Commento
al Vangelo: IV Domenica di Quaresima 2015 B (Gv
3,14-21)
Gesù annuncia a Nicodemo il suo regno
Gesù Cristo, per gettare nell’anima di
Nicodemo anche il germe di questa verità, gli ricordò il simbolo e
la figura più ardua della redenzione, cioè il serpente di bronzo
elevato da Mosè nel deserto per ordine di Dio, quando i figli
d’Israele furono, per castigo, aggrediti da velenosi serpenti che
li mordevano (cf Nm
21,9). Essi, allora, elevavano gli occhi al serpente elevato su una
specie di croce e, contemplando solo la figura di Colui che doveva
immolarsi per tutti, erano guariti.
Il Verbo Incarnato sarebbe stato elevato non
su di un trono, come pensavano allora i dottori della Legge, ma su di
un patibolo, ammantato della veste del colpevole, immagine sanguinosa
degli uomini peccatori, come il serpente di bronzo era immagine dei
serpenti velenosi che mordevano gli Ebrei. Il mondo tutto, bruciato
dalle piaghe del peccato, doveva volgere lo sguardo alla Vittima
divina, doveva credere, incorporarsi a Lei, operare per Lei il bene,
arricchirsi di meriti, e conseguire la vita eterna. Era questa
l’economia della redenzione.
Nicodemo, come dottore della Legge, non
ignorava certo l’episodio ricordatogli da Gesù, ma per l’interna
luce che Egli gli comunicava nell’anima si sentì come in un mondo
nuovo, capì il mistero di quella figura profetica, e ne fu sorpreso,
ne godette, come gode chi vede risplendere la verità da poche parole
semplici, e tacque pieno di ammirazione. Le parole dei profeti
riguardanti l’immolazione del Redentore risuonarono nel suo cuore;
guardò Gesù con grande compassione, intuendo che voleva immolarsi,
e lo amò intensamente perché sentì, in quelle parole che gli aveva
detto, tutto l’amore che lo comprendeva. Gesù, infatti, parlando
velatamente del suo sacrificio, manifestò, dal volto, una tenerezza
infinita che avvolse Nicodemo come in un calore di misericordia e lo
conquise. Egli, però, aveva un concetto severo di Dio, non
immaginava tanta misericordia in tanta grandezza, non pensava che
l’esigenza della sua giustizia potesse armonizzarsi con la sua
pietà; perciò Gesù, rispondendo al suo pensiero, soggiunse che la
redenzione era frutto dell’infinito amore di Dio, di un amore che
era giunto fino a fargli donare il suo Figlio Unigenito, per dare la
vita eterna a quanti avrebbero creduto in lui, riconoscendolo,
accettandone la dottrina e praticandone i precetti.
Nicodemo pensò allora ai pagani che
opprimevano il popolo ebreo, pensò alle scelleratezze da essi
commesse, e al giudizio terribile che meritavano, e dovette
domandarsi internamente: Come si concilia questa misericordia
universale col giudizio severo promesso agli empi nelle Sacre
Scritture? Il suo spirito, abituato a considerare i pagani come una
massa dannata, e il popolo ebreo come l’unico erede della promessa,
abituato a concepire il Messia come un re terribile e inesorabile che
doveva schiacciare e annientare i nemici d’Israele, non sapeva
capire come potesse attuarsi la redenzione senza una condanna
inesorabile del mondo. Fu un pensiero che gli dovette sorgere in
mente come un lampo, e può arguirsi dalla risposta di Gesù:
Dio non ha mandato il suo Figlio nel mondo
per condannarlo, ma perché il mondo per mezzo di Lui sia salvato.
Il Giudizio severo ci sarà non contro le
altre stirpi o nazioni, ma contro chi
non crede in Lui; e non sarà
neppure un giudizio fatto con apparati esterni di grandezza o di
forza, poiché chi non crede nel Figlio di Dio, non usufruendo della
sua misericordia, può dirsi già giudicato, perché rimane nel suo
peccato e da se stesso si condanna, non avendo come risorgere ed
avere la vita eterna.
Il Giudizio
– soggiunge Gesù per stabilire
definitivamente l’esclusione assoluta di ogni principio di razza o
di nazionalismo dal concetto della redenzione –, non riguarda più
la massa umana decaduta, perché la redenzione la rialza; riguarda
gli uomini singolarmente che, avendo
la luce, preferiscono le tenebre alla luce e
operano il male. Gli ignoranti, e quelli che senza loro colpa non
hanno la luce e operano naturalmente il bene, troveranno un giudizio
di misericordia, i cui limiti li conosce Dio solo, ma quelli che
facendo il male odiano la luce, e non vi si accostano, positivamente,
per non sentire rimorso e non sentirsi rimproverare, saranno già
giudicati, trovandosi fuori del regno di Dio. Chi opera secondo
verità,
cioè secondo la legge naturale
posta da Dio nel cuore umano, si accosta alla luce appena la vede e
non ne ha timore, perché cerca il bene, simile a colui che, operando
onestamente, non teme, come i ladri, la luce del giorno e, anzi, ha
piacere di essere visto nelle opere buone che fa.
Padre Dolindo Ruotolo
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