Commento
al Vangelo: IV Domenica di Pasqua 2015 B (Gv
10,11-18)
Il
buon Pastore e il mercenario
Il Messia era stato
caratterizzato dai profeti come il Pastore del suo popolo (cf Is
40,11; Ez
34,23; 37,24; Zc
13,7, ecc.), e Israele era stato chiamato gregge del Signore (cf Ez
34,5; Mic
7,14; Zc
10,3, ecc.). Gesù Cristo affermò solennemente che questi vaticini
si erano avverati in Lui, proclamandosi pastore, anzi, buon pastore
non solo del popolo ebreo ma di tutti gli altri che Egli avrebbe
uniti al primo suo gregge, formandone un solo ovile sotto un solo
pastore. Dal modo com’Egli parlò, traspare tutta la sua tenerezza
verso le anime e, dal contrapposto che fece tra il buon pastore e il
mercenario, tutto il dolore che provava non solo per i falsi pastori
del popolo ebreo, ma per i pastori falsi e mercenari di tutti i
secoli. Io sono
il buon pastore
– esclamò
–; era venuto per dare la vita e per darla abbondantemente, e la
dava alle sue pecorelle non solo pascolandole, ma immolandosi per
loro; perciò soggiunse: Il
buon pastore dà la vita per le sue pecorelle e,
secondo l’espressione del testo greco, dà
la vita in prezzo di redenzione.
Egli era l’unico pastore che
pascolando si offriva, e salvando dalla morte le sue pecorelle
s’immolava per esse. Nell’Eucaristia donò se stesso, offrendosi
al Padre e immolandosi incruentamente, e sulla croce s’immolò
cruentamente. Per confermare e rendere vivo questo grande pensiero,
Gesù Cristo ritornò alla similitudine dell’ovile e delle
pecorelle, e disse: Il
buon pastore dà la vita per le sue pecorelle; il mercenario, invece,
è chi non è pastore, e al quale non appartengono le pecorelle;
egli, quando vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il
lupo rapisce e le disperde. Il mercenario poi scappa perché è
mercenario e non gl’importa delle pecorelle.
I pastori di pecore conducono una
vita solitaria nei campi e l’unica loro compagnia sono quei placidi
animali che conducono al pascolo. Essi li amano come loro proprietà,
e quasi come parte della loro vita; la docilità che esse hanno ad
ogni loro cenno ispira ad essi una grande tenerezza, e la loro
debolezza di fronte ai pericoli li rende solleciti nel difenderle. Un
gregge è come una famiglia di cui il pastore si sente il capo, e
perché le pecorelle lo riconoscono e ne ascoltano la voce, egli se
ne sente quasi padre, e non esita ad affrontare dei gravi pericoli
per difenderle, soprattutto contro le insidie dei lupi. Nelle solenni
solitudini dei campi non c’è forse una scena più soave e
commovente come quella di un gregge che pascola, e del pastore che lo
vigila. Raccolte a gruppi, brucano le erbe, corrono di qua e di là,
si riposano, e il loro belare è come un’armonia serena che si
disperde lontano nelle ampie solitudini verdi e tranquille.
Gesù Cristo non poteva scegliere
una similitudine più bella per significare l’unione delle anime a
Lui, e la sua infinita tenerezza nel pascolarle.
L’arte ha raccolto in mille
modi questa soave parabola, e ne ha formato innumerevoli quadri, dai
quali traspare sempre la tranquilla pace delle anime che sono
condotte ai pascoli da Gesù, e il suo infinito amore nel pascolarle.
Egli è il buon Pastore, e le anime per essere guidate da Lui debbono
essere docili, semplici, silenziose e affettuose come pecorelle. Egli
le ama, le guida, le difende, le nutre e dà la vita per loro,
Vittima perenne di redenzione e di amore sugli altari. È questa la
sua sublime regalità, tanto diversa da quella dei reggitori di
popoli, solleciti della loro gloria e del loro tornaconto. È questa
la sua amorosa paternità per le anime, tanto diversa da quella di
coloro che le reggono come mercenari, e che al primo pericolo che le
minaccia fuggono e le lasciano in balia di quelli che le uccidono. Un
pastore mercenario non ama le pecorelle, ma la paga che guadagna per
il servizio che presta; il gregge anzi, gli è di fastidio, perché
rappresenta il peso della sua giornata e, quando si trova di fronte
ai lupi che lo assalgono, fugge per mettersi in salvo, non avendo
nessun interesse a salvare le pecorelle.
