuonò lontano,
avendo eco tra i monti e le valli, tanto che la gente che era
distratta e lontana, e non aveva potuto seguire il discorso di Gesù,
la scambiò per un tuono. Quelli, però, che gli erano più vicino
poterono capirne il significato, in relazione col discorso che Egli
faceva, e dissero che quella voce veniva da qualche angelo che gli
aveva parlato.
All’impressione varia che il popolo
manifestava per quella voce, Gesù soggiunse: Questa
voce non è venuta per me, ma per
voi; è venuta per manifestarvi che
io sono il Figlio di Dio, e per farvi intendere in qual modo io
glorifico il Padre nella mia umanità assunta. Lo glorifico,
offrendomi alla sua volontà, lo glorifico nella mia vita mortale, ma
più lo glorificherò nella mia immolazione e nella mia morte,
vincendo il mondo, cacciandone il demonio, e attraendone a me tutti i
cuori per donarli a Dio.
Perciò Gesù soggiunse: È
venuto il momento nel quale si farà giudizio del mondo, confutandone
la falsa sapienza, confondendone lo spirito perverso, e aprendo agli
uomini gli orizzonti della vita eterna. Ora
il principe di questo mondo, ossia
satana, sarà cacciato fuori. Sarà
vinto, non potrà più dichiararsi dominatore dell’uomo, caduto per
la sua tentazione nell’Eden, e non potrà più impedire alle anime
di buona volontà di ascendere a Dio; ecco, quando
io sarò innalzato dalla terra con
la crocifissione e morirò sulla croce, trarrò
tutto a me; con la grazia che
meriterò agli uomini, e col fascino soavissimo del mio amore trarrò
tutto a me, regnando per la croce su tutte le genti e in tutti i
secoli, poiché la mia morte è il titolo del mio dolce dominio
d’amore.
Egli ciò diceva
– soggiunge
l’evangelista –, per indicare di
qual morte era per morire. Apparentemente
sembrò avverarsi proprio l’opposto nella sua morte: Gesù Cristo
sembrò vinto dal mondo, satana apparve trionfante su di Lui e, lungi
dall’attrarre tutto a sé, tutto gli sfuggì, persino i suoi
apostoli, dei quali uno solo si trovò timidamente presente sul
Calvario.
In realtà, però,
proprio sul Calvario il mondo fu vinto, satana fu scacciato e i cuori
trovarono, nel Crocifisso per amore, il centro e la meta del loro
amore. Quella povertà giunta fino alla nudità della croce sconvolse
per sempre lo spirito avido e avaro del mondo; quella carne divina,
martoriata da tanti tormenti, ne confuse la concupiscenza,
quell’amore immolato per purissimo amore di Dio ne sgominò e
distrusse l’egoismo e attrasse l’uomo al Signore nel desiderio
dell’abnegazione e del sacrificio. Satana vide l’albero novello
della vita, e da esso il frutto che vi pendeva, frutto che doveva
rendere gli uomini simili a Dio nella conoscenza della sua verità
eterna, nell’aborrimento del male, nella carità e nell’amore.
Vide nuovamente aperto il varco alla grazia rinnovatrice dei cuori,
capì che gli sfuggiva il dominio del mondo e fuggì nell’Inferno.
Gli Ebrei capirono che Gesù alludeva alla sua
morte, e ne furono sconcertati proprio quelli che avevano cominciato
ad avere in Lui una certa fede, e che speravano che Egli avrebbe
ricostituito il regno d’Israele. Per un’interpretazione tutta
materiale delle profezie riguardanti il Messia, supponevano che Egli
dovesse regnare in eterno, e solo politicamente, sulla terra. Ora,
sentendo dire da Gesù che Egli doveva essere innalzato
dalla terra, e cioè doveva morire,
esclamarono: Noi abbiamo appreso
dalla Legge che il Cristo vive in eterno, e come tu dici: È
necessario che il Figlio dell’uomo
sia innalzato dalla terra? Chi è questo Figlio dell’uomo? Non
potevano immaginare un Messia mortale, perché sapevano che doveva
essere Dio; sapevano pure che Gesù, chiamandosi Figlio
dell’uomo, si proclamava Messia;
non osarono in quel momento domandargli se Egli era il Messia, perché
stavano ancora sotto l’impressione dei grandi miracoli ai quali
avevano assistito, e usarono un’espressione capace di farglielo
dire spontaneamente: Chi è questo
Figlio dell’uomo?
La loro fede era imperfetta: avevano acclamato
Gesù come re d’Israele nel suo ingresso a Gerusalemme, e non
volevano smentirsi; intanto le parole di Gesù, alludendo alla sua
morte, li sconcertavano; ricadevano nel dubbio, e avrebbero voluto
che Egli stesso li avesse tratti d’impaccio, con una dichiarazione
più esplicita.
È profondamente psicologico: chi assiste ad
un fatto straordinario e se ne impressiona, riconoscendolo come un
argomento di verità che conferma la missione di un santo, proclama
la propria convinzione ad alta voce, e vorrebbe trarre anche gli
altri dalla sua parte. La sua fede è più un entusiasmo che una
profonda persuasione, e alle prime tenebre vacilla, anzi si
smarrisce. Non osa, però, manifestare apertamente il proprio
smarrimento, per non fare la figura di essere stato superficiale nel
credere e vorrebbe ad ogni costo trovare un argomento di conferma al
suo entusiasmo passato, magari interrogando il santo, e provocando da
lui uno sprazzo di luce.
Don Dolindo Ruotolo
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