Tali erano i pastori d’Israele,
e tali sono i pastori degeneri che riguardano il ministero come
un’occupazione qualunque e una fonte di guadagno. Non parliamo,
poi, dei cosiddetti protestanti e di quelli di altre sette, i quali
non solo sono mercenari, pagati per strappare le anime alla Chiesa,
ma sono falsi pastori, ladri e assassini che non entrano nell’ovile
per la porta, non hanno alcun mandato di reggere le anime e
rappresentano essi medesimi i lupi rapaci che le uccidono e le
disperdono.
Dopo aver detto che Egli è il
buon pastore perché dà la vita per le pecorelle, Gesù Cristo
soggiunge che Egli ha tanta premura per le sue pecorelle che le
conosce ad una ad una, si comunica loro, ed esse lo conoscono. Come
il Padre, conoscendo se stesso, genera il Figlio e gli comunica la
vita infinita, e come il Figlio conosce il Padre, dandogli una lode
infinita, così Gesù Cristo conosce le sue pecorelle, vivificandole
ad una ad una, come se fosse tutto e solo per ciascuna, e dà la vita
per loro, ad una ad una, di modo che ogni sua pecorella ottiene in
pieno il frutto e i benefici della redenzione. Le pecorelle, poi,
vivificate da Lui, lo amano perché lo conoscono e lo glorificano.
C’è dunque, tra Gesù buon pastore e le sue pecorelle, un’unione
d’amore che Gesù stesso paragona all’unione del Padre con Lui
Verbo eterno. Egli dona loro la vita, ed esse lo glorificano e lo
amano; Egli le cura singolarmente, una ad una, ed esse lo amano
d’amore singolare.
Gesù
parlava agli Ebrei, ed essi avrebbero potuto capire che essi solo
erano i privilegiati, eletti per essere il suo ovile, e per averlo
come Pastore; Egli, invece, doveva chiamare al suo Cuore tutte le
genti della terra, e perciò soggiunse: Ho
altre pecorelle
che non sono di quest’ovile; anche quelle bisogna che io conduca;
esse ascolteranno la mia voce, e si farà un solo ovile e un solo
pastore. Egli
chiamò i pagani alla fede, e alla fine dei tempi chiamerà alla
Chiesa gli Ebrei dispersi, formando così di tutte le nazioni un solo
ovile sotto un solo pastore, il Papa. Dopo un periodo di apostasia
generale, Gesù, con l’effusione di nuove grazie, chiamerà tutti i
popoli al suo Cuore, e Israele finalmente conoscerà la sua voce, lo
crederà come Messia e Redentore, si unirà alla Chiesa Cattolica, e
si formerà così un solo ovile di tutte le genti, in una grande
glorificazione di Dio su tutti i cuori. Questa glorificazione sarà
frutto del Sacrificio della croce, e del rinnovarsi di questo
Sacrificio nell’Eucaristia, e il Sacrificio si realizzerà perché
Gesù si offrirà completamente alla divina volontà, dando la vita
sulla croce, riprendendola nella risurrezione, e rinnovandone, poi,
l’offerta sugli altari. Per questo Gesù soggiunse: Il
Padre mi ama perché io do la vita per
riprenderla di nuovo. Nessuno
me la toglie, ma io la dono da me stesso, e ho il potere di darla e
il potere di prenderla di nuovo. Questo comandamento ho avuto dal
Padre mio.
Ai pastori d’Israele che lo
perseguitavano in nome della loro autorità, Gesù, dunque, annuncerà
che Egli solo era il buon pastore, e che la loro autorità era
tramontata. Ad essi, che avevano congiurato di ucciderlo, dichiarò
che sarebbe morto solo per propria elezione, e che questo era
conforme al piano della divina volontà. Annunciò la costituzione
del nuovo suo ovile, formato dalle genti tutte della terra, e abbatté
così, per sempre, le barriere che avevano separato Israele dagli
altri popoli. Egli, prendendo la croce, avrebbe preso in mano lo
scettro della sua regalità e il vincastro del suo pastorale
ministero d’amore, portando al pascolo le sue pecorelle.
Padre Dolindo Ruotolo
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